«Ciao amore, ciao amore ciao»… Le note e le parole della canzone di Tenco raggiungono il cerchio degli amici del Tè dal lontano 1967 e Maura ci riassume in una domanda il tema di oggi «La canzone ci racconta il viaggio di qualcuno da un’economia rurale all’industrializzazione ed io vi chiedo: in questo tragitto che ha attraversato anche le nostre vite, come è stato il percorso?».

a cura della Caritas di Bologna

 Esuberi di tutto il mondo: stringiamoci!

Il denaro, il lavoro, la vita

   IL TE' DELLE BUONE NOTIZIE

«In questi anni ci sono stati davvero tanti enormi cambiamenti; i dati ci dicono che, dal 2015 nel mondo, l’1% della popolazione planetaria possiede più ricchezza del restante 99% e che in Italia nel 2016 l’1% della popolazione possedeva il 25% della ricchezza.

Sono numeri che ci fanno ragionare. Ma noi, ci sentiamo protagonisti della vita economica del nostro paese?».

 Dolce o amaro?

Nel cerchio comincia a crescere un mormorio di disapprovazione. Il gruppo ondeggia sulle sedie, qualcuno scuote la testa e qualcun altro ridacchia beffardo. Maura si guarda intorno consapevole e prosegue: «È un tema sensibile ed anche papa Francesco ha deciso di dedicare tempo ed energie per stimolare una riflessione sull’economia: dal 2020 ha voluto che ogni anno si incontrassero giovani imprenditori e giovani economisti, da tutto il mondo e di ogni credo, proprio per riflettere in modo nuovo su questi aspetti. Nel 2022 ha anche offerto tre indicazioni molto chiare ed interessanti per guidare la riflessione, ve le elenco: leggere il mondo con gli occhi dei poveri e cercare strade che li rendano protagonisti; valorizzare i lavoratori ed il lavoro, che sia davvero buono per tutti; non elaborare solo teorie, ma concretizzare dei fatti. Mi sembrano tracce molto positive, però qui è importante portare a galla le nostre esperienze. Dunque, quando parliamo di impegno nella società e di esperienze lavorative, che sapore abbiamo in bocca? Dolce o amaro? Dalle buone intenzioni ai fatti: che significa per noi?».
«I fatti che diventano mercato, moneta…», interviene subito Daniele riflettendo a voce alta, «Non credo di essere d’accordo. Un conto è essere istruiti ed un conto è costruirsi una vera cultura: non si tratta di soldi qui. Ho lavorato per 35 anni e non so neanch’io come ho fatto a resistere. Se tornassi indietro, farei il barbone seriale da subito! Né la moneta e nemmeno la competenza per fare sono gli unici valori: è il cammino per essere umani che conta!».
«Io ho lavorato per 30 anni nella ristorazione», si fa avanti Francesco, la voce dura, intrisa di risentimento, «Ci credevo davvero nell’economia di mercato, lavoravo 14 ore al giorno, ero instancabile e guadagnavo bene. Poi mi sono ammalato e sono rimasto solo. Non servivo più, perciò mi hanno trattato come il numero della mia pratica Inps. Allora dico: se vuoi bene alla tua anima, vuoi bene a ciò che conta davvero e di quello ti devi occupare. Oggi, come persona che combatte con una malattia, io riconosco il valore di me stesso, della mia salute e solo ora capisco anche il valore degli altri; prima pensavo solo a guadagnare».

 Borsa dei valori

«Il grande valore oggi è l’uguaglianza, secondo me», dice Maurizio, «ma certo capisco che sia un’utopia… Il mondo non sarà civile finché non saremo capaci di realizzare la Costituzione: ognuno dovrebbe avere una casa ed un lavoro. Lo so bene che non sarà mai un mondo di uguali, perché siamo tutti diversi, ma cerchiamo almeno di impegnarci a dare un tetto a tutti e che ognuno abbia, per la sua dignità di persona, un lavoro vero».
«Ah, la Costituzione! Il fatto è che noi abbiamo smesso di combattere e dato per scontata la libertà che abbiamo ricevuto», si inserisce Ivano, la voce pacata ma ferma, «Noi tutti siamo cresciuti su certi schemi: nasci, studi, lavori, ti sposi, fai figli… Siamo confezionati tutti così e a noi non resta che adeguarci. Invece dobbiamo ribellarci a questo sistema sbagliato! Ho svolto diversi lavori, ma, solo quando mi son ritrovato a fare il badante, ho capito chi ero e mi son scoperto davvero fiero del mio lavoro. Per giunta ho anche trovato un nuovo papà e una nuova mamma. Per recuperare la nostra libertà, dobbiamo avere il coraggio di ribellarci ai disegni che il sistema ci impone e comporne uno nostro, originale: io l’ho trovato facendo il badante: sta a noi diventare protagonisti della nostra storia!».
«Io non ho mai lavorato», si aggiunge Emanuela, «o meglio, ho sempre lavorato a casa come casalinga. La mia dignità è passata non dal denaro, ma dal fatto che ho vissuto per crescere la mia famiglia e i miei figli: penso che questa sia la mia vera dignità. Sono convinta che non tutti i valori siano monetizzabili, in fondo ognuno di noi vale per quel che è, non per quel che ha».
«Secondo me bisogna stare molto attenti», interviene Marcello, sicuro, «Siamo tutti d’accordo che il lavoro dia dignità, ma poi non è la stessa cosa se sei un badante o un imprenditore. È vero anche che il valore non si monetizza, ma il denaro serve se vuoi una casa. Io non ho casa, non lavoro da tempo e non sono felice così. Ho fatto il liceo linguistico e poi l’università che però non ho finito. Ho lavorato per tanti anni in una ditta e non mi sentivo realizzato; ho abbandonato e ho messo in piedi una mia attività di rappresentanza, ma alla fine son dovuto tornare a fare l’operaio e lì ho capito davvero cosa fosse lo sfruttamento. Quando è nato mio figlio mi sono licenziato: non volevo che mi conoscesse come uno schiavo. Certo, col senno di poi, fu un errore, ma in quel momento ascoltai l’istinto. Oggi mi sento ai margini: parlo tre lingue, ma ho 56 anni e nessuno è più disposto a darmi un lavoro: altro che “furbetti del divano”! La verità è che se non sei giovane non ti vogliono! Per fortuna, ho mantenuto un ottimo rapporto con mio figlio e, nonostante la mia situazione, lo vedo ogni giorno. Insieme cresciamo e stiamo bene: è lui il vero valore della mia esistenza!».

 Vacillare stringendosi per resistere

«Sapete? Pensavo che forse sbagliamo a dare la colpa a quell’1% che possiede tutto», dice Maurizio provocatorio, «Credo invece che ognuno di noi dovrebbe darsi un po’ più da fare e forse dovremmo anche imparare ad alzare un po’ di più la voce su questi temi».
«In effetti… C’è tanta gente che non paga le tasse, già lì ci sarebbe da sistemare…», si fa avanti Patrizia, «e poi c’è questa terribile competizione nel mercato del lavoro che finisce per danneggiare anche i giovani: anche loro faticano a trovare lavoro di questi tempi».
«Bisogna avere il coraggio di opporsi!», esclama Robert, che, per difendere la povera gente dagli sfratti esecutivi delle loro case, non ha esitato in passato a fare picchetti e a prendersi insulti e botte.
L’atmosfera si è scaldata e ci ritroviamo abbracciati, in cerchio, a chiudere l’incontro. La voce di Maura ci guida in quest’ultimo passaggio: «Eccoci al rito finale! Ora così abbracciati, cominciamo ad ondeggiare, piano piano; prima lentamente verso sinistra e poi verso destra… Sapete già ciò che significa questo gesto: serve a ricordarci che la vita ci può far sempre vacillare e succede che, se vacilliamo soli, finiremo per cadere, ma se vacilliamo stringendoci insieme, resteremo in piedi!».
Mentre ondeggio in compagnia, mi vien da pensare che certamente non abbiamo risolto alcun problema di economia oggi, ma in realtà ne abbiamo posto le fondamenta, almeno secondo la logica di papa Francesco: non limitarsi a lavorare per i poveri o con i poveri, ma guardare il mondo con i loro occhi e renderli protagonisti per aprire cammini inediti. Quanto futuro in una tazza di tè!