Cercare vie di pace in una terra tanto antica quanto ancora conflittuale. Il Villaggio della pace, Neve Shalom – Wahat al Salam: sogno o illusione? La sua esistenza porta un messaggio attualissimo che può fornire spunti importanti a quanti credono che la pace sia possibile.

a cura di Barbara Bonfiglioli

 È proprio la collina che c’è

Se non c’è odio e violenza, allora…

 di Giulia Ceccutti,
Associazione Italiana Amici di Neve Shalom - Wahat al Salam

 

«La pace è possibile. E noi sappiamo come farla». Così Samah Salaime,

direttrice dell’Ufficio comunicazione e sviluppo di Neve Shalom - Wahat al Salam, sintetizza ciò che oggi rappresenta l’Oasi di pace (questo il significato del nome, in ebraico e arabo) che sorge su una collina a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv.
Il Villaggio ha una lunga storia. Fu creato all’inizio degli anni Settanta su intuizione del padre domenicano Bruno Hussar, figura-chiave del dialogo ebraico-cristiano, fondatore a Gerusalemme della Casa Sant’Isaia per l’insegnamento della Bibbia in Terra Santa e tra i consultori della dichiarazione conciliare Nostra aetate.
Con lui sulla collina, all’epoca un terreno arido e privo di tutto, un piccolo gruppo di pionieri – coppie, divenute poi famiglie – ebrei e palestinesi decisi a non arrendersi a un futuro da nemici.

 Un modello di società equa

Oggi è una comunità di famiglie: attualmente un centinaio, per metà ebraiche e per metà arabe, tutte di cittadinanza israeliana. Sono di fede ebraica, musulmana e cristiana. Diversi abitanti non professano alcuna religione. Vivono insieme per scelta e rappresentano un modello di uguaglianza e rispetto, basato sulla reciproca legittimazione, il dialogo interreligioso e il bilinguismo. Si parla, si insegna e si impara infatti in ebraico e in arabo, attribuendo uguale spazio alla storia, alla cultura e alle tradizioni religiose di tutti.
Unico luogo di preghiera è Dumia - Sakinah, la “casa del silenzio”, una cupola circolare priva di simboli religiosi. Uno spazio carico di spiritualità, in cui tutte le fedi e sensibilità possono incontrarsi grazie al linguaggio universale del silenzio.
Il Villaggio è un’oasi – letteralmente – all’interno di un contesto sempre più diviso e drammaticamente violento. Un contesto in cui, come emerge anche dall’attualità, il tema di una concreta risoluzione del conflitto pare sempre più marginale all’interno dell’agenda politica.

 Il dialogo giorno per giorno

Qui il dialogo si cerca di costruirlo un pezzo alla volta. Come vicini di casa e residenti di una comunità in cui tutte le decisioni prendono forma democraticamente, nel corso dell’assemblea generale.
Come genitori dei bambini che frequentano l’asilo e la scuola primaria bilingue e binazionale, aperta nel 1984, la prima di questo tipo in Israele (il percorso d’istruzione è infatti in genere separato per ebrei e arabi). Oggi è frequentata per il 90% da bambini che abitano in una ventina di villaggi vicini e sul suo modello sono sorte altre scuole nel Paese.
Come membri attivi dei vari comitati che sostengono le diverse istituzioni educative (in primis la scuola, il Centro Spirituale pluralista, il club dei ragazzi), rigorosamente composti da un numero pari di ebrei e arabi, buona parte dei quali giovani.
Infine, come promotori della Scuola per la pace, istituzione nota in tutto Israele e all’estero. Dal 1979 porta giovani e adulti di entrambi i popoli a guardare in faccia l’“altro”, misurando i reciproci pregiudizi, prendendo consapevolezza del ruolo che ciascuno – volente o nolente – gioca all’interno del conflitto, e provando ad andare oltre.

 A scuola di pace

La Scuola per la pace sorse insieme al Villaggio, per intuizione di Bruno Hussar, secondo il quale «anche la pace è un’arte, che non si improvvisa, ma deve essere insegnata». Organizza corsi e laboratori di educazione alla pace con gruppi di ebrei e palestinesi, ed è presente anche in alcune università. Le attività sottolineano l’importanza di una conoscenza della propria identità di popolo e l’urgenza di un dialogo realmente tra pari.
L’impatto è sorprendente: più di 70 mila persone ne hanno frequentato finora i programmi. Tra queste, varie categorie di professionisti in grado di cambiare le cose a partire dal proprio lavoro: architetti, psicologi, giornalisti, avvocati, giovani politici, gruppi di donne attive a vario titolo all’interno del tessuto sociale.
«Prima di frequentare un corso della Scuola per la pace, il fatto stesso di dovermi sedere nella stessa stanza con degli israeliani mi generava ansia. Oggi posso dire che grazie alla Scuola mi sono riconnessa con la mia identità palestinese e ho acquisito maggiore fiducia in chi sono... e mi sento perciò più pronta al dialogo». A parlare è Nur, ventenne araba, oggi coordinatrice di una parte dei programmi. Una frase che dice molto.
Le attività, coordinate da facilitatori ebrei e arabi, sono costituite da momenti sia uninazionali che binazionali.

 Le collaborazioni

Un’oasi, si è detto. Strettamente collegata, però, con quanto succede intorno e con le molteplici realtà che in Israele e in Palestina testardamente operano in direzione del dialogo. Costanti le collaborazioni su diversi progetti, che coinvolgono tutte le istituzioni educative.
Numerosi residenti sono poi impegnati in prima persona, in modi diversi, presso tali associazioni e gruppi: dal medico che si reca regolarmente a Gaza come volontario di Medici per i diritti umani alla ragazza ebrea che – grazie alla propria conoscenza dell’arabo appresa alla scuola del Villaggio – organizza un corso di arabo per i volontari israeliani che aiutano i beduini nelle colline a sud di Hebron. Dalla famiglia che fa parte di Parents Circle (forum di famiglie vittime della violenza, dall’una e dall’altra parte) all’attivista che ha fondato un’associazione che si batte contro la violenza domestica tra le famiglie arabe.
Tanti ex allievi della Scuola per la pace, infine, dopo il percorso compiuto sono oggi alla guida di varie istituzioni in prima linea nella difesa dei diritti umani. Negli ultimi anni, non a caso, la Scuola ha investito molte energie nel coltivare la rete degli ex allievi: una risorsa preziosa per tutti.

 Il sostegno dall’Italia

A credere nel «folle sogno di Neve Shalom Wahat al Salam» – secondo un’espressione cara al suo fondatore – sono anche tanti amici e una decina di associazioni che lo sostengono dall’estero, tra cui l’Associazione Italiana Amici di Neve Shalom Wahat al Salam. Tra le altre cose, quest’ultima di recente ha pubblicato in nuova edizione Quando la nube si alzava (EDB), l’affascinante autobiografia di Bruno Hussar. Un interessante strumento per saperne di più e, magari, ipotizzare una visita di persona...

 

 

Contatti

Sito del Villaggio: wasns.org
Sito della Scuola per la pace: sfpeace.org
Sito dell’Associazione Italiana Amici di Neve Shalom - Wahat al Salam: oasidipace.org