La 59ª sessione di formazione ecumenica del SAE ha affrontato temi coinvolgenti sviluppando tre filoni: la questione biblico-teologica, sviluppata dalle teologhe donne; la complessa questione della ministerialità; e problematiche legate al genere, discriminazioni, modello di maschilità, idea di famiglia e famiglie.

a cura di Barbara Bonfiglioli

 Ognuno è una casa

Il rispetto delle identità promuove la comunione 

di Laura Caffagnini
giornalista

 Ha trovato apprezzamento e ha suscitato riflessioni la 59a sessione di formazione ecumenica del Sae alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli dal 23 al 29 luglio.

L’associazione interconfessionale di laiche e laici per l’ecumenismo e il dialogo a partire dal dialogo ebraico-cristiano ha scelto un tema attuale per le “case” cristiane: “Chiese inclusive per donne nuove e uomini nuovi. Edificati insieme per diventare abitazione di Dio (Ef 2,22)”. È stata una scelta coraggiosa visti i diversi e spesso faticosi approcci al genere all’interno delle stesse chiese. Una riflessione su una “terra incognita”, ha detto nell’introduzione Simone Morandini, membro del Comitato esecutivo del Sae, «comporta superare delle paure di smarrimento, condizionamenti e strumentalizzazione e chiede di muovere da alcuni oltrepassamenti teologici: oltre l’androcentrismo e un modello di maschilità macha e virilista, modelli patriarcali di famiglia e di relazioni; un maschile che pretende di essere neutro ed onnicomprensivo; il riferimento all’Uomo e alla Donna come realtà metafisiche di cui si vorrebbe cogliere l’essenza».

 I temi

Nelle plenarie è stata colta nelle Scritture e nelle scienze la pluralità dell’umano (Roberto Massaro, Ilenya Goss), si è parlato di un linguaggio non sessista per dire Dio (Marinella Perroni, Lidia Maggi, Vladimir Zelinski) e dell’accesso delle donne ai ministeri (Serena Noceti, Davide Romano, Athenagoras Fasiolo). Nei laboratori si è discusso di maschilità, famiglie, ecofemminismi, stereotipi di genere, sfide etiche, e si è studiata la relazione tra spiritualità e corpo nelle danze ebraiche.
La filosofa Debora Spini ha delineato l’attuale contesto sociale nel quale la giustizia di genere è ancora lontana, viste le violenze e le diseguaglianze a cui sono sottoposte le donne. I femminismi hanno smascherato il giogo del patriarcato che nelle società e nelle chiese ha schiavizzato le donne, ha ricordato Spini, ma oggi il capitalismo, i movimenti neoautoritari e i populismi di destra strumentalizzano certe istanze del femminismo egualitario e chiamano libertà quelle che sono nuove schiavitù.
La presidente del Coordinamento teologhe italiane, Lucia Vantini, ha messo al centro l’ascolto delle voci delle donne che, anche se storicamente sono state silenziate o private della giusta risonanza, sono cariche di una sapienza essenziale utile a orientare le trasformazioni in atto verso la costruzione di un mondo ospitale verso le differenze. Secondo la teologa un nuovo orientamento giova agli uomini per liberarsi da un patriarcato che li costringe a essere forti a ogni costo nascondendo emozioni e ferite; giova al creato che si libera dal dominio maschile; «fa bene alle nostre narrazioni perché ritrovano la pluralità delle vite e i nodi rimossi del reale; fa bene alla cultura, perché si apre finalmente a una memoria più giusta e a una speranza più audace».

 La partecipazione dei giovani

Tra i partecipanti alla sessione c’erano diversi giovani che hanno iniziato a riunirsi già la sera dell’arrivo. Maria Corbani, 28 anni, laureata in filosofia, frequenta le sessioni estive dal 2018. «Da quando partecipo, noi giovani ci frequentiamo molto da vicino: abbiamo cercato di conoscerci meglio nella via dell’amicizia e anche portando il livello della conversazione su tematiche complesse come i matrimoni interconfessionali o interreligiosi. Per noi è stato fondamentale capire che ci sono diverse prospettive per vedere le cose fuori dal nostro piccolo mondo». Maria rileva il consenso sul tema generale proposto quest’anno: «È piaciuto molto il taglio che il Sae ha dato a un argomento attuale, complesso e in divenire. Anch’io l’ho gradito e mi sono stupita di quanto ho rilevato rispetto alle diverse prospettive: ad esempio il modo in cui gli ortodossi si sono approcciati al tema che per la loro confessione è delicato. Mi è piaciuto che si siano messi in gioco, un fatto che non era scontato. I protestanti, rispetto alla loro mentalità e alle esperienze all’interno delle loro chiese, erano abituati a certi discorsi e li avevano già elaborati. È stato bello capire che nonostante ci siano differenze di visioni ci si può confrontare pacificamente».

 L’approccio interreligioso

Il tradizionale tavolo interreligioso delle sessioni del Sae ha visto esprimersi sul tema della giustizia di genere nelle rispettive religioni le studiose Sarah Kaminski, Paola Cavallari e Zineb Moujoud. Nell’introduzione il teologo Brunetto Salvarani ha citato come esempio di buona pratica il documento sulla giustizia di genere della Chiesa evangelica luterana in Italia (Celi) promosso e votato nel 2021 durante il 23° Sinodo. Il testo afferma che «è necessario riconoscere il dono di ogni persona e il suo valore di donna, uomo e persona non binaria. Da un discorso di giustizia di genere trae vantaggio tutta la comunità, mentre quando una persona è discriminata tutta la comunità è danneggiata». Secondo Paola Cavallari, fondatrice dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne che riunisce donne cristiane, ebree, musulmane, buddhiste e induiste, l’accesso delle donne a determinate leadership e ruoli di potere non dev’essere una estensione dei diritti già dati ma una rifondazione dei diritti a partire dalle differenze.
Hanno suggerito proposte per un futuro diverso il teologo Luigi Renna, vescovo di Catania, e la teologa Letizia Tomassone, pastora a Napoli, che ha auspicato una chiesa «che sia inclusiva e lasci spazio e voce a chi sta sulla soglia; che non abbia definizioni e risposte già pronte sui temi etici; che abbia una carica profetica tale da destrutturare il patriarcato e la sua architettura ecclesiale; che promuova un’antropologia dell’interconnessione e dell’interdipendenza, della tenerezza e della trasformazione; che sappia vedere le intersezioni fra genere, identità, cultura, classe sociale e ne faccia la base per pratiche trasformative della chiesa e della società».
Soddisfacente è stato il bilancio della sessione per la presidente del Sae, la valdese Erica Sfredda: «Abbiamo vissuto come fratelli e sorelle un laboratorio, abbiamo costruito qualcosa di nuovo con i nostri doni e le nostre fragilità. Ora occorre dare spazio al silenzio ricco di contenuti, di storie ed emozioni e pieno di Dio. Torneremo a casa arricchiti dai doni degli altri, dalla ricchezza dei dibattiti, dalla bellezza delle liturgie, e anche dalle fatiche».

 

 

L’Autrice ha collaborato all’opera curata da Giorgio Vecchio
Concilio e post concilio a Parma.
Il rinnovamento della Chiesa-Il cristiano nel mondo
(Vol. 1-2) - Parma 2018