Toppe di un tutto variopinto

Molte sono le vie di perfezione, uno solo il Bene

 di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC

 Qual è l’indirizzo della perfezione? Non serve Google maps, già il catechismo di Pio X rispondeva con gongolante, se non tronfia, sicurezza «Dio è l’Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra».

Faccio notare il superlativo assoluto, perfettissimo, il cui significato è tutto nella nebbia, dato che, per sua natura, la perfezione è assoluta o non esiste affatto, e vengo al punto: se Dio è la perfezione noi, con le spalle al muro, dobbiamo chiederci “e noi che Dio non siamo? Rimaniamo per sempre così, incorreggibilmente incompiuti e bruttini?”

 Il buon frate minore

Un brano della tradizione francescana ci consola e ci sprona a credere che, anche per noi, ci sia una via percorribile in direzione di bellezza. «Francesco, immedesimato in certo modo nei suoi fratelli per l’ardente amore e il fervido zelo che aveva per la loro perfezione, spesso pensava tra sé quelle qualità e virtù di cui doveva essere ornato un autentico frate minore. E diceva che sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti santi frati: la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme con l’amore della povertà; la semplicità e la purità di Leone, che rifulse veramente di santissima purità, la cortesia di Angelo, che fu il primo cavaliere entrato nell’Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà, l’aspetto attraente e il buon senso di Masseo, con il suo parlare bello e devoto; la mente elevata nella contemplazione che ebbe Egidio fino alla più alta perfezione; la virtuosa incessante orazione di Rufino, che pregava anche dormendo e in qualunque occupazione aveva incessantemente lo spirito unito al Signore; la pazienza di Ginepro, che giunse a uno stato di pazienza perfetto con la rinunzia alla propria volontà e con l’ardente desiderio d’imitare Cristo seguendo la via della croce; la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò per vigoria tutti gli uomini; la carità di Ruggero, la cui vita e comportamento erano ardenti di amore; la santa inquietudine di Lucido, che, sempre all’erta, quasi non voleva dimorare in un luogo più di un mese, ma quando vi si stava affezionando, subito se ne allontanava, dicendo: Non abbiamo dimora stabile quaggiù, ma in cielo» (Specchio di perfezione, 85, FF 1782).

Mi sembra che perfezione sia diventata per noi una parola, troppo colpevolizzante, poco proponibile. Credo di poterla sostituire, vantaggiosamente, con pienezza. Dunque, la via di pienezza che ci propone Francesco è, per così dire, multidisciplinare. Essa è un patchwork («tipo di tessuto costituito da pezzi di vari colori e di forme diverse cuciti insieme in modo da formare un tutto variopinto», Vocabolario Treccani) fatto di virtù spirituali, la cui presenza era prevedibile, ma anche umane, (volentieri sottolineo il parlare di Masseo non solo devoto ma anche bello), e qualità “fisiche”, ancor meno scontate (tra le altre l’aspetto attraente dello stesso Masseo e la robustezza fisica di Giovanni dalle Lodi). Straordinariamente sorprendente la conclusione, che, come il frate a cui viene attribuita, non è facilmente collocabile, la santa inquietudine di Lucido.

 Un perfetto paradosso

Se molteplici sono le manifestazioni, Francesco non dimentica che una sola è la loro fonte. Alla Verna canterà: «Tu sei santo, Signore, solo Dio, (…) grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore». Che santità e bellezza procedano da una sola fonte, e cioè da Dio, non significa affatto che santità e bellezza non ci riguardino, infatti, nella stessa preghiera, ci si rivolge allo stesso Dio dicendogli: «Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza» (Lodi a Dio Altissimo, FF 261). Così, se Dio solo è santo, tuttavia, nel nostro brano prima di iniziare il lungo elenco di frati e virtù loro attribuite, gli stessi frati sono definiti santi. Non si può dire di nessuno che sia santo come lo si dice di Dio, eppure la santità, esclusiva di Dio, Dio stesso, in Cristo, il suo Verbo fatto uomo, la partecipa ai suoi figli. Perciò alcune delle attitudini con cui Dio può essere identificato, nella preghiera della Verna sono dette, allo stesso tempo, nostre.
Il brano dello Specchio di perfezione inizia con la disposizione d’animo di Francesco che, immedesimato nei suoi fratelli, non usa le loro ambiguità e contraddizioni per accusarli o condannarli, anzi, arde d’amore «per la loro perfezione». Solo dopo questa premessa Francesco propone la sua via. Ora, cosa vuol dire che sarebbe buon frate colui che riunisse in sé la vita e le attitudini di tutti quei frati? Un paradosso, evidentemente, perché nessuno potrebbe riunire in sé la vita e le attitudini di così tante persone. Ma, allora, qual è il senso del paradosso?
«Non c’è proprio nessuno in tutto il mondo, che possa avere una sola di voi, se prima non muore [a se stesso]. Chi ne possiede una e le altre non offende, tutte le possiede» (Saluto alle virtù, FF 257). Ogni manifestazione buona di Dio, pienezza di Bene, ci viene data come via d’accesso all’integrità del bene. L’uomo viene creato come un impasto di fango e del respiro di Dio. Non è solo fango, né solo respiro divino, ma un impasto delicato e complesso di entrambe le cose. La compiutezza di questo impasto sta tutta nell’apertura all’azione di Dio liberante e generatrice di vita.
La pienezza vivibile, in questa prima interpretazione del paradosso, la definirei come un’apertura al bene non ancora ricevuto da me, ma già ricevuto da altri. La prerogativa decisiva della persona che cammina verso pienezza è di essere in trasformazione. Riconosce il bene per quello che è, ovunque e in chiunque si manifesti, e cerca come può di integrarlo nella propria vita o, ancor meglio, di riceverlo dalle mani del Padre. Ciò che viene proposto in fondo, non è altro che la relazione figliale in Cristo Figlio, fatto uomo per la nostra salvezza e mediatore di ogni dono di grazia. Ovviamente ciò chiede la disponibilità a resistere all’invidia, ricordando che «chiunque invidia il suo fratello riguardo al bene che il Signore dice e fa in lui, commette peccato di bestemmia, poiché invidia lo stesso Altissimo, il quale dice e fa ogni bene» (Ammonizione VIII, FF 157). Però non tutte le qualità che Francesco attribuisce ai suoi frati possono essere acquisite dai loro fratelli, neanche dopo lungo cammino. L’aspetto attraente e la robustezza fisica, doni propri di Masseo e Giovanni dalle Lodi, non sono certamente acquisibili da altri.

 Il bene dell’altro

È qui che si mostra l’utilità della seconda linea interpretativa. Tenendo fermo che si faccia resistenza all’invidia verso altri, è possibile gioire del bene ricevuto dall’altro come se fosse stato donato a noi, poiché, se in Cristo siamo un corpo solo, di cui Lui è il capo e noi le membra, allora non c’è nessuna cosa buona, poco importa se attribuibile a me o ad altri, che non sia, bene comune fruibile da tutti. Così si apre per noi una via di pienezza nella povertà di sé. Infatti è «Beato quel servo il quale non si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più che per il bene che dice e opera per mezzo di un altro» (Ammonizione XVII, FF 166). La beatitudine sta nella gioia di chi non si appropria del bene che le o gli viene donato, e sa contemplare l’amore gratuito e sovrabbondante con cui Dio Padre fa doni sovrabbondanti ad ogni suo figlio.
In questa prospettiva, la fraternità è il luogo in cui possiamo crescere, condividendo il bene che Dio fa in noi e ampliando lo sguardo verso ciò che Dio fa oltre la nostra individualità. Con fraternità, non intendo esclusivamente le comunità ecclesiali, di laici o di consacrati, ma ogni gruppo umano, in cui una o più persone raccolgano la sfida di trascendere il proprio punto di vista e la propria volontà di autoaffermazione, perché, attirati dallo Spirito, muovano passi verso una relazione gratuita e fraterna, liberata e liberante. La fraternità è un dono esigente, chiede di morire a sé stessi, ma d’altra parte, offre l’opportunità di aprirsi gioiosamente a quello Spirito che ci rende figli e fratelli.
Immedesimarsi nei fratelli e nelle sorelle, ardere di meraviglia per il cammino di pienezza che ciascuno di loro, per grazia di Dio, sta già facendo, così componiamo il patchwork della fraternità.