Il nostro tè di oggi parte sulle note di “E ti vengo a cercare” di Franco Battiato. Le belle parole del testo sembrano volteggiare nell’aria leggere e poi planare dolcemente sui partecipanti seduti in cerchio, attenti. Guardo i volti dei presenti e mi accorgo di come la musica sia davvero un linguaggio universale, capace di superare tutte le barriere e raggiungere i cuori.

a cura della Caritas Diocesana di Bologna

 Tra i figli dell’uomo: il più bello!

Goccia dopo goccia cambiare

IL TÈ DELLE BUONE NOTIZIE

 «Bella vero?», interviene Maura al termine della registrazione, «Mi è tornata in mente questa canzone pensando alla domanda che MC si pone per il suo nuovo numero: cosa ci spinge verso l’umano?

Mi son detta: per andare verso l’umano posso percorrere due strade: cercare l’umanità negli altri, ma anche dentro di noi. In altre parole vi propongo di parlare di relazioni: in fondo quando parliamo di umano, parliamo di questo. Noi tutti siamo generati, nasciamo e cresciamo immersi nelle relazioni. A volte possono favorire la nostra umanità e altre volte possono essere anche negative e ferirci… Certo non dimentichiamo che tutte le esperienze, proprio tutte, anche le più terribili, ci possono rendere più umani, se le sappiamo accogliere…».

 Quando il dolore

«Beh, io vivo una bruttissima relazione con mia cognata e i miei nipoti da quando è morto mio fratello. Ora però questa cosa mi fa sentire male», interviene di spinta Rosa, l’urgenza nella voce. «Mia cognata non c’è mai stata per me quando è morto mio marito ed ora che lei ha perso il suo, io non riesco ad avvicinarla. Ma poi mi chiedo: gliela sto facendo pagare? E capisco che non è affatto una cosa bella questa… per fortuna a voi posso dirle queste cose, voi qui non giudicate nessuno ed anche io voglio provare a non giudicarmi per quel che sento…». La voce di Rosa si incrina e si spezza mentre Maura le si avvicina piano appoggiandole una mano sulla spalla: «Rosa, può essere che il dolore per la tua vedovanza sia ancora così forte in te, da impedirti di avvicinarti a tua cognata ed al suo di dolore?». I loro sguardi si incontrano ben oltre ciò che noi possiamo vedere mentre Rosa cerca in silenzio la risposta: «Sì, in effetti è così! Hai ragione, Maura: quando il dolore è ancora così forte, si fa fatica a vivere relazioni serene. Grazie, non ci avevo pensato!».
«La canzone di Battiato mi piace molto», interviene Franca raccogliendo l’attenzione dei presenti, «bello quando dice: ho bisogno della tua presenza per capire la mia essenza … in genere a noi invece piace molto insegnare agli altri, sentirci superiori, ma, se cerco l’umano, occorre proprio che lasci all’altro la possibilità di porgermi un’immagine diversa di me».
«Io invece, ascoltando quelle parole, ho pensato a qualcuno che si mette da parte e fa posto ad un altro», ribatte Daniele, «ma in effetti è vero anche l’inverso: tutti abbiamo bisogno di un altro/a. Io non sono io senza di te. Nella mia vita ho sperimentato questo: se recito la mia vita da protagonista, cerco un pubblico ed un consenso; personalmente, quello che interessa a me è piuttosto mettermi da parte, perché tutti si sentano protagonisti. Allora per me andare verso l’umano significa anche andare un po’ indietro e lasciare agli altri lo spazio per esserci». 

L’altro mi dice

«La frase della canzone che piace a Franca, ha colpito molto anche me», si fa avanti Maria Grazia, «ma riesco a metterla in relazione solo con Dio. Ci ho messo davvero tanto tempo, ma ad un certo punto ho sentito che il Signore mi ha come presa per i capelli e mi ha detto “adesso fermati!” e solo a quel punto Lui mi ha davvero rivelato la mia essenza. Se penso di voler avvicinarmi alla mia umanità, io penso a Dio».
«A quest’età che ho, avendo accumulato un bel bagaglio di esperienze, io mi sento pienamente umana perché l’ho sperimentata la vita e ora la capisco di più», si inserisce Rosaria, «comunque penso che andare verso l’umano sia sempre un cammino, ma devi stare attenta in che direzione vai. Quando invecchi diventi più buona o più cattiva. Io per fortuna sono diventata più buona, da giovane invece ero molto birichina…».
«Sì, in effetti anche io oggi mi sento più forte, più completa e ottimista», dice Emilia, «ho vissuto davvero tanto dolore e tanta sofferenza. Avevo una visione molto negativa di tutto, ho sofferto di una forte depressione, ma ho sempre creduto però. E ora dall’Alto mi arriva una bella serenità. Certo, il mio passato mi tormenta sempre e ne parlo spesso con la mia psichiatra, ma ciò che mi ha resa più umana nel tempo è stata la considerazione che gli altri hanno avuto nei miei confronti: quell’apprezzamento e quella stima hanno aumentato piano piano il rispetto e la considerazione che io stessa avevo di me. Oggi lavoro in un laboratorio dove si restaurano mobili e sono brava nel mio mestiere: anche il lavoro mi ha aiutata a restaurare la mia umanità».

 L’irrigazione di un amico omeopatico

La voce delicata di Manuela entra nel cerchio, assottigliata dagli anni: «Io sono volontaria in mensa da quarant’anni e all’inizio venivo solo per il desiderio di fare del bene agli altri. Figuratevi! Da
ragazzina sognavo di partire con il dottor Schweitzer per l’Africa. Ora credo di aver realizzato questo sogno venendo qui alla mensa della fraternità, in modo magari meno eroico e più quotidiano. Ma ora so che ho ricevuto altrettanto, non ho solo dato. Qui ho scoperto un’umanità che mi piace e che mi stimola anche tanto a restare pienamente umana. Nel tempo ho conosciuto tante persone proprio come me, che ho imparato a chiamare per nome, benché vivessero una vita molto diversa e ben più difficile della mia».
«È curioso», interviene Didi, «in fondo la vita è un percorso attraverso il quale io trovo la mia umanità grazie alle relazioni con gli altri, ma anche mettendo in relazione le diverse parti di me. Ci sono stati periodi in cui io mi sono chiusa perché stavo male e, al tempo stesso, stavo male perché mi ero chiusa… eppure accettare aiuto non è sempre facile».
«Se parliamo di umanità», si fa avanti Giuseppina, «alla mia età io faccio fatica ad accettare che qualcuno venga riconosciuto solo per il ruolo che ha. Sono a Bologna da cinque anni e non è stato facile inserirsi, fare amicizie. Ho fatto tanto volontariato, eppure anche questo mi ha lasciato un gran vuoto. Da quando non lavoro più, faccio fatica a sentirmi riconosciuta e soprattutto vorrei essere riconosciuta non per ciò che faccio, ma per ciò che sono…».
«Ripensavo a quello che hai detto tu, Maria Grazia», scatta sul finire Rosa, «come posso trovare quel Dio che hai trovato tu?».
Maria Grazia sorride cercando le parole giuste: «Pensa sempre che Lui c’è, anche se non Lo senti, Lui è sempre lì con te e ti aspetta».
«Dio è come un’irrigazione», aggiunge poetico Daniele, «Lui è una Goccia nell’umanità, un momento dopo l’altro, sono tante gocce di Lui. Puoi anche girargli le spalle, ma è fondamentale credere nelle piccole Gocce».
«Per me Dio è l’Amico che ti ama stando dietro le quinte», rinforza pacato Maurizio, «lo senti lo zampino di Dio: è l’Amico che si fa vedere poco… proprio come diceva Daniele: un pochino al giorno.  E la fede è … è come venire qui al tè: una volta, due, venti, cento… e poi ti accorgi che sei cambiato in meglio e non te ne sei nemmeno accorto!».
Verso l’umanità e verso Dio: gocce di catechesi del tè delle tre.