Secondo un’antica leggenda Cherokee, due lupi, uno bianco e uno nero, lottano tra loro dentro il nostro cuore. Il lupo bianco ama l’armonia e lotta solo per difendere il proprio branco; il lupo nero è dominato dalla rabbia e dall’odio. A vincere sarà il lupo che scegliamo di nutrire: se nutriamo pensieri pieni d’odio e di rabbia, li daremo in pasto al lupo nero. Al contrario, i pensieri di gratitudine e quelli altruistici diventeranno nutrimento per il lupo bianco. Il carcere è un magazzino di cibo per il lupo nero.
a cura della Redazione di “Ne vale la pena”
Pronto? Qui è il lupo di Gubbio…
Il nemico è dappertutto, il nemico siamo noi (Max Manfredi)
DIETRO LE SBARRE
La pace non è ingenua
Si combatte da un anno e non si vede uno spiraglio di luce. Il leader Zelens’kyj ha richiesto e richiede armi, sempre più armi, e l’occidente ha risposto e risponde senza chiedersi dove porterà questa escalation.
Se ne parla in TV, in parlamento, in ogni dove, fuori, ma anche qui in carcere. Ci facciamo tante domande, ma fatichiamo a trovare le risposte.
Di sicuro sappiamo che la guerra trasforma l’altro in nemico e che chi asseconda questa logica finisce a sua volta per essere privato della propria dignità umana e ridotto ad oggetto. La pace non viene da sé, richiede sforzi individuali e collettivi, richiede coraggio, richiede la capacità di abbassare la guardia anche quando ci si sente minacciati. La violenza sembra avere una forza di attrazione irresistibile e sembra troppo difficile anche solo concepire di amare il nemico.
La pace chiama giustizia ed è contraria all’interesse del più forte, ma non è un’ingenuità da idealisti, e nemmeno un tradimento della propria identità. Non sono a mio parere accettabili i discorsi di quei leader politici che sostengono che per ottenere la pace occorre aumentare la spesa per gli armamenti in questo momento di grave crisi economica e di drammatiche disuguaglianze sociali.
Forse l’unica certezza, tratta dall’evidenza dei fatti, è che la pace non si può ottenere inseguendo le logiche di guerra.
Giovanni Gugliotta
I ponti oltre le sbarre
Di guerre se ne combattono tante e tutte con il denominatore comune dell’egoismo e dell’avidità. Due mali atavici di una società malata e a cui la Chiesa cattolica invita a contrapporre l’amore per il prossimo e la pacificazione. Appaiono invece fuori luogo, per quanto concerne la contesa Russia-Ucraina, tanto le esternazioni del patriarca di Kiev, secondo il quale «le armi europee sono benedette», quanto quelle del patriarca di Mosca che sostiene che «la campagna di Mosca è stata benedetta da Dio».
Il vero messaggero di pace è il nostro santo Padre, che in più occasioni ha richiamato le nazioni alla necessaria ricerca della pacificazione tra i popoli, fondata sulla tolleranza, sull’accettazione del prossimo, sui valori fondanti di rispetto e di amore verso l’altro. La guerra come atto di prevaricazione è deleteria per chi la fa e per chi la subisce, provoca catastrofi ed effetti domino non preventivabili, generando comunque povertà e disperazione. In un mondo già profondamente colpito dalla pandemia da Covid 19, la disperazione porta a fuggire dalla guerra e cercare rifugio in luoghi apparentemente più sicuri e protetti. Queste migrazioni di massa ci trovano ancora oggi impreparati alla cultura dell’accoglienza; spesso, davanti al grido di aiuto delle vittime della violenza dell’uomo, rispondiamo con il rifiuto, che genera tragedie nella tragedia, come testimoniano le cronache degli ultimi giorni sulle spiagge di Cutro in Calabria. È arrivato il momento che la società inizi a pensare a costruire ponti tra culture, etnie e religioni differenti e non ad innalzare muri. Questo è il messaggio che vorrei uscisse dalle sbarre della mia cella e che, mi auguro, possa entrare a pieno titolo nelle agende politiche dei governanti del mondo.
Marco Parente
Salviamoci
Non c’è niente di più pericoloso in una guerra, che sottovalutare il proprio avversario, ignorare la sua logica e, tanto per negargli ogni possibile ragione, definirlo “pazzo”. Forse è arrivata l’occasione per reinventarci il futuro e non rifare il cammino che ci ha portato all’oggi e potrebbe domani portarci al nulla. Mai come ora la sopravvivenza dell’umanità è in gioco.
Non si può capire quel che ci sta succedendo solo ascoltando le dichiarazioni dei politici, costretti come sono a ripetere formule retoriche, incapaci di ricorrere alla fantasia per suggerire ad esempio che, invece di fare la guerra, questo è il momento per fare finalmente la pace.
Il dialogo aiuta a risolvere i conflitti. L’odio crea solo altro odio. Certo, ogni conflitto ha le sue cause e queste vanno affrontate. Ma tutto sarà inutile finché gli uni non accetteranno l’esistenza degli altri e il loro essere uguali nella dignità. Ognuno di noi può fare qualcosa e tutti insieme possiamo fare migliaia di cose.
Spesso la guerra viene usata per la militarizzazione delle nostre società, per produrre nuove armi, per spendere più soldi per la difesa. Opponiamoci a chi persegue questa linea politica. Investiamo invece nel futuro. Parliamo di pace, introduciamo una cultura di pace nell’educazione dei giovani. Raccogliamo l’invito di papa Francesco a considerarci “fratelli tutti”. Spesso le cause della guerra sono dentro di noi, e questo per chi vive in carcere è particolarmente vero. Il desiderio smodato, la paura, l’insicurezza, l’ingordigia, l’orgoglio, la vanità, lo sappiamo bene, sono il veleno che altera i rapporti individuali e sociali.
Lentamente dobbiamo liberarcene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Dobbiamo imparare a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri, nel “piccolo” come nel “grande”, sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. Educhiamo i figli ad essere onesti, non furbi. E il carcere è veramente una palestra impegnativa su questi temi! Fermiamoci, riflettiamo, prendiamo coscienza. Facciamo ognuno qualcosa e, come dice Jovanotti: «Salviamoci». Nessun altro può farlo per noi.
Fabrizio Pomes
Sora: la terra e l’umanità
Anche da dietro le sbarre osserviamo il mondo e ci facciamo le stesse domande che si fanno gli uomini liberi. Quindi anch’io mi chiedo: perché la guerra? Perché la pace è così difficile da realizzare?
Gli animali uccidono per nutrirsi, quindi per sopravvivere. Gli uomini invece esercitano la violenza e uccidono per ottenere dal vinto anche il riconoscimento della loro superiorità. Basti pensare agli antichi Romani che, in modo scenografico, dopo la vittoria trascinavano davanti alla folla il vinto in catene. Ma questa pratica può avere una fine? Teoricamente sì, perché, al pari degli animali, l’uomo, oltre che biologicamente, può evolvere anche culturalmente e abbattere le barriere che dividono l’umanità in razze, etnie, religioni, stati. Le centinaia di vittime della violenza dell’uomo sull’uomo, ma anche l’estrema precarietà in cui oggi si trova la terra per effetto del peso antropico, richiedono con urgenza che il sogno della fratellanza divenga prassi concreta.
È necessario che ogni stato e ogni popolo sappiano vedere oltre la propria cultura e la propria religione, al fine di estendere a tutta l’umanità il sentimento di uguaglianza e di “cura della casa comune”. Occorrerebbe passare dalla “ragione di stato” alla “ragione d’umanità”. Bisogna sviluppare un’”etica planetaria” che estenda il sentimento di fraternità e comunanza a tutte le creature animate e inanimate, così come predicava san Francesco d’Assisi, che chiamava “sorella” l’acqua e la luna, e “fratello” il vento e il sole.
Enzo Messina