La carità con la vanga in spalla
Accogliere l’energia dei giovani perché il volontariato non sia solo per anziani benestanti
di Elisabetta Cecchieri
responsabile area animazione Caritas Diocesana di Bologna
Prima di tutto è sostanziale che io chiarisca un punto, anzi due. Non sono affatto un’esperta dell’argomento.
Tutto ciò che so in merito deriva da quel po’ di esperienza personale vissuta da ragazza cresciuta in parrocchia e poi, diventata grande, da ciò che desumo dalla mia vita professionale, come operatrice e formatrice della Caritas Diocesana di Bologna, chiamata ad accompagnare e sostenere quei volontari che nelle parrocchie della diocesi svolgono il loro servizio con le persone in difficoltà.
Ne consegue che il mio sguardo è focalizzato su un ambiente particolare come è quello ecclesiale e su una fetta piuttosto ristretta di persone: circa 1400, nei nostri ultimi conteggi; veramente un nulla in confronto ai tantissimi che si attivano nel variegato mondo del volontariato del nostro territorio.
A questo punto, confesso anche un’altra cosa: in Caritas nemmeno ci piace la parola volontario, che sostituiamo spesso e con gusto con quella di animatore. Può sembrare una questione formale o una sottigliezza linguistica, ma in effetti queste due parole evocano immagini molto differenti fra loro. Il volontario Caritas agisce di propria volontà, liberamente e gratuitamente, prestando aiuto a chi sta peggio. L’animatore Caritas è invece qualcuno che consapevolmente, attraverso il suo servizio, trasmette energia positiva, fornisce un impulso, mette in movimento, attiva relazioni, crea partecipazione intorno…
Nella prima definizione l’attenzione è centrata su chi aiuta, sulla sua forza e sulla sua volontà; nella seconda al centro c’è il processo che vorremmo generare supportando chi è in difficoltà. C’è una bella differenza! In realtà ancora troppo pochi sanno che Caritas è nata per volontà di san Paolo VI nel 1971 non soltanto per rispondere alle tante esigenze dei poveri (quello la Chiesa l’ha sempre fatto, dall’istituzione dei diaconi in poi), ma soprattutto per sensibilizzare tutti a coinvolgersi sul tema della povertà. Il primo articolo dello Statuto ci ricorda che la funzione della Caritas, dentro la Chiesa e fuori, deve essere “prevalentemente pedagogica”, cioè educativa, animativa.
Potremmo dire che papa Francesco oggi è il nostro miglior supporter e testimonial! Ma allora: il volontariato nella Caritas nella diocesi di Bologna è roba da ricchi e da vecchi? Continuerò ad essere trasparente: la risposta è: sì, ma…
Le ragioni del sì…
Dal mio piccolissimo osservatorio devo ammettere che vedo in molte Caritas parrocchiali (non in tutte, sia chiaro!) persone sempre più avanti negli anni. Sono uomini e donne che hanno organizzato e consolidato nel tempo, all’interno delle loro parrocchie, le attività a favore degli ultimi. Spesso si tratta di persone che - letteralmente - hanno dato e danno la loro vita per questo. Il servizio in Caritas è certamente molto impegnativo sia per chi si dedica all’ascolto ed impatta problematiche sempre più complesse e drammatiche, sia per coloro che si danno da fare per raccogliere viveri ed indumenti da distribuire. Cosa continua allora a motivare questo impegno nel tempo?
Per alcuni è la percezione di essere effettivamente utili con il proprio servizio e la propria presenza. Mentre si stringono e si approfondiscono i legami di conoscenza ed affetto con le famiglie e le persone in difficoltà, si prendono a cuore le loro situazioni; si desidera restare al loro fianco e continuare a camminare insieme. Per altri, alla base di tanta resistenza, ci sono ragioni di fede e di fedeltà ad un impegno preso, rafforzati dalla consapevolezza di essere nati e vissuti nella parte “fortunata” della società e del mondo. Per altri ancora, essere volontari in Caritas, è un modo per mantenersi attivi, per dare uno scopo di bene allo scorrere dei giorni che si hanno ancora a disposizione; per continuare a sentirsi parte di qualcosa di più grande, capace di illuminare di senso le proprie giornate. Ovviamente poi ogni volontario/animatore porta in sé queste motivazioni mixandole in imprevedibili combinazioni.
Dunque, anche solo per economizzare energie e forze, nelle Caritas (come in tutte le comunità cristiane peraltro) può pure concretizzarsi il rischio di agire in base al pericoloso principio del “si è sempre fatto così” e per questa ragione a volte può non essere facile entrare come nuovi volontari. Non a caso, una delle caratteristiche del nostro lavoro formativo, è proprio quella di stimolare domande, più che fornire risposte.
Le ragioni del ma…
Eppure, con tutta onestà, non credo proprio che sia quest’ultima la vera ragione del calo di presenze di giovani e di adulti nelle nostre realtà. Cioè non credo affatto che le Caritas siano diventate auto-esclusive [? esclusive] e nemmeno credo che siano svaniti i valori che muovono l’agire solidale. Credo invece che questo calo di presenze sia il riflesso di un cambiamento ben più profondo della nostra società e della nostra storia. Qualcosa che per altro non interessa solo Caritas, ma che è visibile in tantissime realtà di volontariato ed attraversa il nostro modo di vivere di oggi.
È un fatto ad esempio che molti adulti maturi o giovani pensionati debbano dedicarsi ai propri genitori anziani o ai nipotini. Si tratta pur sempre di comportamenti di servizio che restano però nascosti in quello che oggi viene definito il “welfare familiare”, senza il quale non potremmo andare avanti.
E i giovani? Possiamo dire che sono evaporati i valori della solidarietà e dell’attenzione al prossimo in loro, dopo aver visto centinaia di giovani arrivare con le vanghe sulle spalle e gli stivaloni ai piedi, pieni di entusiasmo ed energia, nelle zone alluvionate della Romagna? Solo nella mia città, Bologna, più di 4000 persone hanno risposto in meno di due ore all’appello del Comune che cercava volontari per ripulire cantine invase dal fango!
Io credo che quello che stiamo osservando nei ragazzi è la crescita di una nuova effervescenza solidale: un’energia difficile da imbrigliare in qualcosa di strutturato ed organizzato, in qualcosa di “chiuso”. Quella che i nostri giovani esprimono rispetto al volontariato è piuttosto una disponibilità fluida, capace di grande generosità, anche se magari meno costante nel tempo. Noto un grande desiderio di “star attorno”, più che di “star dentro” alle organizzazioni e agli impegni.
Questo è un male? No, non credo affatto. Credo che il nostro futuro vada nella direzione di accogliere la creatività di questo modo differente di servire e di amare il prossimo, senza erigere muri o lanciare anatemi, perché la carità, se è sincera, è sempre generativa.
Come Caritas mi dico che la nostra chiave per entrare in questo rinnovamento di Bene, di cui i giovani sono evidentemente lievito, resta comunque sempre la disponibilità all’accoglienza e alla collaborazione con tutti, a 360 gradi. Sempre più ci sarà bisogno di persone ed organizzazioni capaci di lavorare insieme ad altri, integrando differenze e aprendo nuove prospettive. In questo ci possiamo allenare tutti i giorni. L’Amore ci trasforma, lasciamoglielo fare.