Image 010Lo stile cristiano

di Dino Dozzi
Direttore di MC

Molte volte è questione soprattutto di stile. Certo, è importante anche il contenuto; ma un contenuto buono in sé, presentato male, non passa. Non è solo nell’opera d’arte che forma e contenuto fanno un tutt’uno, e non è solo nella vecchia filosofia che materia e forma sono inscindibili. Lo stile fa l’uomo, si dice giustamente. Prendete il rapporto medico-paziente: quanto è importante il modo di comunicare anche una notizia drammatica! Prendete il rapporto impiegato-cittadino alla posta o all’anagrafe o dove si voglia: lo stile fa la differenza, lo sperimentiamo tutti. Si prenda il modo di rispondere a uno che chieda un’informazione o che tenda la mano per un aiuto: si può rifiutare scusandosi o disprezzando. E lo stile dei governanti e dei politici? E lo stile nei mezzi di comunicazione? Lo stile riguarda e qualifica o squalifica ogni nostro rapporto con gli altri.

Sto leggendo i due volumi di Christoph Theobald che hanno un titolo curioso: Il cristianesimo come stile. Fino a cinquant’anni fa - speriamo che le cose siano cambiate - alla domanda che cos’è il cristianesimo, la maggioranza avrebbe risposto: un insieme di cose da credere, di dogmi, oppure un insieme di cose da fare, di precetti morali. Fa piacere incontrare oggi un grande teologo come Theobald che suggerisce una risposta diversa: il cristianesimo è uno stile, un modo di abitare il mondo, un’ospitalità offerta.

Perché in effetti cristianesimo si rifà a Cristo, il quale non ha scritto nulla e non ha dato ordine a nessuno di scrivere. Quello che ci ha rivelato lo ha fatto con il suo modo di vivere, di parlare con la gente, di “ospitarla”. Qualche decennio dopo la sua morte e quando incominciano a venir meno anche coloro che l’hanno storicamente conosciuto, si avverte il bisogno di tradurre in scrittura quel suo stile, che comunque resterà fondante e fondamentale. È dallo stile “ospitale” di Gesù che nasce lo stile dei primi cristiani, dei quali si dirà: «Ma guarda come si amano!». Saranno utili anche le discussioni teologiche da cui nasceranno i dogmi, ma fondamentale resterà sempre quello stile di vita. Le formulazioni teologiche scritte nei libri del Nuovo Testamento testimoniano modi espressivi diversi e complementari: l’unità va cercata nello stile di dialogo, di accoglienza vicendevole, di comunione. Gli apostoli, anche a quel tempo, non avevano tutti esattamente le stesse idee e in Gal 2,11 Paolo ricorda che «quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto». Ma ecco lo stile: si troveranno a Gerusalemme per quello che verrà chiamato “il primo Concilio” (At 15). Troveranno un compromesso e Paolo si preoccuperà di tenere unita la Chiesa anche attraverso la “colletta” di aiuti da parte delle sue comunità per quella di Gerusalemme.

Dalla fede come visione del mondo e stile di vita nasce poi un certo stile di evangelizzazione che forse non è qualcosa di molto diverso e lontano dalla fede vissuta e testimoniata in un certo modo. Occorre omogeneità di stile tra il contenuto e la sua trasmissione: presentare il vangelo in modo violento e arrogante sarebbe un controsenso. L’omelia, la catechesi, la missione, la liturgia sono momenti importanti di evangelizzazione, ma, anche qui, è lo stile che fa la differenza. Un modo sciatto di celebrare e un modo distratto di partecipare alla liturgia allontanano dal mistero più che avvicinarlo. È questione di stile. Solo una messa ben preparata, ben celebrata e ben partecipata diventa davvero fonte e culmine della vita cristiana per una comunità. Ma lo stile cristiano coinvolge poi anche la famiglia, il lavoro, la politica, la cultura, lo svago.

Se il cristianesimo non è prima di tutto un insieme di dogmi o un insieme di precetti morali o solo liturgia, non è neppure sinonimo di “club dei perfetti”. Magari i cristiani fossero migliori degli altri. Ma non è questo l’essenziale. Il cristiano è uno che ha uno stile umilmente riconoscente per il perdono che continuamente riceve da Dio e dagli altri; è uno che ha uno stile “ospitale” per tutti, sull’esempio di Gesù, «amico dei pubblicani e dei peccatori»; è uno che ha uno stile quotidianamente collaborativo e servizievole per tutti, sull’esempio di Gesù, che ha dato la vita per tutti noi; è uno che ha uno stile di fiducia e di speranza incrollabile, perché sa che il male suo e degli altri è stato vinto e la morte stessa è solo un passaggio da una sponda all’altra.

In occasione del cinquantesimo dell’inizio del concilio Vaticano II, il Papa ha indetto l’anno della fede e spinge fortemente la Chiesa per la nuova evangelizzazione. Non tanto di chi non ha fede, quanto soprattutto per chi dice di aver fede. Forse si tratta di riscoprire sia la fede che l’evangelizzazione come stile.