Sulla strada della vita, divieto di sosta

Un inno alla trasformazione come modo di essere e di pensare

 di Monica Catani
insegnante di religione cattolica a Monaco di Baviera

 Con l'età adulta ho scoperto, non senza una certa sorpresa iniziale, che sono decisamente una persona che ama l'ordine. Chi vive con me a volte mi accusa addirittura di pedanteria.

Io affermo di rimando e strizzando l'occhio per tentare la carta dell'ironia, che non ci posso far niente e che la causa è da ricercare nel noto gene, di sicuro difficile da estirpare, che attraversando diverse generazioni, ha talvolta reso complicata la nostra vita familiare.
Forse è proprio per questa mia propensione genetica, che tanti anni fa mi sono stupita non poco, ma stranamente entusiasmata, quando ho avuto modo di toccare con mano un'immagine nuova e molto diversa dal mio pre-concetto di ordine, che io, come molti amanti, tendo spesso ad assolutizzare, mentre esso è inevitabilmente relativo.
Parlo della scrivania di un amico benedettino, abate Odilo, una di quelle persone di grande agilità intellettuale, raffinata simpatia e di semplice umanità. Qualità che gli riempivano la vita di una miriade di piccole e grandi attività quotidiane, che riusciva sorprendentemente a conciliare con una copiosa produzione di libriccini, libri e volumi.

 La scrivania del caos

Sulla sua scrivania pareva sempre che si fosse appena verificata un'esplosione. C'era di tutto e quel tutto era apparentemente privo di ordine con l'aggravante dell'enorme quantità: libri aperti o chiusi suddivisi per piccoli cumuli, fogli di diverse dimensioni, penne stilografiche, biro, pastelli e pennarelli, foto di ogni formato e tipologia, graffette e puntine varie, "post it" in tutte le variazioni cromatiche e di forma possibili, telefono e fax -  sì, parlo davvero di tanto tempo fa, dell'epoca in cui il computer poteva essere ancora considerato da qualcuno come uno strumento non strettamente necessario e che porta via inutilmente il prezioso posto dei libri sulla scrivania. Era un microcosmo affascinante in cui probabilmente solo chi lo aveva creato e lo conosceva bene sapeva muoversi con sicurezza e agilità. Quel micorocosmo, evidentemente, era figlio di una creatività sbrigliata e debordante che sembrava essere necessaria per far nascere tutti quei libri, così diversi fra loro, che ben conoscevo e che tutt'ora apprezzo.
Un disordine per me di primo acchito inquietante, ma che si abbinava al fascino del poter dare un'occhiata dietro le quinte, del toccare con mano il cantiere in cui nasce un libro. Il tutto in una specie di movimento statico di libri, foto, lettere e parole che volevano essere indirizzate per trovare una forma e dei contenuti nuovi. Un'immagine concreta che rappresentava l'allarmante bellezza del divenire, del fluido, della potenzialità. L'ordine dei libri negli scaffali era andato perso a favore della persona che li voleva tenere a portata di mano nell'urgenza di mettere le proprie qualità emotive, intellettuali, esperienziali e culturali a servizio di una trasformazione che era anche rinnovamento e crescita.
La scrivania disordinata corrispondeva all'uscita dalla zona di comfort, alla perdita delle certezze, all'abbandono della sponda sicura per il mare aperto inquietante, affascinate e sconosciuto e alla bellezza, a volte anche romantica, del mezzo che si spera ci porti alla nuova meta. Come un luogo di mezzo, un "non ancora" luogo, privo di certezze ma anche con la bellezza di una libertà che nell'attimo del presente era più o meno infinita.

 L’importanza del rompiscatole

A questo proposito mi torna in mente la risposta di un conferenziere, che, a fine serata, rispondeva alle domande di rito del pubblico. Dopo alcuni tentativi davvero validi ma rendendosi conto di non poter dare una risposta definitiva alla questione esistenziale appena posta, ha sfoderato il suo sorriso saggio e mite e ha detto: "Non possiamo avere sempre le risposte per tutto. E poi è molto più bello vivere con delle domande che con delle risposte". È la sana inquietudine della ricerca interiore o esteriore, del rimettersi sempre in discussione, del sapere di non essere mai arrivati e la provocazione di riuscire a vedere la bellezza di questo atteggiamento interiore.
Tempo fa leggevo una articolo che raccontava come nel mondo religioso anglossassone, specie nella chiesa anglicana, ci sia la seria volontà di riscoprire e valorizzare il cosiddetto "gift of not fitting in", il dono di non rientrare negli schemi, di essere dei rompiscatole. Si tratta di quelle persone che sul luogo di lavoro o in famiglia continuamente rompono le righe e non solo quelle, che sfidano, provocano, sono spigolose e costano spesso tanta fatica a coloro che li circondano. Proprio loro possono offrire un aiuto prezioso - e unico nel suo genere - per la crescita collettiva. È importante avere nella propria cerchia un rompiscatole seriale, che se lo prendi sul serio ti arricchisce perché ti costringe a rimetterti in gioco e nella migliore delle ipotesi ti fa sperimentare la bellezza della fatica, l'importanza e la bellezza del difforme nella forma.
Forma e sostanza, trasformazione, sono anche i termini liturgici relativi  all'eucarestia. La lingua tedesca usa la parola Wandlung, cioè "trasformazione" per ciò che l'italiano chiama "consacrazione". Mette l'accento quindi non sulla sacralità del momento ma sul cambiamento, sul divenire altro e quindi sul processo che include intrinsecamente passato, presente e futuro. Sottolinea dunque il divenire, la sua bellezza e l'energia "cinetica" che comporta. Dunque movimento, vita, una presa d'infinito e una bellezza intrinseca nel pane che diventa corpo di Cristo.

 Senza fermare il piede

Vorrei terminare - in bellezza - questi pensieri, lasciando la parola a un grande poeta: Hermann Hesse e la sua poesia "Gradini", molto conosciuta e spesso citata in Germania. Scritta dopo una lunga malattia - originariamente era stata intitolata "Trascendere" - racconta delle ripetute trasformazioni della vita, del continuo e intrigante movimento che è materia costitutiva della vita umana, che si muove tra il lasciarsi alle spalle e l'aprirsi al nuovo. E tra i gradini, quella magica bellezza che ci proietta nel nuovo inizio e ci aiuta a vivere. 

Gradini
Come ogni fior languisce e
giovinezza cede a vecchiaia,
anche la vita in tutti i gradi suoi fiorisce,
insieme ad ogni senno e virtù, né può durare eterna.
Quando la vita chiama, il cuore
sia pronto a partire ed a ricominciare,
per offrirsi sereno e valoroso ad altri, nuovi vincoli e legami.
Ogni inizio contiene una magia
che ci protegge e a vivere ci aiuta.
Dobbiamo attraversare spazi e spazi,
senza fermare in alcun d'essi il piede,
lo spirto universal non vuol legarci,
ma su di grado in grado sollevarci.
Appena ci avvezziamo ad una sede
rischiamo d'infiacchire nell'ignavia:
sol chi è disposto a muoversi e partire
vince la consuetudine inceppante.
Forse il momento stesso della morte
ci farà andare incontro a nuovi spazi:
della vita il richiamo non ha fine...

Su, cuore mio, congedati e guarisci...