Dalla parte dell’erba

Fare rete dal basso è l’unica strada per lavorare al bene comune

 di Michele Dotti
Direttore di L’Ecofuturo Magazine

 Nel bellissimo film di fantascienza “They live” (Essi vivono) di John Carpenter, che affronta in modo geniale il tema dell’informazione e della manipolazione, il protagonista sviluppa una riflessione a mio avviso molto interessante:

«Nel mondo si contendono due grandi forze: una che spinge per l’ordine e una che spinge per il caos». Detta in questi termini parrebbe quasi un paradigma interpretativo utile a comprendere la realtà e a definire da che parte stare.
Ma proseguendo nella riflessione egli chiarisce meglio il suo pensiero: entrambe pensano ai propri interessi, le une traendo maggiore profitto da un mondo stabile e ordinato, le altre invece guadagnando di più dal disordine, che alimentano in ogni modo possibile.

 Né l’ordine né il disordine

Se ci pensiamo, parrebbe proprio così, anche ai giorni nostri. Alcuni gruppi di potere hanno interesse a cristallizzare un equilibrio dal quale traggono i propri benefici, per non dire proprio privilegi. Altri invece cercano continuamente di alimentare il caos, traendo da esso le maggiori opportunità di guadagno.
Nessuno fra questi, però, ha come obiettivo primario il bene comune, che sono anzi disposti a sacrificare in nome del proprio tornaconto personale. Per citare un proverbio africano: «Quando gli elefanti lottano, il vero perdente è l’erba che calpestano».
In questa prospettiva, la dualità ordine/disordine non appare molto utile - in senso assoluto - a comprendere la realtà. Se stiamo dalla parte dell’erba, occorre valutare di volta in volta il contesto e cercare di interpretare le forze e gli interessi in campo, nonché le concrete possibilità di compiere scelte utili per il bene comune.
In realtà io penso che sia tutto ancora più complesso perché, se ragioniamo sui potenti della terra, ci rendiamo conto che non entrano in gioco solo aspetti puramente economici, ma anche psicologici (a volte patologici), legati al senso di onnipotenza, che talvolta li spinge a compiere scelte anche al di fuori di una logica economica, convinti di poter scrivere la storia, o per lo meno indirizzarla, nella direzione che auspicano. Questo, spesso, nella convinzione di operare per il bene dell’umanità. Basti pensare al decisivo - e ampiamente documentato - sostegno finanziario di Rockefeller al movimento eugenetico, nella profonda convinzione che il miglioramento della “razza” e la riduzione della popolazione mondiale (in qualunque modo) fossero indispensabili per il futuro del pianeta che ci ospita e quindi anche degli umani stessi. La buona fede, come la storia ci insegna, non mette al riparo da errori drammatici e la concentrazione di un enorme potere in poche mani ci espone a rischi facilmente intuibili. Da questo punto di vista, che tali scelte siano per l’ordine o il disordine, ancora una volta, non fa molta differenza per la gente comune.

 La forza della rete

Forse, quindi, un paradigma interpretativo più interessante potrebbe essere quello che troviamo nella dualità piramide/rete. Questo può a mio avviso aiutarci a comprendere e a scegliere in modo consapevole, con l’obiettivo dichiarato di diffondere il potere attualmente concentrato in poche mani (coi rischi che abbiamo appena visto) passando da una società centralizzata, piramidale, a una società in cui tutto è gestito secondo una logica decentralizzata e di rete: energia, informazione, merci, servizi…
Vanno in questa direzione le comunità energetiche, i gruppi di acquisto solidale e tutti i progetti che organizzano servizi secondo questa logica di rete, anziché affidarsi - come avviene spesso per semplice comodità - ai grandi gruppi, consolidandone ulteriormente il potere.
Forse nessuna generazione nel corso della storia ha mai avuto fra le mani, quanto noi, la possibilità concreta di cambiare le cose in meglio. Da tutti i punti di vista.
E forse, purtroppo, di questo non siamo gli unici a renderci conto. Ecco, dunque, che entra in gioco il tema della disinformazione e del complottismo, ad essa strettamente connesso, come strumenti nelle mani dei potenti per disorientare, manipolare, confondere, al fine di poter continuare a gestire indisturbati i propri affari. Alcune ricerche, ad esempio, hanno dimostrato che risalendo sui social all’origine delle fake news, si arriva a un gruppo estremamente ristretto di persone (le quali poi si servono di innumerevoli vassalli e valvassori per difendere il proprio castello).

 La tecnica del polverone

Dicendo questo non vorrei essere frainteso. Personalmente non credo nei complotti. Mi spiego meglio: è innegabile che ci siano momenti e luoghi nei quali i potenti si incontrano per coordinarsi e cercare di ottimizzare la propria azione. Alcuni sono alla luce del sole, come i Summit di Davos, altri invece avvengono col favore dell’ombra, per poter operare indisturbati.
Ma da qui alle teorie complottiste c’è un bel po’ di strada. Per come è fatta la natura umana, trovo inverosimile che si riescano a ordire articolati complotti su vasta scala, coinvolgendo migliaia di persone, senza che qualcuna di esse non ne parli la sera a letto con la propria moglie, o marito. E a quel punto, attraverso l’amica e quindi la parrucchiera oppure l’amico e quindi il bar, in pochi passaggi la verità verrebbe presto a galla.
Credo che sia più frequente un altro tipo di manipolazione dell’informazione, che punta ad alzare un grande polverone per rendere indistinguibili le verità dalle menzogne, in modo da neutralizzare le informazioni potenzialmente scomode per i potenti. E questo non è certo meno preoccupante e difficile da affrontare. Ecco perché le teorie complottiste attecchiscono tanto: perché offrono una versione estremamente semplice – e banalizzante - della realtà, rendendola per molti di più facile comprensione.
Ecco dunque che il complotto, per tornare ai ragionamenti iniziali, più ampi, assume una connotazione diversa: una mistificazione della realtà per offrirne al popolo una versione estremamente semplice e facilmente comprensibile. Con tutti i rischi che ovviamente ne derivano.
Tocca a noi fare comprendere la necessità di affrontare la complessità della realtà, che non può essere banalizzata in qualche slogan, ma richiede – per essere davvero compresa - analisi più approfondite. E quindi tempo e impegno. Per il bene delle formiche.

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