Un’impresa possibile

Oggi è più facile per un imprenditore coniugare esigenze economiche e fede

 di Marco Piccolo Reynaldi
CEO e Presidente di Confindustria Piemonte per la Responsabilità Sociale d’impresa

 La prima scuola di economia al mondo “scuola di economia civile” è nata in Italia nel 1754 a Napoli da Antonio Genovesi, un sacerdote.

Genovesi credeva che l'economia dovesse essere considerata nell'ambito di una più ampia prospettiva sociale e morale. Sosteneva l'importanza di considerare l'uomo e le sue esigenze nella scienza economica, affermando che l'obiettivo dell'economia doveva essere il benessere umano e non solo la ricerca del profitto. Per quasi trecento anni ha invece dominato la visione dell'economia politica che impone all'imprenditore come unico obiettivo quello di massimizzare gli utili per i soci, disinteressandosi delle esternalità negative generate sull’ambiente e sulle comunità in cui opera.
Oggi, di fronte agli sconvolgimenti naturali, alla distruzione degli ecosistemi e ad una sempre più evidente sperequazione delle ricchezze tra le popolazioni, si constata l'incapacità delle teorie di economia politica nel rispondere alle esigenze umane. Nasce quindi oggi con urgenza l'esigenza di riscoprire valori e nuovi modelli economici che integrino principi etici e valori spirituali.

 Una vera vocazione

In una visione di “economia politica” il buon imprenditore doveva solo massimizzare gli utili per i soci, disinteressandosi delle questioni sociali e ambientali. Ciò confliggeva con l’essere un buon cristiano, che per vocazione è chiamato a prendersi cura degli ultimi. Per secoli o eri un buon imprenditore o eri un buon cristiano, le due cose erano raramente conciliabili.
Oggi, invece, grazie alle spinte della CSR (Responsabilità sociale di impresa), alla riscoperta dell’economia civile e ai solleciti dell’Economy di Papa Francesco, noi cristiani possiamo trovare una nuova via in cui “il fare impresa” si concili con l’economia di mercato e con la cura dell’ultimo. È una grande sfida, ma già oggi esistono aziende che testimoniano con i fatti che questa nuova via è percorribile, una via in cui il “buon imprenditore” può essere anche un “buon cristiano”.
Se quindi “fare impresa” è una vocazione, dovremmo come imprenditori prima di tutto comprendere “che cosa vogliamo realizzare” e “perché lo facciamo”, poiché i nostri valori definiranno le azioni che andremo a compiere. Secondo la mia opinione, l’imprenditore cristiano non fa impresa solo per il profitto, perché è troppo poco!  Sono convinto che l'economia d'impresa è il motore per la crescita della società per il bene comune. Quindi, essere imprenditori è una “vocazione” ed un grande servizio per tutta la comunità. L'imprenditore è chiamato per vocazione a costruire benessere per la collettività e per le persone che lavorano con lui.

 Fare della vita un capolavoro

Il profitto non è un male, perché senza profitto non ci può essere impresa. Ma a fronte di un “profitto onorevole” è necessario creare “contemporaneamente“ un beneficio sociale e ambientale. I modelli filantropici in cui l'imprenditore dopo che ha fatto profitti “a tutti i costi”, ne destina una parte ad azioni benefiche, è un modello vecchio che non può funzionare. È un modello d’elemosina che serve solo a far sopravvivere, non a vivere; poiché vivere significa produrre e l’elemosina non aiuta a produrre. Gli uomini attraverso il lavoro ritrovano senso e dignità della propria vita!
Ho spesso incontrato ottimi cristiani la domenica a messa, che poi il lunedì mattina in ufficio erano duri imprenditori, a volte disumani. Il nostro spirito per elevarsi necessita di unità. È quindi necessario riuscire a vivere allo stesso modo il tempo di famiglia, come il tempo di lavoro e il tempo di impegno sociale. Siamo chiamati a fare della nostra vita un capolavoro, aspirando alla santità! Questa è la vera sfida dell’imprenditore cristiano moderno. Trattare con cura e giustizia chiunque si incontri e, al contempo, vincere le sfide dei mercati internazionali, innovare, investire, creare imprese di successo.

 Come un custode

Se questa è la nostra visione, automaticamente nasceranno scelte di comportamento allineate alla nostra vocazione. Siamo chiamati a costruire un buon tempo di lavoro, infatti passiamo più tempo della nostra vita in ufficio che a casa. Se vogliamo vivere una “buona vita” dobbiamo costruire relazioni di comunità all'interno dell'impresa. L’imprenditore cristiano sa che non è il padrone ma il custode dell'impresa, e deve prendersi cura della comunità di persone che vi lavorano ogni giorno per il raggiungimento di obiettivi che non sono solo quelli economici.
L’imprenditore cristiano guida l’impresa, e al contempo è al servizio dei suoi collaboratori, come  Gesù che lava i piedi agli apostoli. Deve essere molto bravo economicamente e tecnicamente per competere sui mercati internazionali, ma deve poi anche sapersi affidare a Dio. Deve ricercare continuamente quell’equilibrio che oggi è la vera sfida tra lo stare sui mercati globali iper competitivi e la cura dell'ultimo, dello scarto… tenendo conto che per essere solidali prima bisogna essere spiritualmente solidi, solo così si potrà essere di supporto agli altri.
Cerco ogni giorno di mettere in azione questi principi che portano felicità e danno senso alla mia vita; contemporaneamente portano beneficio alle persone e alle comunità che collaborano con noi, e la nostra azienda cresce ogni anno in media del 25% dal 2008 ad oggi. Dobbiamo imparare a fare “bene” il “bene” con gioia e seguendo la nostra vocazione.