Processi in processione

Come Chiesa possiamo attivare tante iniziative di buona economia

 di Andrea Piccaluga
docente di Management alla Normale di Pisa

 
Il contributo della Laudato Si’

Ho la grande fortuna di lavorare all’università. E come noto, all’università c’è grande libertà di ricerca.

Mi sono sempre occupato di Economia e Gestione delle Imprese, ed in particolare di Gestione dell’Innovazione e di Trasferimento Tecnologico. In altre parole, faccio ricerca su come le imprese concepiscono e sviluppano nuovi prodotti e servizi e su come i risultati della ricerca pubblica possono arrivare ad avere un impatto positivo sulla società. Questi sono i temi di cui mi sono occupato da quando ho iniziato a fare il dottorato di ricerca, nell’ormai lontano 1991.
Tuttavia, come molti amici, colleghi e conoscenti sanno, l’enciclica Laudato si’ (LS) ha avuto un forte impatto sulla mia vita professionale, e non solo. È infatti successo che mia moglie mi abbia simpaticamente incalzato e provocato, subito dopo l’uscita della LS. «Sei un economista, sei francescano, il papa pubblica la Laudato si’ facendo riferimento a san Francesco e tu non ti occupi di economia in ottica francescana? Se ne occupano in tanti che non sono francescani e tu niente?». Aveva clamorosamente ragione e come prima cosa chiamai l’amico fra Marco Asselle per iniziare a pensare e scrivere un libro che fu poi pubblicato da Edizioni Porziuncola con il titolo di “Sorella Economia”.
Da quel momento ho iniziato a dedicare molta della mia attività di ricerca a come l’economia può contribuire a migliorare il mondo, invece che peggiorarlo, ed in particolare al contributo delle imprese. Esistono infatti tanti imprenditori e tante imprese che riescono a stare sul mercato vendendo i propri prodotti e servizi e allo stesso tempo “fanno del bene” in molti modi diversi, prendendosi cura dei loro dipendenti, del territorio intorno all’impresa, dei giovani, provando a risolvere i problemi della società, ecc.
Negli ultimi anni ho avuto molte occasioni di parlare di questi temi in convegni, corsi di formazione, parrocchie, scuole, ecc. Nelle parrocchie, in particolare, sono due i temi che emergono più frequentemente. Il primo è il ruolo della finanza e delle banche, che non tratterò qui. Il secondo è il contributo che può dare la comunità ecclesiale, sul quale proverò a fornire qualche spunto.

 L’importante è iniziare

Molto spesso il Papa invita ad avviare processi. Come dire «è vero che nel mondo ci sono grandi problemi, che se ne devono occupare i politici, le Nazioni Unite, ecc., ma voi, intanto, fate la vostra parte ed avviate processi. Non importa se vi sembrano iniziative piccole. Voi iniziate a fare qualcosa». Si tratta di un approccio molto interessante e concreto a cui le nostre comunità parrocchiali e le nostre fraternità possono ispirarsi. Spesso passiamo tanto - troppo - tempo a discutere, progettare, e alla fine non facciamo niente. San Francesco pregava, intuiva qualcosa e poi si metteva all’opera. E per fortuna intorno a noi troviamo tanti esempi belli di iniziative concrete di “buona economia” nelle nostre comunità ecclesiali.
I GAS - Gruppi di Acquisto Solidale - sono iniziative tramite le quali gli acquisti vengono effettuati direttamente alla fonte. Non tanto per spuntare prezzi di favore, quanto per acquistare da fonti sicure, di qualità, che magari hanno fatto scelte importanti in campo sociale. Attivare un GAS non è poi così complicato. Ci vuole qualcuno che ci dedichi un po’ di tempo e magari anche un po’ di spazio fisico, ma si tratta di iniziative tutto sommato fattibili e che possono anche coinvolgere persone che non fanno necessariamente parte delle nostre comunità ecclesiali.
Un secondo esempio sono le iniziative che mirano a creare consapevolezza e a fare circolare informazioni nelle nostre comunità. Infatti, sono molte le persone che vorrebbero adottare comportamenti di acquisto più coerenti con le proprie scelte di fede e di cittadinanza, ma semplicemente non riescono a farle perché non hanno informazioni precise sui prodotti e servizi di cui hanno bisogno. Chi ci può dire, infatti, se è meglio rivolgersi alla banca X o alla banca Y? Se investe di più nell’ambiente e nel sociale il pastificio A o quello B? Esistono un po’ di informazioni, ma non sono di facile reperimento e gestione. Ben venga, quindi, chi a livello di parrocchia/fraternità o magari a livello di diocesi, si sforza di raccogliere e fornire informazioni su questi temi.
Un altro esempio è dato dalle pratiche di condivisione e riuso dei beni. Queste pratiche, che possono essere supportate da specifiche app oppure da semplici dinamiche di “passaparola”, consistono nella condivisione di beni di vario tipo (qualcuno presta il proprio tagliaerba o il proprio trapano, evitando che tutti quelli che ne hanno bisogno ne comprino uno) e nella accurata conservazione e messa a disposizione di beni che hanno ancora una vita utile (tipicamente l’abbigliamento per bambini). Queste pratiche aumentano la conoscenza e la collaborazione tra le persone e possono anche essere collegate ad offerte ad associazioni di volontariato, ecc. Nel senso che, dato che uso il tagliaerba dell’amica Luciana invece di comprarne uno, posso offrire un po’ di euro per attività a beneficio dei poveri.
Un’altra cosa fattibile, nelle comunità/fraternità che fanno un cammino di fede, è quella di raccogliere soldi, una sorta di “decima” che poi i responsabili della comunità/fraternità possono dare, magari nell’anonimato, a persone che ne abbiano bisogno.
Questi sono solo alcuni esempi relativamente semplici, ma esistono anche casi di comunità che hanno costituito cooperative, magari coinvolgendo persone in difficoltà. Talvolta queste cooperative o associazioni fanno uso di beni immobili di proprietà di parrocchie, diocesi oppure ordini religiosi.

Coinvolgere i laici

Purtroppo anche la Chiesa è stata talvolta protagonista, in passato, di cattiva gestione in campo economico. Investimenti finanziari non appropriati, cattiva gestione di processi di vendita di beni immobili, sprechi di denaro per beni e servizi acquistati con superficialità, ecc. È ovvio che la buona economia innanzitutto deve essere basata sul non fare cose sbagliate. Ma poi c’è anche una questione di gestione attiva dei beni immobili per la costruzione di una economia migliore, per avviare processi virtuosi. E qui abbiamo un problema che può diventare una opportunità.
Il problema è rappresentato dai tanti beni immobili di proprietà di diocesi, parrocchie, ordini religiosi, congregazioni, che invece di essere un asset sono spesso un peso. Perché non ci sono i soldi per la manutenzione, perché mancano i sacerdoti o i religiosi/religiose per portare avanti progetti, ecc. L’opportunità è data dalla possibilità di lanciare nuovi progetti, magari con le comunità/fraternità di laici che vivono vicino a tali beni; purtroppo ciò non è semplice, per diversi motivi. Innanzitutto per questioni amministrative o legate alla destinazione d’uso dei beni, poi per la difficoltà di concepire dei progetti che siano anche auto-sostenibili dal punto di vista economico, ed infine perché gli enti proprietari spesso non sono molto propensi a dare fiducia a comunità di laici, prendendo decisioni che impegnano per molti anni. Sappiamo bene, infatti, che chi è responsabile di una congregazione o di una parrocchia non ritiene opportuno prendere impegni per chi verrà dopo di lui/lei, ma per la costruzione di progetti belli, importanti, a valere nel tempo, ci vuole un po’ di sana propensione al rischio. Che dopo tutto è quella che ha sempre caratterizzato il nostro amato san Francesco.

 Nel dubbio, i poveri

Abbiamo quindi forse bisogno di laici più intraprendenti e preparati a lanciare progetti con una certa complessità gestionale ed economica ed anche di enti ecclesiali che si fidino un po’ di più di questi laici e che prendano con loro impegni formalizzati di lungo termine. Se poi, nel progettare nuove iniziative, abbiamo dubbi sulla strada da prendere, l’esperienza di san Francesco e di tanti “santi della porta accanto” ci dimostra che, se ci mettiamo nei panni degli ultimi e proviamo a pensare come loro, difficilmente faremo grandi errori.