«L’argomento di oggi è piuttosto complesso, perché il tema è sempre il dialogo, ma questa volta verso la pace. Perciò, vista l’ampiezza della questione, ho pensato di partire da qui, da questa immagine». Così inizia Maura alzandosi ed attaccando ad una parete una figura che rappresenta lo Yin e lo Yang.

a cura della Caritas diocesana di Bologna

Nell’unico dinamismo dei molti

Dove l’uno non esclude l’altro

 IL TÈ DELLE BUONE NOTIZIE

«Per noi occidentali, così come per molte religioni, la parola pace richiama il concetto di unione, legame, combinazione di cose differenti; nella cultura orientale, invece, prevale questa idea in cui le parti diverse non si oppongono, ma si compenetrano: è questo che significano quei due pallini che spiccano.

In queste due parti di bianco e nero ci possiamo mettere dentro un po’ tutto: il maschile e il femminile, il buio e la luce, la terra e il cielo, il bene ed il male ed anche, naturalmente, la guerra e la pace. Aggiungo poi che quel simbolo che noi vediamo così immobile nel disegno, sarebbe invece da immaginare in movimento continuo a significare che l’intero universo è in perenne trasformazione e che in realtà anche ciò che noi percepiamo come opposto - il bene ed il male ad esempio - ha una reciproca appartenenza. Certo, esiste un equilibrio da cercare: la medicina cinese ci ricorda che se dentro di noi non troviamo un equilibrio, ci ammaliamo. Tutto questo per arrivare a farci alcune domande: nella mia esperienza, che cosa mi fa essere in pace con me stesso? E con gli altri? Che cosa eventualmente mi è servito per riportare le cose in armonia?».

 In osteria, nell’intimo, tra gli Elfi

«Da tempo mi ritrovo in osteria con gli amici», interviene subito Maurizio, pacato, «e fra questi c’è n’è uno che spesso mi stuzzica, mi provoca, vorrebbe che io reagissi contro di lui: allora ho pensato di conviverci, facendo finta di niente. Mi sono fatto ispirare dagli antichi greci, loro raccontavano che Marte e Venere, cioè guerra e bellezza, si univano per mettere al mondo una figlia di nome Armonia. Cercando di sfuggire alle prese in giro, lui ha ridotto la quantità di provocazioni e così abbiamo raggiunto un equilibrio che magari non si può chiamare pace ma ci fa vivere meglio».
«Gli scontri con gli altri che ho vissuto io sono stati sempre superficiali», si fa avanti Carla, «ma sono poi sempre in forte conflitto con me stessa. Io non sono capace di litigare ed esplodere. Quando vivo un conflitto con l’altro, sento crescere in me un desiderio di male… Per tanto tempo ho rifiutato il fatto semplice che il male esistesse anche in me, non lo accettavo… E allora se in me l’equilibrio del bene e del male pende verso il male, mi esplode dentro rabbia contro me stessa; provo rabbia perché sono incapace di amare il mio prossimo come vorrei poter fare, e ne soffro».
«Anch’io provo qualcosa di simile», dice Didi, «come Carla, porto il conflitto dentro di me e mi sono accorta col tempo che spesso reagisco male di fronte a qualcuno che mi somiglia, che con il suo comportamento mi mostra una parte negativa di me stessa». «Se un uomo non è libero, non può essere in pace!», si fa avanti Daniele convinto. «Credo per questo che gli indiani d’America siano stati gli unici ad aver vissuto davvero in pace, perché si sentivano liberi nella natura. Anch’io ho vissuto in pace nella comunità degli Elfi sull’appennino, nei boschi, ma poi si sono intrufolati dei personaggi mediocri che hanno rotto l’armonia del gruppo ed io me ne sono andato. Non voglio interferenze e non credo nella collaborazione: ho tirato la carretta per troppo tempo. E poi anche san Paolo scrive: “ho lavorato sedici ore al giorno, branco di stronzi, per darvi l’esempio ed essere libero…!”».
«Ah, scrive proprio così?», ribatte istintiva Maura sorridendo, «Eh, in effetti ero al corrente che circolassero diverse traduzioni…».

 L’ironia oltre il dualismo

Mentre si placa una risata generale, il silenzio si fa spazio e per un attimo ci guardiamo gli uni gli altri, sorpresi. «Che pace!!!», esclama Maurizio con spirito, prendendoci in contropiede. «Sì, ma voi come vivete questo silenzio?», rilancia abilissima Maura. «A me piace!», interviene di getto Maria Grazia. «Non mi fa piacere parlare del conflitto, perché nella mia vita ho sempre incontrato persone che non erano in pace, restava in loro un’angoscia sotterranea. Però mi è piaciuta la storia di Mauri, il fatto che lui abbia trovato un modo suo per stare in una situazione difficile. Il punto è che il conflitto è inevitabile, ma lui non ha cercato di cambiare gli altri, piuttosto si è impegnato su di sé… poi l’ironia l’ha aiutato a svoltare. L’ironia è una grande alleata della pace!».
«Se vuoi la pace, prepara la guerra», rincara Maurizio, «che però vuol dire: se vuoi che l’altro ti rispetti, non puoi dargliela su, devi continuare a cercare una strada per dare e pretendere il rispetto. E davanti alle persone violente è importante dire di NO». «È molto vero!», sottolinea Maura. «Nella nostra cultura “dualista” però non è facile tenere insieme gli elementi che stanno nel conflitto. Eppure nella vita non è o-o, ma e-e… la responsabilità non sta mai da una parte sola ed in tutti c’è bene e male, solo che è molto difficile accettare quella parte oscura che ci appartiene».

Avere ragione o essere felici?

«Anche nelle guerre più terribili c’è del male da tutte le parti», è la voce di Robert ad entrare nel cerchio, «certo, oggi vediamo Putin che è un dittatore ed ha invaso l’Ucraina, ma sappiamo ciò che è accaduto prima? Non significa che Putin ha ragione, ma che ha delle ragioni e questo è importante ricordarlo». «C’è sempre un prima delle cose che succedono e il nostro modo di fare pace è sempre relativo… grazie per avercelo rammentato, Robert», aggiunge Maura cucendo gli interventi.
«Pensavo ascoltandovi», prende la parola Didi, «che viviamo in una sorta di paradosso: tutti ci sentiamo attaccati nel conflitto e la nostra diventa una giusta reazione, ma così facendo sembra sempre che siano gli altri ad aver cominciato a litigare. Può davvero essere così? Ne dubito. Forse non ci soffermiamo abbastanza ad osservare il prima o magari preferiamo aver ragione invece che essere felici. Non so, ma allora cosa possiamo fare? HMaura riprende la parola per chiudere il pomeriggio: «La pace è certamente un cammino difficile, un metodo, più che una meta. Consapevoli di questo, possiamo concludere in bellezza! Vi chiedo: se la pace fosse un ottimo piatto per il giorno di festa dell’umanità, noi che ingredienti vorremmo metterci?».
In un batter d’occhio ci trasformiamo tutti in chef stellati per comporre questo magnifico piatto gourmet: con il miele della dolcezza, la tolleranza, la bontà d’animo, una misura di equità e tanto rispetto, mescolati con il desiderio di essere felici, la consapevolezza del momento che viviamo, l’accoglienza delle ragioni altrui e la sincerità, il tutto condito con doppia ed abbondante dose di amore… Voilà, la pace è servita! Vi consigliamo di gustarla con un’ottima tazza di tè.