Il treno della felicità

La litania delle beatitudini anticipa la consapevolezza del Regno di Dio

di Maurizio Guidi
frate cappuccino, docente di Nuovo Testamento alla Pontificia Università Gregoriana

Image 014Il testo e i suoi usi

Tra i testi più amati e commentati dalla tradizione cristiana, le nove beatitudini matteane si ergono come splendente ed adorno vessillo sull’imponente montagna della tradizione scritturistica ebraico-cristiana. La liturgia ama proclamare questo testo in varie occasioni della vita cristiana: nella solennità di tutti i santi, nella commemorazione dei fedeli defunti, nelle liturgie dei matrimoni, nelle memorie dei martiri, infine nello scandire una delle fondamentali tappe dell’«ordinario» cammino di ogni discepolo nella storia (IV domenica Tempo Ordinario/A). Un testo, come si nota, segnato dal multiforme valore, ritenuto idoneo ed eloquente nei momenti di gioia (matrimonio) come in quelli di lutto (defunti), in quelli ordinari (IV domenica) al pari di quelli gloriosi (solennità di tutti i Santi). Ma qual è il suo valore all’interno della prospettiva evangelica di Matteo?

Lo sfondo

Quando giungiamo al testo delle beatitudini, il racconto matteano ha già compiuto la sua prima parte di cammino, delineando uno scenario in cui Dio, le sue promesse, le sue parole e il popolo eletto sono messi in stringente relazione. Avviatosi all’insegna della tradizione, Matteo ha segnalato negli eventi occorsi in Betlemme di Giudea il compimento delle antiche speranze dei figli di Abramo. L’ultimo e definitivo atto di salvezza dettato dalla fedeltà di Dio irrompe ancora tra i figli d’Israele e si sovrappone ad una storia attraversata da peccato ed infedeltà (1,1-17). Il Messia secondo le Scritture annunciato da Matteo diviene la chiave per comprendere un passato segnato dal dolore e dall’umiliazione. Alla luce del compimento delle promesse antiche, Israele può dirsi veramente beato e fatto oggetto di grazia. La proclamazione delle beatitudini di Mt 5 diviene dunque non una consolazione in vista di qualcosa d’altro, ma un «atto linguistico che fa accadere nel presente la signoria prossima di Dio» (Weder).

Il contesto immediato che conduce al Discorso della Montagna (Mt 5–7) si apre con la proclamazione del Regno da parte di Gesù. Dalla parola del Messia (4,17: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino»), perfettamente conforme all’annuncio profetico del Battista (3,2), nasce la sequela dei discepoli (4,18-22). Essa è frutto dell’annuncio di un tempo donato («il Regno dei cieli è prossimo a voi») e parimenti della responsabilità di accoglierlo («convertitevi»). L’effetto della parola del Regno non è tuttavia limitato ai discepoli, i vicini, ma coinvolge anche le numerose folle che accolgono la parola e seguono il Messia (4,23-25). Su questo sfondo che non vede restrizione di soggetti (discepoli e folle), di luogo (si noti il generico «un monte») né di tempo (manca ogni determinazione cronologica) Gesù pronuncia le beatitudini. Senza limiti di applicabilità né di ambiti esse sono dirette a tutti (uso della terza persona plurale), in ogni situazione.

Image 019Il ritmo

Il ritmo delle beatitudini ripercorre una costante e concisa costruzione: il risalto iniziale dato alla beatitudine costruisce un’atmosfera di gioia e di festa; il richiamo ad una categoria di persone (poveri, afflitti, affamati, miti, misericordiosi…); l’introduzione in tale orizzonte della motivazione della felicità annunciata. Non solo le parole, ma la stessa forma con la quale esse sono articolate aiuta a comunicare un preciso messaggio e a portare i suoi uditori a conversione mediante un capovolgimento di valori.

La progressione litanica del testo matteano, incentrato sull’identico esordio di ogni versetto - «beati» -, ha dunque l’effetto di cullare chiunque si metta in reale ascolto, avvolgendolo in una calorosa consolazione che lo trasporta da un oggi fatto di povertà, di incomprensione, di lotta e di persecuzione, in un futuro pacificato, affinché il presente di Dio (il Regno) possa divenire progressivamente il reale futuro di ogni uomo.

Beati!

Le beatitudini sono molto frequenti nella Scrittura. Il libro dei Salmi, ad esempio, riporta espressioni simili a quelle matteane. Il Sal 1 inizia proprio con una beatitudine: «Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, […] ma nella Torah del Signore trova la sua gioia»; il Sal 106,3 gli fa eco: «Beati coloro che osservano il comandamento e praticano il diritto in ogni tempo»; il Sal 41,2 afferma: «Beato chi si prende cura del debole»; nel Sal 112,1.5 troviamo: «Beato l’uomo che teme il Signore e nei suoi precetti trova grande gioia; Beato l’uomo pietoso che dà in prestito». Più in generale, dunque, occorre riconoscere la beatitudine come parte della più ampia tematica della gioia presente nella Scrittura e, in modo particolare, nella letteratura sapienziale.

Il testo matteano si dimostra particolarmente legato ai due capisaldi di questo motivo scritturistico. In prima battuta la gioia e la lode scaturiscono al momento che la mano di Dio tocca concretamente la storia e le vicende umane, trasformando i luoghi di morte in luoghi di benedizione (cf. ad esempio Is 12,1-6; Is 35,1-2). In seconda battuta la gioia è strettamente legata alla Torah. «La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima. Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi» (Sal 19,8-9). In questo, come in molti altri testi (cf. i salmi sopra richiamati), l’uomo è beato se accoglie e segue la Torah.

La stessa prospettiva permane in Matteo. Alla luce del Messia, ogni discepolo è chiamato a rileggere - senza prescindere da essa - la Scrittura e la Tradizione le quali divengono luminosa testimonianza dell’azione di Dio nella storia, di quella passata come di quella che si costruisce al presente.

Lungi da essere un invito all’irenismo, le beatitudini matteane affermano quanto Dio e il suo Regno debbano essere presi seriamente: esso penetra progressivamente nella storia degli uomini, ma senza lasciarli inermi spettatori; ad essi è richiesta partecipazione e responsabilità.

Innalzare la litania delle beatitudini significa dunque reinterpretare il mondo alla luce del Regno e rifiutarsi fermamente di accettare come normale un presente imposto dai nostri soprusi e dalle nostre ingiustizie.

Per questo, forse, la liturgia tende a proclamare Mt 5,1-12 in molteplici situazioni della vita concreta dei fedeli, in quelle liete come in quelle tristi, affinché l’intera esistenza dei discepoli possa sempre essere riletta nel più ampio orizzonte dell’intervento di Dio e riordinata secondo i valori del Regno.