E se le pecore pagassero il pastore?

Occorre attuare un ripensamento del sistema dell’8x1000

 di Elia Orselli
della Redazione di MC

 
«Se fare un gesto d’amore ti fa sentire bene, immagina farne migliaia» è lo slogan che ha aperto il 2 maggio scorso la campagna annuale di sensibilizzazione per la firma dell’8x1000 per la Chiesa cattolica in Italia.

Le radio lo ripetono spesso, in tv si vede lo spot. E non mancano le risposte degli altri partecipanti alla raccolta: la Chiesa valdese ha riproposto il suo «altro 8x1000», rimarcando quanto sia trasparente e rimproverando - forse non senza qualche motivazione - la sorella maggiore di mancanza di trasparenza o di selezione dei destinatari delle erogazioni; l’unione buddista invece ha optato nel ricordare come i fondi siano destinati anche ai cari animali (quelli che ogni tanto il papa invece ricorda non essere sostitutivi dei figli…); la Presidenza del consiglio dei ministri poi, dal canto suo, non manca di ricordare che è a disposizione anche l’opzione laica, a favore di ricerca scientifica, contrasto della fame nel mondo, interventi in caso di calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione dei beni culturali, manutenzione delle scuole…
Il sistema dell’8x1000, ideato in Italia nel 1984 con l’accordo per la revisione dei Patti lateranensi e divenuto legge nel maggio 1985, è la forma con cui la Chiesa cattolica italiana ha strutturato il proprio sostentamento, in parallelo alla raccolta di offerte dirette, superando il precedente sistema di benefici e di rendite che generava notevoli disparità tra diocesi, tra parrocchie e tra gli stessi sacerdoti. La legge 222 infatti, oltre ad avviare il processo di attribuzione della personalità giuridica agli enti ecclesiastici in Italia, normava - in parallelo al codice di diritto canonico - l’attività degli Istituti per il sostentamento del clero, da erigere sia a livello nazionale che diocesano. Le proprietà (e le conseguenti rendite), spesso concentrate in alcune diocesi o parrocchie, confluivano quindi in un sistema uniforme, con obblighi di bilancio e revisione, orientato alla redistribuzione delle rendite nelle diocesi, considerando che le famiglie religiose - tra cui i cappuccini - non accedono direttamente al sistema dell’8x1000, se non in ragione del lavoro svolto da singoli membri (parroci, insegnanti, incaricati diocesani…). Rendite contestualmente integrate dalla legge con la quota dell’8x1000 dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, con una modalità unica nel suo genere per uno Stato europeo: se in Germania l’imposta di culto è aggiuntiva per il fedele registrato, in Francia il denier de l’Église è una donazione su base volontaria detraibile dalle imposte.

 Qualche conto

L’importo annualmente trasferito dallo Stato alla Chiesa cattolica è pari a poco più di 1 miliardo di euro  (nel 2022 - sulla base delle scelte della dichiarazione dei redditi 2020 - 1.111.579.912,00 euro) e viene suddiviso dalla Conferenza episcopale in tre macroaree di intervento: sostentamento del clero; esigenze di culto e pastorale; carità. Pur non arrivando al livello di dettaglio nella rendicontazione degli importi proposto dalla Chiesa valdese - che comprende l’elenco pubblico dei singoli progetti finanziati - anche la Chiesa cattolica si è dotata di un rendiconto di esercizio pubblicato in un sito internet dedicato, per un processo di trasparenza, certamente ancora incompleto, ma che già consente di raccogliere alcuni elementi utili per la riflessione.
Nel 2022, il 38,7% delle risorse è stato destinato al sostentamento del clero, mentre le attività di culto e pastorale ricevono il 34,6% e la carità il restante 26,7%.
Nell’ambito destinato alla carità la ripartizione ulteriore è tra le diocesi (14,1% del gettito complessivo), gli interventi in altri paesi del mondo (7,6%) e le iniziative di rilievo nazionale (5%). Le attività di culto e pastorali invece si suddividono in attività delle diocesi (14,9%); edilizia di culto e beni culturali (10,3%) e altre esigenze (9,4%, diviso tra fondi per la catechesi, tribunali ecclesiastici e iniziative nazionali).
Se questi ambiti di attività sono più facilmente visibili (e forse giustificabili) anche all’esterno e in larga parte sono volti al mantenimento di beni - specialmente quelli artistici e culturali - che sono di beneficio per la collettività credente e non, più complessa è la riflessione relativamente al sostanzioso capitolo relativo al sostentamento del clero. La cifra in sé può sembrare sostanziosa (410 milioni di euro nel 2022 dall’8x1000, poco più di 451 milioni se si aggiungono gli apporti degli istituti diocesani di sostentamento del clero e le erogazioni liberali), ma già ripartendola per il numero di sacerdoti (29.407 attivi e 2.573 non abili a prestare servizio) si ottiene un valore medio di meno di 1.200 euro al mese per sacerdote.

 Occorre una riflessione

In una fase di contrazione delle firme per la destinazione dell’8x1000 e con l’allargamento della platea dei destinatari, pur rimanendo la Chiesa cattolica il destinatario principale delle erogazioni e pur sapendo che - in ragione del calo delle vocazioni e dell’invecchiamento dei sacerdoti - si può prevedere una riduzione delle necessità di sostentamento, è chiaro come una riflessione sia necessaria (e in corso) nella Chiesa italiana per comprendere quali siano le linee di sviluppo per un sistema che, fino ad ora, ha forse dato l’impressione di una capacità illimitata di risorse e allontanato le comunità dalla diretta responsabilità per il mantenimento del clero. Da un lato, ci racconta don Fabio Gennai, presidente dell’Istituto per il sostentamento del clero della diocesi di Imola, un primo impegno è interno alla rete degli istituti: valorizzare il proprio patrimonio in modo che possa produrre rendite nel tempo, pur non snaturandone le caratteristiche: considerando, ad esempio, gli appartamenti affittati, non è pensabile che siano posti a canoni di mercato, quando larga parte degli affittuari sono in situazione di bisogno o di limitata disponibilità economica.
D’altra parte, invece, merita attenzione l’esperienza, nata nel 2017 proprio nella diocesi di «una comunità, un mese un sacerdote», dal 2022 ampliata e diffusa a livello nazionale con il nome «Uniti nel dono». La proposta è semplice: può per un mese la comunità parrocchiale raccogliere lo stipendio del proprio parroco? Invitare le comunità parrocchiali a una raccolta specifica, con offerte - similmente al caso francese - detraibili dalle imposte, per misurare l’impegno necessario al sostentamento economico di almeno un sacerdote che la accompagna. Vissuti già dall’inizio nella mia comunità parrocchiale, il percorso e il ripensamento della modalità di sostentamento dei sacerdoti sono apparsi nel loro valore: si è passati da un primo, timoroso invito alla donazione, quasi come si stesse trattando di un argomento scabroso, alla serena presa di coscienza della responsabilità della comunità nel provvedere alla propria vita, compresa quella del sacerdote che cammina con essa.