In questo numero la missione prima fa tappa in Italia, con un’intervista a padre Maurizio Annoni, direttore dell’Opera San Francesco di Milano, incontrato a dicembre a Imola in occasione del cinquantesimo di professione di fra Vittore Casalboni, e poi si sposta in Africa, per fare la conoscenza con una realtà quasi dimenticata, quella dell’Ordine francescano secolare.
Saverio Orselli
La gioia di sentirsi chiamato
Intervista a padre Maurizio Annoni, direttore dell’Opera San Francesco di Milano

Uno sguardo al passato recente e uno al prossimo futuro fanno da guida a queste pagine. Per il recente passato il riferimento sono i primi giorni del dicembre scorso, quando il convento di Imola ha festeggiato i cinquant’anni da frate di fra Vittore Casalboni, per un anno missionario in Etiopia e da molti anni impegnato - a Bologna prima e poi a Imola, dove vive tuttora - nelle attività di raccolta dei materiali usati da rivendere per sostenere le missioni. Un cinquantesimo al servizio di chi ha bisogno è sempre una ricorrenza speciale e, per renderlo ancora più importante, la Redazione di Messaggero Cappuccino ha pensato di invitare come testimonianza di servizio, padre Maurizio Annoni, direttore dell’Opera San Francesco di Milano, la grande struttura caritativa dei cappuccini.
L’attività dell’Opera San Francesco di Milano, è conosciuta a livello nazionale; è nata ufficialmente il 20 dicembre 1959, quando l’allora vescovo di Milano, il cardinale Montini, poi divenuto Paolo VI, inaugurò i locali della mensa voluta da fra Cecilio, il frate cappuccino portinaio del convento di viale Piave. A quella prima struttura, finanziata dal dottor Emilio Grignani, un industriale milanese, se ne sono poi aggiunte varie altre, trasformate dalle centinaia di volontari in un luogo di fraterna accoglienza per tante persone in difficoltà. Oggi, nel cuore di Milano, la realtà dell’Opera San Francesco, grazie all’impegno di seicento volontari, è in grado di distribuire 2.500 pasti al giorno, offrire 250 ingressi alle docce e oltre 40 cambi di abito, oltre che assistere, curare e sostenere con farmaci circa 140 persone. Ma se è vero che l’uomo non vive di solo cibo materiale, ecco che l’Opera San Francesco accoglie e ascolta oltre 2.000 poveri, e tiene 17 piccoli appartamenti a disposizione per accoglienze temporanee.
Poco prima dell’incontro ho approfittato per fare qualche domanda a padre Maurizio. A dire il vero non è stato facile avvicinarlo, perché impegnato a rispondere alle tante domande e curiosità di alcuni partecipanti alla serata, che già conoscevano l’Opera San Francesco e che erano arrivati in anticipo, nella speranza forse di poter dialogare con lui in modo diretto.
Attraverso le parole e l’attività milanese di padre Maurizio si spiega lo sguardo verso il futuro prossimo, perché proprio a Milano dal 30 maggio al 1° giugno si terrà il VII incontro mondiale delle famiglie, un importante appuntamento ecclesiale, nel quale troverà spazio anche il tema della missione.
Padre Maurizio, alla luce dell’attività che vi vede impegnati a Milano a diretto contatto con tanti poveri, cosa significa “missione”?
Che domanda impegnativa! Credo che quando parliamo di missione il nostro pensiero vada automaticamente a chi parte per terre lontane, religiosi, sacerdoti e suore e ora anche laici, visto che ultimamente ci sono intere famiglie di laici che partono per esperienze in vari paesi extraeuropei, America Latina, Asia e Africa. Ecco, questa secondo me è certamente una visione positiva della missione che però aiuta a ricondurci alla mia, alla nostra esperienza missionaria. La missione a che cosa è collegata innanzitutto? Alla chiamata, e ciascuno di noi, in virtù del battesimo, è chiamato a una missione. Il Signore ci ha chiamati e ci invia: la missione è questo invio che il Signore chiede a ciascuno di noi. E quindi la missione non può mai essere qualcosa di diverso dalla chiamata che il Signore rivolge a ciascuno e riguarda tutti i cristiani, proprio perché tutti siamo chiamati in virtù del battesimo. Ed ecco che la missione nasce, quasi inevitabilmente direi, come la seconda faccia della stessa medaglia. Gesù nel vangelo usa un’espressione che in latino mi piace sempre: «evangelizzare pauperibus misit me», cioè “il Signore mi mandò a evangelizzare i poveri”, e questo essere chiamati ad annunciare - ecco quindi la missione - la Parola di Dio, la bellezza di Dio, la bellezza dell’incontro con Dio a tutti, è la missione. Chi ha incontrato il Signore - ecco la chiamata - chi è pieno di gioia per questo incontro con il Signore ha bisogno non di tenerlo per sé ma di annunciarlo. “Andate”: l’andare è la missione. Andate, predicate, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo vuol dire proprio andare ad annunciare questa bellezza di un incontro con il Signore che è talmente totalizzante per la mia vita che non posso tenerlo per me.
Tutto questo vale per me questa sera: io mi sento veramente missionario, perché sono qui per incontrare delle persone, dei fratelli e delle sorelle di Imola, e annunciare la grandezza e la bellezza di un servizio per i poveri. Questa è la mia missione in questo momento. Come la tua missione o quella di un altro è quella, ad esempio, di servire all’interno di una testata di un giornale, di poter dire attraverso le parole di una rivista tante cose importanti e significative, annunciare dei valori. Ecco, questo credo sia il segreto e la bellezza della missione: annunci questo incontro con Gesù Cristo, proprio perché questo incontro è per te talmente totalizzante che non puoi trattenerlo. E allora lo annunci agli altri, annunci la bellezza di un servizio.
Questo vale per ogni aspetto della vita: annunci anche - e penso all’interno dello stesso matrimonio, della famiglia - la bellezza della sponsalità tra l’uomo e la donna, della fedeltà. Sei missionario nei confronti di tua moglie così come tua moglie è missionaria nei tuoi; i genitori sono missionari nei confronti dei figli. Ecco, missione vuol dire proprio questo: annunciare gli uni verso gli altri questa bellezza di un incontro con il Signore. Questo credo sia il punto chiave sul quale si gioca una comunità cristiana. Una comunità cristiana non può che essere una comunità missionaria. Questo il concilio Vaticano II lo dice in modo molto preciso: la Chiesa è missionaria per natura, perché il mandato l’ha ricevuto in virtù dello Spirito - quello Spirito che noi accogliamo soprattutto nel momento della Pasqua, nella risurrezione di Cristo - che invia i suoi a produrre questo mistero di annuncio.
A volte le intuizioni di chi avvia un’iniziativa profetica finiscono per “legare” coloro che ne ereditano l’impegno. Viste le dimensioni della vostra realtà, l’idea di fra Cecilio vi ha condizionato? È stata condivisa la sua scelta da voi confratelli che siete venuti dopo di lui? Vi ha coinvolti o vi ha travolti?
Quello che cercherò di comunicare anche in questo incontro è come l’intuizione non soltanto di fra Cecilio, ma l’intuizione di tanti frati prima di lui, andando indietro nel tempo fino ad arrivare a Francesco di Assisi - e che riassumo chiamandola intuizione francescana - abbia coinvolto Cecilio come spero coinvolga noi oggi. E mi auguro che coinvolga ancora per secoli tanti altri frati.
Che cosa Cecilio mette in evidenza con la sua missione? La missione di fra Cecilio viene da un amore profondo per l’Eucaristia. Cecilio ne è un grande innamorato. Nella sua storia c’è un passaggio importante, quando il padre provinciale lo sposta da sacrista a portinaio del convento - non è un passaggio facile, per la sua vita di obbedienza - e lui si rivolge al Signore e dice con rammarico «prima come sacrista potevo stare con te molte ore della giornata, adesso devo rinunciare perché sono in portineria». Avverte questo passaggio, anche se accolto nell’obbedienza, come qualcosa che lo limita, proprio perché è un grande innamorato dell’Eucaristia. E, come Francesco, è proprio da questa Eucaristia che Cecilio trae la forza per tutta la sua vita di missionario. All’inizio vorrebbe andare missionario in Brasile, quando viene a sapere della morte di padre Daniele di Samarate - un nostro frate cappuccino per cui è aperto il processo di canonizzazione - morto lebbroso tra i lebbrosi. Cecilio chiede di partire per andare a sostituire padre Daniele, deceduto nel 1924, ma i superiori glielo impediscono. Allora lui sente che la sua missione è questa: impegnarsi primariamente nel servizio dei poveri.
Ecco, quello che chiedi è fondamentale, proprio perché l’intuizione di Cecilio - non uso il condizionale ma l’indicativo al presente - deve essere l’intuizione di tutti noi che siamo chiamati a questo servizio missionario, laddove l’obbedienza ci pone, tenendo nella massima attenzione e privilegiando il servizio ai poveri.
E che il servizio dei poveri sia privilegiato nella missione dell’Opera San Francesco lo si può comprendere leggendo il resoconto delle attività del 2011, nel quale spiccano i numeri, ben diversi dai resoconti classici.
Nel 2011 i servizi dell’Opera San Francesco hanno funzionato a pieno ritmo: attenzione alla persona, gratuità dei servizi, sviluppo, innovazione e professionalità sono i valori guida che continuano a sostenere l’impegno dell’associazione. Non ci accontentiamo dei risultati raggiunti, desideriamo migliorare l’accoglienza e la qualità dell’aiuto offerto ai poveri, continuando a mettere sempre al centro la singola persona nella sua unicità, nella sua dignità, nella sua storia e nei suoi bisogni.
La cucina della mensa si è fermata per circa un mese per consentire importanti lavori di ristrutturazione anche se, grazie alla distribuzione di sacchetti contenenti generi alimentari, i nostri utenti non sono rimasti senza pranzo e cena. Il servizio docce e guardaroba è stato potenziato e dal mese di giugno garantisce ai nostri utenti una doccia settimanale. La novità dell’anno è l’apertura del servizio anche alle donne. Le docce sono complessivamente 26.453 alle quali si aggiungono i 15.393 pediluvi e 13.260 barbe. Il servizio accoglie e aiuta in particolare i senza dimora e consente loro di mantenere un livello minimo di igiene personale.
Al guardaroba la media giornaliera è stata di 51 prestazioni per un totale di 10.251 annue. Scarpe, sacchi a pelo, coperte, vestiti sono stati offerti grazie alla generosità di tanti benefattori e al lavoro paziente di 120 volontari che selezionano, puliscono, sistemano le decine di migliaia di capi di vestiario.
La nuova struttura ambulatoriale, attraverso l’impegno di volontari e operatori, offre visite mediche, dentistiche, ginecologiche, cardiologiche, esami ecografici ed ematologici, consulenza di psicologi e psichiatri, visite e assistenza per la prevenzione e la cura di malattie, distribuzione gratuita di farmaci. Le visite mediche effettuate nel corso dell’anno sono state in totale 32.934 con una media giornaliera di 138. Tutto questo è stato possibile grazie alla collaborazione dei volontari: 165 medici, 6 infermieri, 35 impegnati in farmacia e 24 in accettazione.
L’attività dell’ambulatorio è stata efficacemente supportata da quella del servizio farmacia; grazie al contributo del Banco Farmaceutico e di numerose aziende, sono state erogate 52.000 confezioni, segnando un +5,8% rispetto al 2010.
In questo difficile momento di crisi economica i poveri si rivolgono all’Area sociale in cerca di lavoro e di una casa, beni fondamentali per uscire dal tunnel dell’emarginazione. Lo Sportello lavoro ha incontrato gli utenti in cerca di lavoro e, in collaborazione con Idea Agenzia per il Lavoro, sono stati esaminati quasi 2.500 curricula avviando 12 contratti di lavoro. Piccoli risultati, ma grandi traguardi per chi è riuscito a trovare un’occupazione.
Grazie all’impegno dell’assistente sociale è stato possibile dare continuità all’accoglienza abitativa negli alloggi a nostra disposizione. Nel 2011 sono state ospitate 45 persone (di cui 18 donne, 7 uomini e 20 minori). I volontari dell’accoglienza hanno tesserato 8.786 nuovi utenti, mentre 25.910 sono stati i rinnovi tessera, +20,43% rispetto al 2010. L’aumento è giustificato dall’alto numero di arrivi di nord africani, dai paesi del Corno d’Africa e della zona sub sahariana. Tra i nuovi arrivi non mancano certamente i nostri connazionali (sono l’8,55% delle nuove tessere) in particolare anziani e padri separati.
Dal canto suo anche fra Vittore si difende. Solo nel 2011 questi sono i risultati delle raccolte che segue: stracci: 1.286 quintali; carta: 1.036 quintali; ferro e altri metalli: 475 quintali; oltre a una impressionante quantità di oggetti da rivendere nel mercatino dell’usato. Il tutto pro missioni.