Neve Shalom Wahat al-Salam. Ossia: “Oasi di pace”, è un modello concreto di coesistenza alla pari tra ebrei e palestinesi.  Non significa essere uguali. La sfida è: come co-esistere, nonostante le differenze. A distanza di tre mesi dagli eventi del 7 ottobre 2023, una testimonianza diretta che non è affatto un’utopia ma l’essenza del messaggio al centro di NSWAS.

a cura di Barbara Bonfiglioli

 Pace sia tra shalom e salam

Lei viene se la chiamiamo insieme

 di Giulia Ceccutti
segretaria dell’Associazione Italiana Amici di Neve Shalom Wahat al-Salam

 «Dobbiamo essere un ponte tra la tremenda realtà che stiamo vivendo e il futuro che desideriamo per i nostri figli».

Gli abitanti ebrei e palestinesi, tutti di cittadinanza israeliana, del Villaggio di Neve Shalom Wahat al- Salam non hanno dubbi. Pur nella fatica e nel dolore in cui sono immersi da un mese a questa parte. Per loro, la strada da percorrere è quella che il Villaggio ha scelto sin dalla sua fondazione, più di cinquant’anni fa. È la via del dialogo, dell’ascolto reciproco, di una convivenza pacifica e alla pari. È la difficile via della pace.
«Continuiamo a incontrarci e discutere della situazione: per noi il confronto è fondamentale. Dobbiamo ritrovare la strada per tornare all’apertura al dolore, alle paure e alle reazioni degli altri», ripetono.
Così, mentre avvertono scoppiare in cielo, bloccati dal sistema di protezione israeliano, i razzi lanciati da Gaza (a circa 70 chilometri di distanza) e mentre gli aerei militari passano sopra le loro teste per andare a bombardare la Striscia, la comunità cerca di recuperare spazi di “normalità”, condivisione, supporto.

 L’Oasi di pace

Neve Shalom Wahat al-Salam (“Oasi di pace” in ebraico e arabo) è un villaggio che sorge su una collina a mezz’ora da Gerusalemme e da Tel Aviv. Fu fondato nel 1972 su un terreno del vicino monastero di Latrun. Nacque per intuizione del padre domenicano Bruno Hussar, pioniere del dialogo ebraico-cristiano, con l’intento di diventare una «scuola per la pace». Un luogo cioè nel quale mettersi in discussione, abbandonare i propri pregiudizi, insegnare e imparare a fare la pace.
Oggi è una comunità gestita democraticamente e composta da ottanta famiglie, metà ebree e metà palestinesi. Nuove famiglie giovani vi stanno costruendo lì le loro case. Cresce inoltre – proprio in questi giorni, proprio nella drammaticità del conflitto – la già lunga lista d’attesa composta da altre famiglie, ebree e arabe, che vorrebbero abitare qui. A confermarlo, con orgoglio, è Eldad Joffe, il nuovo sindaco in carica da solo un mese.
Dagli ideali dell’Oasi di pace sono nate la prima scuola bilingue e binazionale in Israele, con classi e uno staff misto ebraico e arabo; la Scuola per la pace e il Centro Spirituale Pluralista. La scuola primaria è frequentata per il 90 % da alunni che abitano in una ventina di comunità della zona.

 «Piangiamo tutti i morti»

Gli attacchi compiuti da Hamas il 7 ottobre hanno rappresentato uno shock anche qui. Da parte ebraica, molte sono state le persone care tra le vittime. Un’attivista per la pace, vicina alla comunità, è tuttora tra gli ostaggi. Da parte palestinese, cresce la paura per l’escalation di violenza sia all’interno dei Territori Occupati, in particolare a causa dei gruppi di coloni più estremisti, sia in Israele nei confronti della popolazione araba. Sale la preoccupazione per il clima di razzismo sempre più accentuato. Da parte di tutti, forte il dolore per tutte le vittime del conflitto. Netta la richiesta della fine dei bombardamenti su Gaza e la cessazione di tutte le violenze.

 Mantenere aperto il dialogo

Grazie all’aiuto dei facilitatori della Scuola per la pace, si sono tenuti diversi incontri tra i residenti – dapprima separati per ebrei e palestinesi, in seconda battuta tutti insieme – per provare a capire come reagire alla realtà del tutto nuova, in termini di gravità, cui si è di fronte.
«Gli incontri hanno visto una partecipazione molto alta e questo è positivo», racconta Ariela Bairey-Ben Ishay, presidente dell'Associazione delle istituzioni educative. «Abbiamo condiviso emozioni e dolore. Ci siamo chiesti che cosa ci aspettiamo dal nostro e dall’altro gruppo. Discutere dapprima in modo separato ci ha dato modo di rafforzarci, quindi di sentirci pronti a un confronto più onesto anche con l’altra parte. La comunicazione deve rimanere aperta».

 Alla scuola primaria

La scuola primaria ha riaperto da metà ottobre. Per ora le lezioni si tengono solo le mattine. «La prima settimana è stata la più dura», spiega la direttrice Neama Abu Delo. «Si è svolta tra incontri online con lo staff e i genitori ancora terrorizzati per quanto era successo. Doverci parlare attraverso uno schermo, proprio mentre tutti avvertivamo la necessità di contatto umano, è stato assai difficile».
Lo sforzo che si sta compiendo ora è quello di ridare serenità e senso di protezione ai bambini, ascoltando i loro bisogni e sentimenti.
«In classe terza, ad esempio – continua Neama – c’è un bambino ebreo che ha il fratello che sta servendo nell’esercito. Ha un enorme bisogno di abbracci e tenerezza. Nella stessa classe un compagno palestinese ha parte della famiglia a Gaza. I suoi vivono nell’angoscia. I docenti cercano di dare loro rassicurazioni e conforto. Ma rapportarsi ogni giorno con storie di questo tipo richiede tante energie. È una grande sfida». Per questo la scuola si sta dotando di un supporto esterno, facendosi aiutare da un team di psicologi e dai facilitatori della Scuola per la pace. 
«Crediamo che la guerra durerà a lungo, ci aspetta un compito arduo, ma siamo qui per questo: continuare a far crescere questi piccoli insieme», conclude la direttrice.

 L’impegno della Scuola per la pace

La Scuola per la pace continua a lavorare senza sosta, tenendo incontri con gruppi in diverse città, anche in collaborazione con istituzioni composte da personale misto ebraico e arabo, musei, scuole, attivisti. Fornisce inoltre supporto alla vasta rete degli ex allievi. Sono infatti migliaia le persone – insegnanti ed educatori, avvocati, giornalisti, gruppi di donne, amministratori di comunità miste… – che negli anni ne hanno frequentato i corsi. Molti di loro hanno continuato un impegno per il dialogo nei propri contesti e luoghi di lavoro.
«Sono triste e arrabbiato per questa guerra», dice il direttore Roi Silberberg. «Ma non importa quanto sia difficile: la convivenza è possibile. È l’unico messaggio e l’unico esempio che in questo momento possiamo dare».

 La solidarietà per Gaza

Grazie a un residente del Villaggio, medico volontario per Medici per i diritti umani - Israele, la comunità ha attivato infine un programma di aiuti per gli ospedali di Gaza. A promuoverlo anche l’Associazione Italiana Amici di Neve Shalom Wahat al-Salam. Una voce che cerca di amplificare qui il messaggio della comunità: educare al dialogo richiede tempo e impegno, ma è l’unica soluzione in grado di garantire un futuro degno per tutti. Neve Shalom Wahat al-Salam lo testimonia da oltre cinquant’anni.

Contatti:

sito del Villaggio: wasns.org
sito dell’Associazione Italiana Amici di
Neve Shalom Wahat al-Salamoasidipace.org

 

 Contatti:

sito del Villaggio: wasns.org
sito dell’Associazione Italiana Amici di
Neve Shalom Wahat al-Salam: oasidipace.org