Metti l’Europa nel forno

Portare a compimento l’unità europea per rispondere - insieme - ai problemi di oggi

 intervista a Romano Prodi, già Presidente del Consiglio dei Ministri
a cura di Saverio Orselli, della Redazione di MC

 Europa, dove vai?

Ragionare di un nuovo ordine mondiale non può prescindere dal ruolo che deve – dovrebbe o potrebbe avere? – l’Europa e la persona giusta per affrontare il tema con questa prospettiva è Romano Prodi,

che in passato ha ricoperto il ruolo di Presidente della Commissione Europea, oltre a essere stato per due volte Presidente del Consiglio dei Ministri d’Italia.
Quale occasione migliore per incontrarlo – ci siamo detti, con francescana ingenuità – se non il Festival Francescano, dove domenica 24 settembre il Professore era invitato a parlare de “Il futuro sfida l’Europa”, convinti che, facendo parte degli organizzatori, fosse più facile superare le difficoltà di entrare in contatto con un personaggio che ha ancora tanto da dire e da insegnare e molti come noi gli chiedono di farlo.
Giustamente conteso e atteso, come è accaduto in piazza a Bologna, dove abbiamo potuto scambiare solo poche battute (qui riportate con parte di quanto detto davanti a diverse centinaia di persone), al termine dell’incontro nel quale l’Europa non ha fatto sempre una bella figura.
La prima difficoltà all’ordine del giorno europeo arriva dal problema ‘invasione di migranti’, definito da Papa Francesco a Marsiglia un problema inesistente, utilizzato in modo strumentale da chi vuole aumentare la paura relegando all’ultimo posto delle priorità la dignità dell’essere umano, mentre diversi Paesi europei sembrano chiudersi sempre di più all’accoglienza.

 

Scegliere, non obbedire

«Nell’attuale situazione politica europea, chi parla di tasse e chi parla di immigrazione perde le elezioni. Questa specie di paura di parlarne è evidente, anche perché, non avendone parlato insieme, non abbiamo preparato le strutture, l’organizzazione, la politica comune perché questo fenomeno avvenga in modo ordinato. Così c’è la contraddizione che da una parte abbiamo bisogno di immigrati, perché manca la manodopera – nonostante l’elevata disoccupazione giovanile – e dall’altra c’è la paura di accogliere chi chiede ospitalità permanente. Per questo esiste un rimedio solo: un accordo che organizzi l’immigrazione nei modi di cui abbiamo bisogno e definisca l’arrivo degli immigrati, come è successo quando c’è stata la grande fuga dalla Siria: i tedeschi hanno organizzato un milione di immigrati – i quali hanno fatto la fortuna della Germania, che ne aveva bisogno – e sono venuti a capo di un grave problema. Adesso, con il fenomeno sempre più diffuso e che coinvolge il continente africano, questa strategia va affrontata tutti insieme.
Ma in questo momento l’Europa sta vivendo una fase di fermo, se non addirittura di regresso. Basta vedere quanto è accaduto in Ucraina con una guerra che tutti riconosciamo essere in Europa: ci sono stati alcuni tentativi di mediazione, turca, saudita, ma non c’è stata dell’Europa, così come è grave che non ci sia stata da parte delle Nazioni Unite. Ci sono stati dei viaggi di singoli – Macron, il Cancelliere tedesco… – ma non c’è stata nessuna azione europea, perché, non avendo una politica estera e una politica militare comune, per affrontare i grandi problemi non riusciamo ad avere una iniziativa comune. Lo schieramento in favore dell’Ucraina, che è unitario a livello europeo, è venuto solo per un forte impulso americano, cioè l’Europa ha… obbedito, ma, quando era il momento di prendere una sua iniziativa, non l’ha mai fatto.

 Si può fare

C’è un rimedio? Sì, bisogna che sulla difesa, sulla politica estera e sui grandi temi si passi dalla unanimità alla maggioranza, come avvenne con l’introduzione dell’euro, che partì con i dodici Paesi che erano d’accordo e ora sono arrivati a venti. Per affrontare i grandi problemi, occorre che i Paesi fondatori si facciano promotori di una politica comune, a cui gli altri potrebbero aggregarsi successivamente.
Per essere concreti, il Paese che potrebbe fare tutto questo in un giorno solo è la Francia, perché se mette a servizio dell’Unione Europea il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’arma nucleare (ndr, è il solo paese a possederla, dopo l’uscita della Gran Bretagna a causa della Brexit) il giorno dopo si fa la politica estera europea. Purtroppo la Francia non fa questa scelta, perché come tutti gli ex imperi è un pilota che guida guardando solo lo specchietto retrovisore, cioè il suo passato: a volte può andare bene, ma spesso si va a finire fuori strada. Basterebbe questa decisione francese di mettersi insieme per creare una politica estera comune e già il giorno dopo abbiamo una tale forza economica, una tale dimensione e una tale immagine ancora nel mondo che potremmo fare moltissimo. Il problema è farlo.
Tornando sulla guerra in Ucraina, sia dal punto di vista finanziario che nel rifornimento di armamenti, l’Europa da due mesi pesa più degli Stati Uniti. Nessuno pensa a questo fatto e non abbiamo elaborato il minimo di politica europea – fortunatamente siamo uniti – ma non abbiamo previsto nulla insieme per il dopo e, non avendo un piano comune, non abbiamo nessuna voce. Questo è un problema. Per questo sostengo che l’Europa debba fare un salto in avanti, perché è l’unico pane buono che abbiamo creato, ma è ancora poco cotto… e un pane mezzo cotto non si mangia volentieri: bisogna che lo cuociamo del tutto.

 Rafforzare la democrazia

Uno dei più grandi problemi del mondo è la crisi delle democrazie. Per capire il problema dobbiamo considerare che, da una parte la Cina, con un miliardo e quattrocento milioni di abitanti, cioè il 19% dell’umanità - ed è il più grande paese industriale del mondo - ha solo il 6 o 7% delle terre coltivabili e non ha materie prime ed energia; la sua politica costante da quarant’anni è di cercare cibo, energia e materie prime dove ci sono e quindi tiene rapporti strettissimi con tutti i paesi del mondo. Dall’altra parte, gli Stati Uniti, grande paese democratico, hanno ogni ben di Dio, esportano energia, cibo, ecc. e fanno dipendere le loro decisioni dalla politica, che può variare per diversi fattori – una guerra come quella dell’Iraq o l’intervento in Afghanistan, scelti da un presidente e abbandonati dal successivo – che portano a un risultato che fa sanguinare il cuore: la maggioranza dei paesi si fida più della continuità della politica autoritaria che non della discontinuità della politica democratica. Questo è quel che sta succedendo.
Ma c’è un solo rimedio: il rafforzamento della democrazia vera. L’esito di tutto questo infatti è che nei paesi democratici c’è sempre meno continuità di governo e il distacco fra governi e popolazioni ha fatto sì che ci siano sempre più persone assenti dal processo democratico, tanto che in Italia come in tutti i paesi europei il partito più grande è quello dell’astensione. O la democrazia riprende una sua vitalità, come nei primi decenni del dopoguerra, oppure l’autoritarismo trionfa.
Per concludere con una nota positiva: tra le idee che possono cambiare il futuro in meglio, il programma Erasmus è un’idea fondamentale per far crescere l’Europa, tanto è vero che in Gran Bretagna i giovani hanno votato contro la Brexit, hanno votato per restare dentro e non per abbandonare l’Unione europea: questo dimostra che sulle nuove generazioni possiamo e dobbiamo scommettere!».