Ricordando fra Claudio Palloschi

Un semplice e simpatico fratello orso

 

 

 

Spinadesco (CR) 16 novembre 1962
† Castelverde (CR) 4 marzo 2023

 

 

A causa di un Alzheimer davvero troppo precoce, sabato 4 marzo, ad appena 61 anni, ci ha lasciati fra Claudio Palloschi.

Il martedì successivo le esequie, presiedute da fra Matteo Ghisini, sono state celebrate a Spinadesco, in provincia di Cremona, nella chiesa che ha accolto tutto il suo percorso di iniziazione sacramentale. Eravamo tanti, noi, suoi ex-compagni e frati della provincia. Non c’è da stupirsi: dietro una maschera da orso, fra Claudio nascondeva e talvolta manifestava grandi tenerezze e gioie ingenue. Tutto sommato, era facile volergli bene.
Fra Valentino Romagnoli nella sua omelia ha detto che fra Claudio era uno di quei piccoli che sono beati perché, non ai sapienti e ai dotti, ma a loro Dio rivela le sue cose (cf. Lc 10,21). Ecco, anch’io lo vedo così. Anzi, sono convinto che il suo arrivo in cielo sia stato salutato da Gesù e da tutta la combriccola celeste con capriole di gioia ed esultanza. E cosa avrà detto a Santa Bertilla e Santa Faustina Kowalska? Tanto abituata, la prima, a sentirsi chiamare “oca” per la sua lentezza, da presentarsi dicendo: «Non so far nulla, sono un’oca». Alla seconda si deve la devozione a Gesù misericordioso e la preghiera della coroncina. Fra Claudio ha ricevuto tanta consolazione pregando “con loro”, perciò, se il primo abbraccio in cielo è stato per suo fratello Fabio, che nel 2016 a soli 54 anni l’ha preceduto, subito dopo sarà stato il turno delle due sante e poi, tutti e quattro, avranno festeggiato con un bel girotondo.

 Il travaglio di un percorso

Qui, nel convento di Scandiano, la stanza che è stata di fra Claudio la distinguiamo dalle altre indicandola come “quella di Stellina”. Stellina era il suo soprannome, visto che lui, con tenerezza e ironia, spesso ci chiamava così. Io e Claudio ci siamo conosciuti tra i monaci cistercensi a Chiaravalle di Fiastra. Era la Pasqua del 1994. Lui indossava l’abito monacale, io, ancora in ricerca vocazionale, jeans e camicia. Fra Claudio era arrivato lì da poco e io non sapevo che, prima di allora, era già stato sette anni tra i frati minori. Ancor meno potevo sapere che, entrando in convento tra i cappuccini, lo avrei incontrato di nuovo come mio compagno di postulandato. Lasciato il monastero, fece alcuni mesi di accoglienza a Cesena, per unirsi a noi, da postulante cappuccino, nel gennaio del ’97 a Modena.
Basterebbe questo per definire travagliato il suo percorso vocazionale. E invece il travaglio ebbe ancora vari sussulti in direzioni diverse. Da dove veniva l’inquietudine che lo induceva a questo strano moto perpetuo? Non saprei, ma credo che lui ora sia d’accordo con me, se dico che più di una volta è caduto in un tranello. Invece di affrontare il nodo che gli pesava dentro, sentendolo, forse, troppo aggrovigliato, proiettava fuori il disagio. Così i cambiamenti di scenario illudono prima, deludono poi e il copione della propria inquietudine non cambia. Claudio ha avuto a che fare con questa trappola, ma scagli la prima pietra chi ne è rimasto immune. Io, lasciando, e non scagliando le pietre, me ne vado con i primi, i più vecchi (cf. Gv 8,9).

 Un legame inscindibile

E non basta. Ogni volta che fra Claudio ha lasciato l’ordine religioso cui apparteneva, ha sempre chiesto, dopo pochissimo tempo, di essere accolto altrove. Un errore? Cedere all’oggettività glaciale di questa osservazione, mi farebbe mancare del tutto la presa sul senso della sua vita. Con un po’ di empatia in più preferisco dire che l’esiguità di tempo, che fra Claudio concedeva al discernimento tra un’esperienza e l’altra, deve essere vista come il segno di un legame inscindibile. Quello che, nonostante tutto, lui ha costantemente custodito tra la sua storia, i suoi travagli e la vita religiosa.
Claudio conosceva bene i limiti della sua formazione culturale e gli costò molta fatica ogni ora passata con noi sui banchi di scuola. Aveva ugualmente trovato il modo di non considerarsi “un’oca”. Un giorno a Santarcangelo, entrambi novizi, dovevamo pulire insieme i bagni. «Tu hai studiato, io no», mi disse, «questa mattina però è meglio se facciamo come dico io». Guidò lui le operazioni e mai bagni furono più puliti di quelli!
Il rientro definitivo tra noi cappuccini seguì questo itinerario: accolto a Sant’Agata Feltria il 24 marzo del 2002, di lì fu trasferito a Bologna, quindi a Cesena dove fece un nuovo noviziato ed emise una nuova professione temporanea il 14 febbraio del 2004. Andò a Cento dove fece la professione perpetua il 24 marzo del 2007. Dopo un breve passaggio a Reggio Emilia, nel 2011 giunge a Scandiano dove rimane per 8 anni.

 Stellina in una stanza (e in sacrestia)

Il periodo più lungo della sua vita da frate si è svolto qui, tra la sua stanza e la sacrestia della nostra chiesa, dove tante persone lo cercavano per segnare una messa in memoria di un loro caro defunto, ma anche per affidare le loro pene al suo ascolto partecipe e alla sua preghiera. Molti di loro tuttora lo ricordano con gratitudine.
Ricordo quando passai da Scandiano e salii a salutarlo in camera. Per me, patologicamente disordinato, l’ordine che vi regnava odorava di mistero. «Ogni cosa ha un posto qui», dissi. «Non solo», mi rispose sorridendo, «ogni soprammobile deve restare sempre nell’angolazione che io gli ho dato» e che a me appariva sghemba. Ma così l’angioletto sul comodino poteva guardare e consolare il piccolo crocifisso sulla scrivania. L’ordine del tutto dipendeva dalla corretta relazione di ogni piccola cosa con tutte le altre. Camera sua era un piccolo mondo antico, una specie di raffinato e devoto ecosistema. Aveva trovato un suo equilibrio fra Claudio, ma allo stesso tempo sapeva che quell’equilibrio andava difeso con le unghie e coi denti, facendo leva là dove era possibile. Anche sui soprammobili.
Tra gennaio 2019 e dicembre 2020, lasciò Scandiano per una sosta di quasi due anni nella comunità di Città di Castello (Perugia), infine andò in infermeria a Reggio Emilia, già pesantemente segnato dalla malattia. Continuava, tuttavia, a mostrare l’amore che nutriva per Dio e per i fratelli, facendo ordine e prendendosi cura della casa. Nel 2021 si decise che la cosa migliore per lui fosse tornare a Spinadesco perché sua madre, Marisa, potesse prendersene amorevolmente cura.
Ecco, fr. Claudio, eri consapevole della tua piccolezza e perciò, quasi senza saperlo, nel tuo servizio, manifestavi il volto misericordioso dell’Altissimo. Grazie, Signore, per averci donato un piccolo e prezioso frammento della Tua luce nella tua e nostra “stellina”!

fra Fabrizio Zaccarini