Il 2023 è stato indicato dalle Nazioni Unite come “Anno internazionale del dialogo come garanzia di pace”, richiamando l’attenzione su un tema vissuto in prima persona e ogni giorno dai missionari, impegnati in aree spesso tormentate da tensioni e violenze, come racconta p. Antonio dalla Repubblica Centrafricana, un luogo dove le religioni possono aiutare, favorendo il dialogo, a ritrovare la pace.
a cura di Saverio Orselli
La pace è partecipazione
Il papa ha aperto una porta, la gente una strada
di Antonio Triani,
medico missionario cappuccino
La Repubblica Centrafricana è un paese tradizionalmente multiculturale ove coesistono religioni diverse.
Secondo le statistiche, quasi l’80% della popolazione segue il cristianesimo (con una leggera prevalenza delle Chiese protestanti). L’Islam è praticato soprattutto nel nord del territorio dal 15% della gente. Gli altri sono animisti con pratiche tradizionali indigene. Sino a qualche decennio fa non esistevano contrasti tra seguaci di varie fedi: vigeva una bella coesistenza pacifica all'interno della nazione, unita, tra l’altro, da una lingua comune: il sango. Non era raro incontrare famiglie interconfessionali i cui membri frequentavano varie Chiese in un clima di rispetto, stima ed accoglienza. Quando qualche solennità richiamava persone anche da villaggi vicini, facilmente venivano invitati ed accolti rappresentanti di altre confessioni.
Seleka e Anti-Balaka
Purtroppo la situazione è cambiata a partire dal 2013 quando gruppi ribelli armati irregolari, provenienti in gran parte dal Ciad e dal Sudan, in prevalenza musulmani, si coalizzano allo scopo di prendere il potere ed iniziano ad attaccare città e villaggi nel nord del paese, riuscendo poi a fare un colpo di stato nel marzo 2013. I gruppi di “Seleka” (così viene denominata la coalizione dei ribelli) in genere non parlavano la lingua locale, ma l’arabo. Nei territori occupati andavano dai musulmani, con i quali riuscivano a comunicare, facendosi ospitare. Molti di questi militari irregolari, mercenari reclutati ed armati nella prospettiva di vantaggi economici, iniziavano a depredare compiendo violenze e saccheggi, soprattutto contro le Missioni cattoliche, protestanti ed i non musulmani, ma non esclusivamente. Così cristiani ed animisti si vedevano perseguitati e consideravano collaborazionisti gli esponenti di fede islamica.
Si innescava allora la spirale della vendetta e contrapposizione di religione e nasceva un nuovo gruppo armato opposto: “gli Anti-Balaka”. L’equilibrio tra confessioni diverse era saltato. In realtà il conflitto era secondariamente di natura religiosa e in primo luogo di interessi politico-economici. Infatti la Repubblica Centrafricana è un paese potenzialmente ricco (diamanti, oro ed altri minerali preziosi, uranio, legname ecc.), abitato da gente povera, spesso senza accesso ai servizi primari. Tali ricchezze materiali sono ambite da potenze e multinazionali straniere. Dopo qualche anno di guerra, essendo intervenuta la comunità internazionale con l’invio, tra l’altro, di oltre 13.000 Caschi Blu dell’ONU, una pace precaria si è recentemente ristabilita.
Religioni unite per la Pace
Un notevole contributo veniva proprio dalle Chiese. Infatti, sin dall’inizio degli avvenimenti, tre leaders religiosi stringono un patto nella capitale, Bangui, e creano una piattaforma per la pace. Sono il vescovo cattolico (poi cardinale) Dieudonné Nzapalainga, il pastore capo Nicolas Gbangou ed il presidente degli imam Omar Kobine; l’obiettivo è evitare un bagno di sangue. Il gruppo inizia un lavoro di sensibilizzazione utilizzando versetti del Corano e della Bibbia per mostrare ai fedeli che i libri sacri ripudiano la guerra e vogliono la pace. Inoltre il terzetto intraprende un programma sistematico di riconciliazione andando a parlare con responsabili di istituzioni e governanti, invitando ad iniziative per ristabilire la pace.
Quando una città o regione diveniva sede di violenze, i tre capi religiosi vi si recavano fisicamente per ascoltare, dialogare e mediare, mettendo a confronto le opposte fazioni. Persino nel centro della città, al mercato venivano organizzati incontri con tutti, in particolare alla presenza dei ribelli, cercando di richiamare al rispetto dei valori etici comuni nella consapevolezza che esiste un’autorità suprema che è Dio. Momento davvero significativo è stato quando papa Francesco, a fine novembre 2015, invitato, ha deciso di aprire il Giubileo della Misericordia a Bangui, capitale dello stato. Qui, sino alla vigilia del viaggio papale si sparava e l’organizzazione della visita si presentava difficile e pericolosa. Tuttavia il Santo Padre ha voluto coraggiosamente mostrare al paese martoriato la sua vicinanza e solidarietà.
Dapprima è andato dai fratelli protestanti, poi ha aperto in cattedrale la porta santa della misericordia ed infine ha compiuto una storica visita ai musulmani nella loro moschea. Iniziava allora il cammino di riconciliazione tuttora in via di sviluppo. Infatti nel 2016 nasceva un progetto comune, finanziato da ONG cristiane ed islamiche per sostenere il progetto di pacificazione nel paese: “Partnership interconfessionale per il consolidamento della pace in Repubblica Centrafricana (CIPP)”. L'iniziativa viene sostenuta anche dall’Agenzia americana per lo sviluppo. Il programma ha questi obiettivi: rafforzamento delle istituzioni pubbliche perché divengano promotrici di coesione sociale, sviluppo economico degli strati più poveri della popolazione, aiuto alle vittime delle violenze ed educazione alla pace.
Buoni frutti
Recentemente, poco prima del Natale, una delegazione guidata dal cardinale Nzapalainga ha effettuato una tournée nel settore nord della nostra diocesi di Bouar: qui infatti operano ancora, con azioni isolate di brigantaggio, alcune fazioni ribelli determinando insicurezza e provocando fuga degli abitanti che vivono in villaggi isolati e lontani dai grossi centri. Nell’insieme, il cammino percorso finora ha dato buoni frutti e la situazione del paese è molto migliorata. Però, vista la gravità della crisi che ha originato il conflitto, non esiste la soluzione lampo. Occorre pazienza e perseveranza.
Potremmo sintetizzare il principio guida della piattaforma inter-religiosa così: il disarmo dei cuori, degli animi costituisce il fondamento della pace. Visto che i numerosi accordi di riconciliazione sottoscritti dai vari gruppi contrapposti, anche a livello internazionale, non sono stati rispettati, mancando la disposizione interiore per farlo, si tratta allora di ritrovare le energie spirituali che permettono di dominare i sentimenti puramente umani e perdonare, superando le differenze ed i torti reciproci.