Forse chi doveva ascoltare è un po’ sordo. O forse le cose da dire sono di più di quelle che ci si sarebbe aspettati. Sta di fatto che la CEI, contrariamente a quanto deciso in fase di progettazione del cammino sinodale, ha deciso di dedicare un secondo anno alla fase di ascolto. Perché? Cosa è accaduto?

a cura di Gilberto Borghi 

Come le ciliegie

Quando un tempo d’ascolto tira l’altro

 Perché la CEI ha programmato un secondo anno all’ascolto sinodale? Credo che siano almeno tre le possibili risposte alla domanda.

 Spiegazione 1

Intanto la qualità dell’esperienza ecclesiale vissuta nel primo anno di ascolto. Tutti gli indicatori, diocesani, nazionali e mondiali, segnalano che c’è stata una partecipazione attiva e sorprendente da parte dei laici; una grande disponibilità e fiducia di fondo con la richiesta di “essere coinvolti” in maniera attiva e non passiva nella vita ecclesiale, mostrando molta critica costruttiva e propositiva, che ha sorpreso anche i più ottimisti tra i fautori del sinodo.
Si è vissuta la bellezza del confronto e dell’ascolto reciproco, di potersi incontrare ed ascoltare senza altra intenzione che non fosse semplicemente conoscersi e raccontarsi, senza pregiudizi e paure. L’essere stati cercati e ascoltati è stato uno stile che ha incontrato le esigenze profonde delle persone, che si sono ritrovate in un grato consenso e una franca libertà di parola. Tanto che da più parti, in tutti i livelli delle sintesi prodotte, si è segnalato il desiderio di continuare questo modo di essere Chiesa, anche al di là del momento ufficiale del sinodo.
È quello che è stato definito il “metodo della conversazione spirituale”, dove chi guida non si incarica di fare proposte di contenuto, di insegnare, o direzionare il lavoro, ma semplicemente di creare uno spazio libero e riconosciuto di ascolto sincero del vissuto ecclesiale e di fede dei partecipanti, dove le persone possano finalmente dire come stanno, rispetto alla fede e alla Chiesa. Evidentemente questo è stato recepito anche nelle sintesi finali e nei livelli decisionali organizzativi del sinodo si è pensato di offrire ancora tempo a questa esperienza, perché già di suo è esperienza di un modo diverso di essere Chiesa.

Spiegazione 2

Una seconda spiegazione potrebbe essere dentro ad un intervento che mons. Erio Castellucci, segretario CEI e delegato proprio per il cammino sinodale, ha fatto nel settembre scorso, durante un incontro su questo tema, nella diocesi di Cassino. Egli ricorda che il Concilio Vaticano I avrebbe dovuto affrontare anche il tema della Chiesa, ma per le note vicende del rapporto difficile tra stato e Vaticano in quel momento, riuscì solo ad affrontare il tema del primato del papa.
Poi aggiunge: «Il Concilio Vaticano II, novant’anni dopo, vuole completare il primo, parlando non solo del primato del Papa ma anche della collegialità dei vescovi e del loro compito di pastori nelle chiese locali; (…) possiamo dire, ora, che papa Francesco (indicendo il sinodo) ha convocato un “Vaticano III a pezzi”, per integrare la dottrina del primato e la dottrina della collegialità con la dottrina del senso di fede di tutto il popolo di Dio».
Come a dire: anche il popolo di Dio è in grado di dire la sua sulla fede e sulla Chiesa, perciò va ascoltato non solo per “democrazia” (la Chiesa non è una democrazia), ma perché portatore di una parola dello Spirito Santo. E la scelta di un altro anno di ascolto dichiara come, attraverso l’esperienza del primo anno, ci si sia accorti che la parola dello Spirito che proviene dal popolo di Dio è davvero molto capace di illuminare l’oggi della Chiesa.
Già «il Concilio Vaticano II - continua Castellucci - (…) è stato preceduto da una bolla scritta a Natale del 1961, che delinea lo scopo del Concilio: mettere a contatto le energie vivificatrici del Vangelo con il mondo contemporaneo. Questa frase è il programma fondamentale del Vaticano II: mettere a contatto il Vangelo con il mondo. Il Papa non dice che lo scopo del Concilio è rinnovare la Chiesa, o richiamare l’importanza della Chiesa, o aumentare l’adesione alla Chiesa... ma pone subito la Chiesa “a servizio”, perché la Chiesa esiste per mettere a contatto il Vangelo con il mondo. (…) Per il Concilio, la Chiesa non è un altro mondo, ma è l’insieme degli uomini e delle donne credenti, è quella parte di mondo che guarda nella fede a Gesù come Salvatore. È un pezzo di mondo». Per il sinodo è la stessa cosa. Perciò, chi meglio del popolo di Dio, che vive nel mondo, può sapere come oggi provare a mettere in contatto vangelo e realtà?

 Spiegazione 3 + 3 cantieri

E qui si apre la terza possibile risposta al perché un secondo anno di ascolto. Continua Castellucci: «Man mano che venivano letti i testi che arrivavano dalle diocesi (ogni diocesi ha prodotto un testo di circa 10 pagine, quindi poco più di 2000 pagine, perché le diocesi in Italia sono 226), ci si rendeva conto che quasi spontaneamente veniva evocata la casa di Betania (cf. Lc 10,38-42). Emergevano infatti tre grandi priorità, che poi sono state discusse a maggio in un incontro nazionale dei referenti (con la presenza anche di 16 vescovi) e due settimane dopo, nell’assemblea della CEI di fine maggio, con la presenza di 32 referenti diocesani (quindi due assemblee integrate). E sono nati i cosiddetti tre cantieri sinodali».
Il primo: «Emergeva prima di tutto il desiderio di comunità aperte che non fossero dei nidi, delle tane, ma che abitassero dentro i villaggi. E allora veniva in mente: mentre erano in cammino Gesù entrò in un villaggio... (…) La Chiesa deve continuare a cercare le persone, i cosiddetti “mondi”: questo è il cantiere del villaggio, cercare di creare le condizioni perché le persone si possano esprimere con i loro linguaggi, che tante volte non sono i nostri». Ecco il perché di un secondo anno di ascolto: la preoccupazione non è “cosa dobbiamo dire noi”, ma “come possiamo eliminare gli ostacoli perché questi mondi parlino”.
Il secondo. «Poi, mentre si leggevano le sintesi, emergeva una seconda istanza: l’immagine della casa, della casa di Betania, perché la casa di Betania - lo sappiamo anche dal vangelo di Giovanni (cf. cap. 12) - era il luogo dove evidentemente Gesù trovava persone amiche, si poteva rilassare un po’, mangiare qualcosa, chiacchierare serenamente… dalle relazioni diocesane veniva fuori cioè il desiderio di una comunità fatta di relazioni autentiche. E in alcune sintesi si leggevano frasi di questo tipo: “più relazioni e meno organizzazione”, “più prossimità e meno attività”. Ovviamente i due aspetti non sono alternativi. E sono venute in mente Marta e Maria, perché una è l’immagine dell’attività frenetica, l’altra è l’immagine dell’ascolto. Gesù non esclude il servizio, tutt’altro. Dice a Marta che, se non si vuole affannare, il servizio deve partire dall’ascolto».
Il terzo. «Infine emergeva un terzo elemento, legato al tema dei servizi: Marta era distolta per molti servizi, e Gesù risponde: “di una sola cosa c’è bisogno” (…). Il servizio affanna perché diventa “i molti servizi” (…) sembra che manchi il centro, a volte, nel nostro modo di servire. (…) Come si legge nelle sintesi diocesane, che qualche volta le “strutture” richiedano prestazioni affannate per essere mantenute, conservate e restaurate. Intendiamoci: le strutture sono importantissime, ma vanno sempre verificate sulla base della finalità, che è quella di far incontrare le persone con Gesù e tra di loro».