Meravigliosa creatura

Francesco affascina perché ha compreso che l’umano è lo spirituale e viceversa

 di Giovanni Salonia
frate cappuccino, psicoterapeuta

 Negli scritti di Francesco d’Assisi non si ritrova mai una visione umana dell’esistenza.

Tutta la realtà creata è vista sempre e solo da una prospettiva spirituale: la fede nel Padre che ha creato il mondo. Tuttavia Francesco è conosciuto ed amato da tutti proprio perché percepito come un santo umano. Sarebbe lungo l’elenco di scrittori, poeti, artisti di ogni orientamento religioso che si sono dichiarati affascinati dall’umanità di questo santo, forse proprio perchè visto come un’eccezione rispetto alla credenza che umanità e santità siano inconciliabili, se non opposte. Eppure in questa contraddizione è nascosta - come in un’ostrica - la perla preziosa dell’esperienza e del messaggio di Francesco d’Assisi: la visione spirituale della realtà non nega né squalifica l’umanità, ma anzi ne apre la strada alla pienezza. L’uomo spirituale è tale se e perché ha raggiunto la pienezza del dive.
Se si estrapola dagli scritti di Francesco una qualsiasi visione umana della realtà, si tradisce radicalmente il suo pensiero. Francesco, contrariamente a tante mode teologiche anche coeve (pensiamo al De contemptu mundi) aveva intuito che solo il peccato si oppone a Dio, non certamente l’essere umano. Intuizione che, se compresa e accolta nei secoli, avrebbe potuto ridurre tante incomprensioni che hanno lacerato il dialogo Chiesa-mondo e dare una vitalità nuova decisamente ‘evangelica’ alla evangelizzazione.

 Tutto è compiuto

Già l’incipit della V Ammonizione («Considera, uomo, in quale eccellenza ti abbia posto il Signore Iddio, creando e formando il tuo corpo a immagine del suo amato Figlio, e il tuo spirito a sua somiglianza») contraddice l’idea di una incarnazione necessitata dalla colpa del peccato dell’uomo e avvia una visione nuova dell’incarnazione: Cristo si sarebbe incarnato anche se non ci fosse stato il peccato perché il mondo e l’umanità sono stati creati in vista di Lui, della sua incarnazione. La creazione prepara ed è intimamente connessa con l’incarnazione. Così ribadirà Duns Scoto, così riprende Papa Francesco nella Laudato si’. Quando cioè Jahvè afferma «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» non ha davanti agli occhi Adamo ed Eva ma Cristo e la Chiesa: questa la coppia che esprime con pienezza il progetto, il sogno del Padre nella creazione. L’incarnazione non è avvenuta per correggere l’opera del Padre ma per “portarla a compimento”, come dirà Gesù. La creazione è sacra perché viene dalle mani del Padre ed è stata fatta per Lui e in vista di Lui. La creazione, nella sua carnalità, è la prima Parola di Dio. Nella creazione Dio si manifesta. La seconda parola è il corpo umano (ki tov) che dà inizio alla storia. E alla fine dei tempi lo Sposo e la Sposa siederanno a mensa con la Famiglia Trinitaria.
Nel diventare uomo, Cristo trova l’umanità travolta dal peccato perché ha smarrito questo progetto del Padre ed ecco che con l’incarnazione Lui redime l’umanità caricando su di sé, sperimentando nella sua carne il dolore e l’odio dei suoi fratelli («I suoi non lo riconobbero»: Gv 1,10), ma rimanendo in relazione di consegna fiduciosa al Padre («Non la mia volontà, ma la tua sia fatta»: Lc 22,42; «Nelle tue mani consegno il mio spirito»: Lc 23,46).
L’uomo Cristo esprime in pienezza l’essere uomo nel progetto del Padre. Non esiste un altro modo di essere uomo se non quello del Cristo uomo perfetto: «finché arriviamo tutti […] allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13). Cristo è umano, il cristiano è l’umano in pienezza: essere cristiani - ci ricorda Francesco - è l’elogio più significativo alla nostra umanità. In altre parole, non si può essere pienamente cristiani se non si è pienamente umani e l’essere umano non arriva a pienezza se non è aperto all’essere cristiano. «La fede proclama che tutto il cosmo è buono, in quanto creato da Dio […] e che il male che più danneggia l’uomo è quello che procede dal suo cuore» (Placuit Deo, n.7).

 Umano sine glossa

Ogni immaturità umana nel cristiano è immaturità cristiana. Ce lo ricorda con la chiarezza e la lucidità che gli sono proprie Joseph Ratzinger: «Vi sono nella religione patologie estremamente pericolose, che rendono necessario considerare la luce divina della ragione, per così dire, come organo di controllo, movendo dal quale la religione deve necessariamente farsi purificare e ordinare continuamente […] Ma […] a sua volta, anche la ragione deve essere ammonita sui limiti ed esortata a imparare una disponibilità all’ascolto verso le grandi tradizioni religiose dell’umanità».
È il peccato che si oppone allo spirituale, non l’umano. L’umano è sacro perché creato. I trent’anni di vita nascosta di Gesù rappresentano la consacrazione della vita (umana) come spirituale in tutte le sue forme. Dalla condanna di Galileo Galilei fino alle diffide nei confronti della psicoanalisi, l’atteggiamento ecclesiale è stato invece quello di leggere in negativo, come antitesi alla fede, ogni pensiero ‘umano’. È mancata per secoli - e tutt’ora stenta ad essere riconosciuta - la teologia della creazione. Ci si dimentica che siamo stati creati da Dio e che di fronte alle scienze umane dovremmo sentire curiosità, passione per le nuove informazioni che lo studio dell’uomo sull’uomo può fornirci sul progetto di Dio creatore. La teologia dell’incarnazione soffre e non esprime tutta la sua luce se non è intimamente connessa con la teologia della creazione.
Forse allora l’evangelizzazione che separa l’umano dallo spirituale, in ultima analisi, si rivela sterile ed anzi crea una disaffezione degli umani nei confronti del vangelo. Francesco d’Assisi, il Santo da tanti amato perché ‘umano’, ha dichiarato all’inizio della sua conversione che la forma che voleva dare alla sua vita era il vangelo. E diventando egli stesso sempre più vangelo vissuto è diventato modello di santità umana. Il ‘sine-glossa’ non va letto in senso moralistico, ma come senso di pienezza di vita. Le ‘glosse’ che riducono la bellezza del vangelo riducono la pienezza dell’umano, siano esse anche le parole dei sacerdoti.
Per chi crede, l’umano sarà sempre spirituale: sarà sempre dono di Dio. E nell’essere dono di Dio trova la sua radice, la sua integrità e la sua pienezza. Ed ecco Francesco che - dopo una notte insonne per il dolore agli occhi diventati sempre più inutili - canta il Cantico alle Creature che, in realtà, è un Canto al Creatore. Colpisce che Francesco attraversi la malattia proprio consegnandosi a Colui che ha creato il sole e le stelle, l’acqua e il fuoco, il vento e le tempeste. Come non ricordare, a questo punto, che quando Dio finalmente parla a Giobbe (l’uomo dei dolori) si appella alla creazione («Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra?»: Gb 38,4). Scherzando, possiamo dire che Francesco non vuole ricevere lo stesso rimprovero e così è lui che inizia lodando il Creatore per le creature. Quando Ciaula scopre la luna ha un momento mistico: s’illumina, le lacrime scendono dal suo viso, la notte risplende, il peso cade dalle spalle… Scopre Dio: l’estasi di fronte al creato è sempre incamminarsi lungo la strada che porta a Dio.

 

È bellezza di scrofa

Allora il cristiano è e non può non essere umano. Francesco quando dovrà elogiare Chiara dirà una cosa sola: «una donna cristiana!». Ha raggiunto la maturità piena: il consegnarsi al Padre. Ed è interessante al riguardo notare come le scienze umane dalla loro parte e il cammino spirituale hanno un punto di arrivo che si richiama nella reciprocità di formulazione: la dimensione relazionale. Giuseppe Ruggeri parla di una Cristologia dialogica e Christoph Theobald di 'ospitalità divina' che il Cristo è venuto a portarci. Forse dovremmo fare nostra la chiarezza di Francesco: sii cristiano e sarai umano, ma un umano spirituale che sa vedere che tutto è dono. Sii spirituale e sarai umano; sii spirituale e valorizzerai in pienezza l’umano, ogni umano, tutto l’umano perché viene da Dio. Il cristiano benedirà ogni uomo, ogni attività umana. Solo dal peccato prenderà la distanza, ma l’umano sarà assunto in pieno perché viene dalle mani del Padre. Canta Galway Kinnell nella poesia San Francesco e la scrofa:

  Il bocciolo è presente in ogni cosa,
anche in quella che non fiorisce,
o che fiorisce, dal di dentro, e benedice sé stessa.
Pur se è necessario a volte
Insegnare di nuovo a ciò che esiste
La sua stessa bellezza,
come mettere una mano sulla fronte del fiore
e raccontargli ancora, in parole e in carezze,
quanto sia bello,
fino a quando, benedicendosi,
non tornerà a fiorire, dal di dentro;
così come san Francesco
posò la sua mano sulla fronte rugosa
della scrofa, e le impartì in parole, toccandola,
la benedizione della terra sulla scrofa, e la scrofa
iniziò a ricordarsi della sua spessa lunghezza,
del grugno terroso
attraverso foraggio e acqua sporca
fino al ricciolo spirituale della coda,
dalla dura, puntuta spinosità della schiena
giù lungo il suo grande cuore infranto
fino all’azzurra, lattiginosa aria sognante che freme e zampilla
dai quattordici capezzoli alle quattordici bocche che succhiavano
e soffiavano lì sotto:
la sua lunga, perfetta bellezza di scrofa.