L’arcobaleno finito in soffitta

È necessario riappropriarsi del pacifismo per costruire un futuro di pace

 di Mario Galasso
Direttore Caritas diocesana Rimini, membro Presidenza di Caritas Italiana

 «Cari fratelli e sorelle, dopodomani, 24 febbraio, si compirà un anno dall’invasione dell’Ucraina, dall’inizio di questa guerra assurda e crudele.

Un triste anniversario! Il bilancio di morti, feriti, profughi e sfollati, distruzioni, danni economici e sociali parla da sé. Potrà il Signore perdonare tanti crimini e tanta violenza? Egli è il Dio della pace. Restiamo vicini al martoriato popolo ucraino, che continua a soffrire. E chiediamoci: è stato fatto tutto il possibile per fermare la guerra? Faccio appello a quanti hanno autorità sulle nazioni, perché si impegnino concretamente per la fine del conflitto, per raggiungere il cessate-il-fuoco e avviare negoziati di pace. Quella costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria!» (Papa Francesco, Udienza Generale del 22 febbraio 2023, mercoledì delle Ceneri).
Esattamente vent’anni fa, il 15 febbraio 2003, si svolse in tutto il mondo, in quasi mille città, la prima, e per ora unica, manifestazione “mondiale” della storia dei movimenti e, per certi versi, della storia dell’umanità. Oltre 100 milioni di persone sfilarono in tutte le piazze del mondo per dire «No alla guerra senza se e senza ma!», per manifestare la loro opposizione intransigente nei confronti della “guerra globale permanente” iniziata dall’allora presidente statunitense George W. Bush nel 1990, con le operazioni Desert Storm (a cui parteciparono anche militari italiani), e poi proseguita alla fine del 2001 con l’invasione dell’Afghanistan.
Oggi, pur di fronte all’urgenza per la guerra tra Russia e Ucraina, conflitto che ha un impatto diretto sulla vita quotidiana di centinaia di milioni di europei, le mobilitazioni pacifiste non riescono ad avere l’impatto che avevano nel passato, si ha l’impressione che ad attivarsi siano le stesse persone di allora con una estrema fatica a coinvolgere i giovani. La rottura tra quel che resta dei movimenti e in particolare le giovani generazioni da un lato e la politica dei partiti dall’altro sembra totalmente consumata. Basta guardare le sconfortanti percentuali di partecipazione alle recentissime elezioni regionali, soprattutto proprio dei giovani.

 Che fare ora?

Mentre bisogna fare appello alla coscienza di ciascuno per quanto riguarda il Sud Sudan, la Siria, la guerra d’Amazzonia, in Camerun, l’insurrezione in Mali, la ribellione per il Togoland in Ghana e altri conflitti conosciuti solo dagli addetti ONU, l’attacco di Putin in Ucraina ha un impatto sulla vita quotidiana in Europa e lo rende più tangibile per chi vive in Italia. Stiamo rischiando una escalation, tocca al movimento pacifista, alle persone sensibili, a noi, trasformarla in una “opportunità” per proporre un impegno attivo di tutte le forze (politiche e non) a favore di una autentica politica di pace alternativa a quella proposta dai governi europei che sta alimentando una dinamica pericolosissima con il rischio di incrementare, anche se con “buone” intenzioni, distruzioni e morti.
Questa situazione sta interpellando fortemente il popolo pacifista tanto che il 5 novembre 2022 è stata indetta una manifestazione nazionale per la pace a Roma che ha portato circa 100.000 persone in piazza a chiedere la pace e supplicare di abbassare le armi. Tante testimonianze importanti, autorevoli, diverse, unite in un solo coro ma con una grossa difficoltà: cosa è giusto fare per affermare la pace in Ucraina non lo sa nessuno. Si può discutere su cosa andava fatto prima o non andava fatto, sugli errori della Nato e della sua pressione ad est, anche dei lacchè di Putin, dei sovranisti e dei governi liberali che gli hanno dato spago abbondante, tanto abbondante da tenerci legati tra gas, grano e minaccia nucleare… ma il pacifista vorrebbe dare una risposta oggi alla resistenza armata del popolo ucraino contro l’invasore russo e vorrebbe dire con chiarezza se quei partigiani vanno aiutati e come.

 Tra armi e gas

Non si può scendere facilmente in piazza come se fossimo equidistanti tra gli oppressi ed oppressori senza rischiare di perderci nella retorica. La piazza serve più che altro a gridare il domani che vogliamo. Domani dobbiamo certamente tagliare il cordone ai sistemi di potere malati che guadagnano fette di mercato nel turbocapitalismo e nel consumismo globale: dobbiamo dire con forza che un futuro di pace non sarà certamente assicurato cercando di sostituire il gas di Putin con quello di un emiro, anche se fosse illuminato.
Oggi, più di ieri, il movimento pacifista deve fare i conti con il pensiero unico dominante che indica nella guerra e nella corsa agli armamenti l’unica strada possibile e, per farlo, cerca di fare apparire i valori e gli ideali dei pacifisti come utopia di pochi sognatori che si ostinano in posizioni inverosimili, assurde. Per cercare di convincere le masse della mancanza di alternative possono contare sulla gran parte dei mezzi di comunicazione che, ad esempio, creano una narrazione tale per cui l’invio dei carri armati in Ucraina ha il ricordo del Risiko, l’invito fatto a Zelensky per Sanremo fa parte del tentativo di normalizzazione della guerra, le bombe nucleari diventano tattiche per cercare di minimizzare i danni che possono produrre. 
Dietro le quinte l’industria delle armi che inserisce nei propri organismi e nella direzione delle fondazioni politici che sostengano e favoriscano i loro interessi e il bisogno di svuotare gli arsenali per riempirli di nuovi sistemi d’arma.
«La vendita delle armi. Oggi credo che nel mondo questa sia la peste, la peste più grande: l’affare, la vendita delle armi. Qualcuno mi diceva - uno che se ne intende - che con quello che si spende in un anno per le armi si potrebbe eliminare la fame nel mondo. Non so se è vero o no. Ma oggi, al top, c’è la vendita delle armi. E non solo tra le grandi potenze, anche con questa povera gente. Gente a cui, con questo, seminano la guerra dentro. È crudele. Dicono: “Vai alla guerra!”, e gli danno le armi, perché dietro ci sono degli interessi, soprattutto interessi economici, per sfruttare la terra, per sfruttare i minerali, per sfruttare le ricchezze» (Papa Francesco, Conferenza Stampa durante il volo di ritorno dal Viaggio Apostolico in Sud Sudan, 5 febbraio 2023).

 Cercare l’alternativa

Il movimento pacifista, forte delle capacità maturate in questi anni, per tornare ad essere significativo e uscire dall’autoreferenzialità, deve assumere la consapevolezza che, nell’incertezza odierna, è chiamato ad avviare una riflessione, un confronto, su quale sia la via possibile, diversa da quella bellica scelta dai governi, per garantire la pace. Deve aprire un dibattito, non può rimanere politicamente inerme di fronte alle logiche egemoniche che stanno portando milioni di persone a vivere nell’incubo permanente di non avere prospettive e centinaia di migliaia di persone a pagare con la propria vita le conseguenze di queste scelte.
Il disfattismo prevalente tra i governi europei porta all’escalation che ci fa camminare come sonnambuli verso una terza guerra mondiale e, anche se fosse evitata, verso decenni di tensione in un nuovo ordine mondiale che certamente non avrà a cuore il futuro dei 3,2 miliardi di giovani con meno di 24 anni che dovranno fare i conti con le conseguenze dei cambiamenti climatici, con l’esaurimento di molte risorse naturali, con una competizione sempre più selvaggia di tutti contro tutti e con le trappole dell’intelligenza artificiale che va ammaestrata e dominata prima che serva essenzialmente per scopi criminali. Non sappiamo se ce la faremo, ma dobbiamo almeno tentare di riorientare la politica perché contribuisca a farci uscire dal pantano nel quale ci siamo profondamente addentrati e, perché questo avvenga, il ruolo del movimento pacifista è indispensabile.