Un giornalista di Radio Vaticana, il suo desiderio di una spiritualità più profonda e in sintonia con il sentire di oggi. Una serie di incontri con persone che hanno lo stesso desiderio, maturato su strade molto diverse. Così nasce una esperienza pastorale che va al cuore del problema del cristianesimo attuale: la crisi della vita spirituale e della sua centralità nell’esperienza di fede dei credenti di oggi. La “Rete sulla via del Silenzio” è un’esperienza pastorale che prova a recuperare proprio questo centro della fede.
di Gilberto Borghi della Redazione di MC
Ascolta, attendi, affidati
Se il silenzio è più eloquente del megafono
È un’idea venuta negli anni a Fabio Colagrande, giornalista di Radio Vaticana, a partire da alcune sue esperienze di preghiera silenziosa e di meditazione.
A partire da quella vissuta con Juri Nervo che, a Torino, nell’ex carcere “le Nuove”, ha creato un luogo di preghiera aperto a tutti. Poi l’incontro con l’eremita metropolitana Antonella Lumini, a Firenze, per pregare nella sua Pustinia. «Ero abituato - dice Fabio - a concepire la preghiera come un momento di riflessione sulla Parola, su quello che dovevo cambiare della mia vita, sul chiedere a Dio la forza di fare e di cambiare me stesso... Quel giorno mi si è aperto un mondo: ho scoperto il silenzio e l’attesa della voce di Dio dentro di me. Mi sono sentito accolto da Dio nel mio stesso cuore». Colagrande ha poi approfondito questa traccia, leggendo il volume La custode del silenzio, sulla preghiera silenziosa, scritto da Antonella con il giornalista Paolo Rodari; poi ha letto Ancor meglio tacendo, un altro libro-riflessione sulla meditazione cristiana scritto dal sacerdote del Cottolengo don Paolo Squizzato. Per altre vie ha conosciuto poi Marco Guzzi, fondatore a Roma del gruppo “Darsi pace”, che pure pratica la meditazione cristiana.
È la rete che pesca
E parlando con ciascuno di loro, Fabio ha capito che tutti avvertivano l’esigenza di fare rete. Così nel febbraio del 2018 è arrivato un primo incontro a Roma, poi un secondo a Firenze nel mese di giugno e un terzo a Torino a novembre. È da questi primi confronti e dibattiti che è maturata l’urgenza di dare vita ad una rete organizzativa per potenziare questa “buona pratica”, fino ad organizzare il primo incontro aperto al pubblico, che si è realizzato alla vigilia della pandemia, nel dicembre del 2019, al Pontificio Ateneo sant’Anselmo all’Aventino. È stato in quel convegno, dal titolo “Rompere il silenzio sul silenzio”, che Antonella Lumini ha fatto la proposta di far nascere la “Scuola delle Scuole di preghiera”. Questo ha attirato altri che già si muovevano sulla stessa linea: ad esempio padre Emiliano Antenucci, cappuccino rettore del Santuario della Madonna del silenzio di Avezzano, o padre Guidalberto Bormolini, monaco dell’Associazione “I Ricostruttori nella Preghiera” e autore del libro “L’arte della meditazione”, tanto che la Scuola ha vissuto i suoi primi otto appuntamenti di tre giorni fra marzo e ottobre 2022, affidati ad altrettante scuole di preghiera, nel convento della fraternità di San Leonardo al Palco nei pressi di Prato.
La “Rete sulla via del Silenzio”, infatti, vede tante scuole di preghiera messe insieme. Una delle cose belle di questa scuola sta proprio nel riconoscere ad ogni esperienza che vi partecipa il mantenimento della propria forma con cui si vive la preghiera del silenzio. Ma, nello stesso tempo, sottolineare il punto fondamentale che le accomuna: lo stare, il rimanere di fronte a Dio, nel silenzio che si fa attesa, facendo il vuoto interiore per poter ricevere la sua “presenza - voce - luce”. Come racconta Serena, 52 anni, un lavoro impegnativo, due figli ancora in casa e un padre malato da seguire. «Mi sentivo una specie di Gondrano, il cavallo stakanovista della Fattoria degli animali di Orwell. Convinto che l’unico scopo nella vita fosse di contribuire alla rivoluzione degli animali lavorando sempre di più, alla fine fu mandato al macello dai suoi stessi amici, quelli per cui si era sfinito di lavoro fino quasi a morirne. Mi arrabattavo nel tentativo di fare tutto, arrivare a tutto, controllare tutto e non mi accorgevo che, nel frattempo, dentro di me stavo morendo. Ero sempre presa da mille cose e più facevo più in realtà ero insoddisfatta. Mi sentivo arida, indurita, a volte quasi cinica. Poi, attraverso un’amica, ho fatto esperienza di questa pratica della meditazione silenziosa. Da allora non c’è giorno in cui per almeno mezz’ora non mi dedichi a questa pratica. Posso essere stanca morta, ma alla sera, quando tutti sono a letto, io mi siedo sul basso sgabellino di legno che la mia collega mi ha regalato, porto i piedi indietro finché le ginocchia non toccano terra, raddrizzo la schiena, mi metto comoda e avvio un po’ di musica, socchiudo gli occhi e recito la preghiera d’inizio che ormai so a memoria. Poi cerco di liberare la mente e di sentire solo il ritmo del mio respiro e comincio a ripetere dentro di me un’invocazione, una sorta di mantra, Maranathà, che in aramaico significa “vieni Signore”. Non è facile restare immobile, lasciando andare i pensieri, ma ne vale la pena».
Lo Spirito è più grande dell’ego
Padre Guidalberto Bormolini sottolinea bene come la modernità abbia dimenticato il pensiero mistico, in favore di quello logico razionale, spostando così il baricentro dell’uomo nella sua razionalità e dimenticando le dimensioni del corpo e dell’emozione. Cosa che produce, per reazione, il bisogno di “sentire” e “vivere” le cose, così diffuso oggi, prima che di pensarle. E il recupero di questa forma di preghiera rimette al centro proprio l’esperienza mistica della trascendenza, restando così molto più attraente e possibile per l’uomo di oggi rispetto alla tradizionale offerta di metodologie di preghiera.
E poi si tratta di passare da un approccio spirituale in cui noi ci serviamo di Dio, per riuscire a realizzare i nostri sogni, anche quando da soli non ci riusciremmo, ad uno in cui serviamo Dio, abbandonando la pretesa di poter essere noi a condurre la nostra vita e consegnandola alle sue mani. Spesso assistiamo oggi a forme religiose post moderne in cui, con un terribile delirio di controllo, il trascendente è ricercato per poter “prendere” i super poteri di Dio e usarli a nostro favore, credendo che i nostri progetti siano certamente nella sua volontà. Ciò che invece appare davvero interessante, proprio perché fuori dalla prospettiva del mantenere il controllo, è che qui il trascendente trasforma la nostra mentalità e ci attira nel suo controllo di amore. Lo spazio che questa esperienza di preghiera lascia alla presenza dello Spirito Santo va proprio in questa direzione, spingendo il fedele a passare da una fede utilitaristica ad una di amore in cui, prima della preghiera di richiesta, c’è lo spazio del silenzio in cui Lui si fa ascoltare e si rende presente, affinché noi ci lasciamo trasformare da Lui. Dice ancora Colagrande: “La preghiera di attesa è la forma di preghiera più completa: metter da parte il nostro ego e aprirci allo Spirito, abbandonandosi a Lui. Ma per praticarla occorrono disciplina e continuità”.
Quelli della “Rete sulla via del silenzio” sono convinti che la riscoperta della dimensione mistica della vita di fede sia la strada per rilanciare l’annuncio del Vangelo, contrastare modelli di vita consumistici e rispondere alla sete di spiritualità sempre più diffusa nell’epoca del post-secolarismo.