«C’è un grande prato verde dove nascono speranze». Anche alla Dozza c’è un grande prato verde. Accessibile a turno. Come la speranza? Alla Dozza c’è un «mare nero, mare nero, mare ne» dove le speranze s’affannano a galleggiare. La Dozza, come ogni carcere, è un ecosistema che fa morire e fa vivere, affonda e ricicla. Ma è soprattutto l’esito finale di una “cultura dello scarto” (direbbe papa Francesco) che reclude per escludere, raccolta indifferenziata di umanità ingombrante.

a cura della Redazione di “Ne vale la pena”

La scoria infinita

A piedi nudi, come quando eravamo bambini

DIETRO LE SBARRE

Lo spreco di un ossimoro

Parlare di ecologia oggi significa affrontare una questione complessa, che richiede di riportare le varie tematiche ambientali ad una visione olistica dell’uomo e della terra che l’uomo abita, ormai non più come ospite, ma come padrone indisturbato ed arrogante. Io, attraverso le sbarre del carcere della Dozza, mi limiterò ad una visione molto parziale.


Per cominciare occorre partire dall’idolatria del consumo che ci coinvolge tutti e a cui non ci possiamo sottrarre. Consumiamo beni e servizi che ci sono necessari per vivere e molti altri che ci è semplicemente capitato di desiderare. Gran parte delle persone private della libertà personale accetta e, anzi, quasi non può fare a meno di rientrare nella società consumistica, contenta di poter usufruire del cosiddetto sopravvitto. E cioè, della possibilità, laddove se ne abbia la disponibilità economica, di acquistare generi alimentari autorizzati dalla direzione; anche noi abbiamo quindi la nostra “cattedrale del consumo” con cui soddisfiamo bisogni non solo reali, ma anche indotti, come in ogni meccanismo consumistico che si rispetti.
Carcere ed ecologia sono un ossimoro. Viviamo un periodo storico nel quale la transizione ecologica, i cambiamenti climatici, il risparmio energetico e l’economia circolare sono al primo posto nelle agende politiche di tutti i governi dei paesi più industrializzati del mondo. In carcere invece sembra di tornare indietro di cinquant’anni, come se le problematiche affrontate dagli studiosi del mondo qui non esistessero.
Andiamo per gradi e partiamo dalle forniture delle materie prime per la preparazione dei pasti. Altro che Km. 0: frutta quasi solo spagnola, pesce pescato diversi anni prima nell’oceano e carne proveniente dalla Lituania. Il cibo preparato e somministrato ai detenuti viene in gran parte buttato e non riutilizzato, come si potrebbe fare, ad esempio, per fornire mense per persone povere che invece ne avrebbero grande bisogno. Insomma: voto insufficiente per la politica antispreco in cucina.
Passiamo allora al ciclo dei rifiuti. Anche questi vengono raccolti e smaltiti in modo indifferenziato, in barba ad una corretta politica del riciclo più volte sollecitata dalla Direzione del carcere. Sarebbe utile che Hera formasse alcuni detenuti per spiegare come fare la raccolta, che la seguisse in ogni sua fase e fornisse, oltre ai contenitori, anche le buste di colore differente al fine di non creare problemi alla buona riuscita del processo. E anche in questo caso, nonostante i buoni propositi, il voto è sotto la sufficienza.
Anche di luce ed acqua si fa consumo senza tenere in alcun conto il risparmio energetico, in un periodo in cui il prezzo delle materie prime e dell’energia ha raggiunto valori stellari a causa della guerra in Ucraina e non solo. In carcere le luci delle camere di pernottamento sono accese per tutto il giorno e per tutta la notte, così come in molte sale dell’istituto. Le docce non hanno limitatori ed erogano acqua a ciclo continuo; numerose sono le perdite nelle tubazioni che comportano insostenibili sprechi. Alcuni rimedi possibili, abbastanza facilmente realizzabili, per risparmiare risorse energetiche, potrebbero essere la dotazione degli interruttori della luce nelle celle, l’installazione di pannelli fotovoltaici su tutti i tetti dell’istituto e l’adozione di riduttori per le docce che nebulizzino l’acqua. In questo caso non si può esprimere un voto, in quanto nulla è stato fatto.
Non da ultimo un accenno lo voglio fare anche sull’ecologia umana e cioè sul rapporto tra l’uomo e il contesto in cui opera e da cui viene formato, fisicamente e culturalmente. In carcere i meccanismi di relazione tra gli uomini privati della libertà personale e l’ambiente portano al parassitismo e all’apatia della mente. Regna sovrano un atteggiamento di impotenza, di auto-giustificazione della propria inattività, di dispensa dal fare. L’obbligatoria sospensione dell’agire che il carcere attua si imprime con gradualità come forma mentis in chi sta recluso.
In carcere il detenuto è obbligato a una quotidianità livellata, uniformata, scandita da tempi precisi, ad un sistema di relazioni sociali che rendono esclusivo il rapporto con gli altri compagni detenuti. Il detenuto in carcere non è messo in condizione di volere, di poter scegliere. In carcere ha inizio l’inevitabile decadimento e abbrutimento della persona privata della libertà. Nelle condizioni descritte il degrado fisico, psichico e cognitivo del detenuto è fatale. Tutto questo è profondamente anti-ecologico, contrario ad una autentica “ecologia umana sostenibile”.

Fabrizio Pomes

 Coltiviamo i sogni!

La raccolta differenziata alla Dozza, nonostante se ne parli da anni, è ancora uno dei tanti progetti irrealizzati. Noi detenuti siamo stati tutti contenti quando la direttrice durante un incontro ci ha detto che fare la selezione dei rifiuti è indice di civiltà ed autostima verso noi stessi e verso le altre persone. Peccato però che, nonostante l’impegno profuso da quasi tutti coloro che erano stati sensibilizzati sul progetto, dopo un po’ tutto è finito. I contenitori di raccolta variamente colorati a seconda della tipologia di rifiuto a cui sono destinati sono spariti dopo pochi giorni. Tante belle parole e, da parte nostra, anche l’aspettativa che si potessero creare occasioni di lavoro nella raccolta e selezione dei rifiuti. Poi tutto è svanito ancor prima di cominciare. Sarebbe stata una bella occasione per tutto il carcere, per noi persone private della libertà personale, per gli agenti di polizia penitenziaria, oltre che un bel risparmio in termini economici per la pubblica amministrazione.
Per finire, consentitemi uno sfogo che voglio rivolgere a tutti i maleducati che buttano cartacce, frutta e bottiglie dalle celle. Occorrerebbe un po’ di rispetto per l’ambiente e per gli operatori della “squadra verde”, che sono nostri compagni di sventura. Sarebbe per noi tutti un bell’esercizio di civiltà ed una dimostrazione di senso di responsabilità. Ma soprattutto mantenere il decoro dei pochi spazi verdi disponibili al nostro limitato orizzonte dovrebbe corrispondere al desiderio di decoro e di bello che ognuno di noi coltiva: la vista del prato rasato è celestiale e fa venir voglia di correre a piedi nudi come quando eravamo bambini. Rispettiamo i nostri sogni!

Athos Vitali