C’è un dentro che si sente fuori e Papa Francesco lo chiama periferia esistenziale. Per andare verso questa periferia in modo nuovo, è necessario rendersi conto che si tratta di un territorio abitato anche da quelli che sono vicini, al nostro fianco e si sentono fuori: occorre dunque comprendere e accompagnare chi si sente escluso, emarginato.

a cura di Michele Papi

 La grazia di accompagnare

Una risorsa per chi cammina e cresce 

di Carlo Muratori
educatore scout

 Una pratica costante nella storia della comunità credente, come l’accompagnamento spirituale – forse più conosciuto come direzione spirituale – può esserci di aiuto nel ritornare all’ABC della fede nella direzione e nel senso del vangelo.

Il dialogo tra maestro e discepolo è vecchio come il mondo; possiamo citare, restando nella nostra tradizione, un passo della letteratura sapienziale: «Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole…» (Proverbi 2,1) oppure, dopo l’esperienza unica dei seguaci di Gesù di Nazareth, tutta l’epopea monastica antica che possiamo sintetizzare nel «Padre, dimmi una parola…» dei discepoli dei padri del deserto. L’accompagnamento spirituale potrebbe sembrare oggi fuori moda nella nostra società occidentale, mentre, a mio avviso, si tratta di una risposta alla sete di verità su di sé, sul mondo che accompagna l’uomo e la donna di ogni tempo e che va di pari passo con la sete di Dio nascosta in ogni persona. Ecco allora che rendersi disponibili a questo genere di aiuto ci offre l’occasione di un incontro significativo per la vita delle persone vicine e lontane, per rileggere insieme la propria storia, alla luce di Cristo e del suo camminare in mezzo a noi.

 Chi li aiuta?

In un periodo di confusione e mancanza di punti di riferimento come quello in cui viviamo, dove sembrano ormai perdute o logorate le figure genitoriali ed educative, è in costante aumento da parte dei giovani la ricerca di qualcuno che li aiuti e li possa accompagnare nel cammino dell’adolescenza. Vogliono e cercano persone capaci di aprire loro nuovi orizzonti di speranza, esplorando con loro nuovi sentieri di senso. Non a caso la paura maggiore che vivono è rivolta al futuro che mai come in questi ultimi decenni vedono nebuloso e negativo. Essi avvertono tutta la difficoltà e molte volte l’impossibilità di costruirsi una identità, capace di reggere le prove della vita. I giovani non sentono più sufficiente nemmeno il confronto con i coetanei nel gruppo dei pari in cui si vedono e si sentono come tante barche alla deriva in un mare in tempesta. Esaurito l’effetto dell’anestesia prodotta dal divertimento e dai mondi virtuali, il grido che sentono dentro urla sempre più forte e nulla sembra poterlo placare. Ecco perché sempre più giovani ricercano l’aiuto di figure, professionali e non, in grado di fare loro da guida o almeno da specchio.
Quotidianamente sentiamo parlare di psicologi, counselor, mental coach, life coach, personal trainer che diventano punti di riferimento per tante persone. Non c’è niente di male in tutto questo, anzi bisogna dare atto che aiutano veramente a risolvere situazioni di difficoltà, ma non possiamo dimenticare che tra loro ci sono alcuni che, sentendosi veri e propri guru, prospettano in momenti di crisi soluzioni errate attraverso modelli di realizzazione umana alienanti.

 Uscire per accompagnare

Essere Chiesa in uscita, andare incontro ai lontani, può voler dire in questo tempo accompagnare le persone disorientate in un viaggio che le faccia uscire da una idea riduttiva di sé, da una percezione stravolta della propria identità, per farle rientrare in contatto con il nucleo profondo del proprio essere come ce lo ha rivelato Gesù. In una recente intervista pubblicata sui canali social dell’Ordine cappuccino, il nostro fratello card. Cantalamessa ci ricorda quale sia il centro della vita religiosa, ma penso anche della vita in generale, «il rapporto personale e intimo con la persona di Gesù, unico capace di riempire le nostre vite, attraverso la preghiera, la meditazione, la lettura della Parola di Dio». Questo è un cammino che possiamo proporre ai giovani di oggi nella misura in cui saremo disposti a percorrerlo noi per primi.
Tra le tante persone che ho avuto la gioia di accompagnare, mi torna in mente il caso di un giovane educatore parrocchiale. Me lo sono trovato davanti un pomeriggio qualsiasi: lo conoscevo da diversi anni e a tutti erano note le sue qualità e la sua dedizione al servizio che svolgeva con una sensibilità e una attenzione non comune verso i suoi ragazzi. Attaccò lui discorso dicendomi in modo diretto che era in crisi e che non aveva più voglia di spendersi per gli altri. Gli chiesi come mai era venuto da me e che cosa cercava da quel colloquio, e la sua risposta fu che, dopo anni di impegno totale in campo educativo, si sentiva come svuotato nel constatare una quasi assenza di risultati, una sproporzione tra quanto lui metteva in gioco in nome della sua fede e dei suoi ideali e la quasi impermeabilità dei giovani alle sue sollecitazioni. Lo stesso rapporto con Dio ne stava risentendo e si era come fatto sempre più debole. Gli ho proposto di continuare a vederci; ha accettato, e così piano piano siamo andati a rileggere cosa ci fosse dietro al suo modo di agire. Un giorno mi ha comunicato come avesse capito che, dietro alle sue azioni, ci fosse più il suo bisogno di fare qualcosa per gli altri e così sentirsi realizzato, che il reale desiderio di vedere crescere queste persone. Il suo cuore era in frantumi perché nella sua vita non trovava posto la gratuità: si era così aperta una breccia all’azione dello Spirito.

 Il volto di un Dio vivo

Oltre l’insoddisfazione e la costante ricerca di una perfezione basata sulle sue forze, il tempo era propizio per rileggere la sua storia di educatore, identificando in concreti episodi come il Signore fosse invece presente e operante nella vita sua e dei ragazzi. Anche dietro a quelli che considerava fallimenti si potevano vedere i frutti di un’azione misteriosa. Lentamente si è fatta chiara in lui la consapevolezza che tra le pieghe della sua vita e dell’azione educativa, poteva ritrovare il volto di un Dio vivo con cui entrare in relazione. Pian piano si è dato il diritto di ripartire dalla vita quotidiana con pazienza e senza voler buttare all’aria tutto quello che stava facendo, anzi scoprendo la profonda unità esistente tra ciò che si è e ciò che si fa, soprattutto nel campo della relazione fondamentale con Dio, dentro la quale possiamo scoprire anche la nostra vocazione nel senso di ciò che possiamo fare per gli altri. Se quel giorno non fosse venuto a farmi quella domanda e se io non mi fossi fatto disponibile ad accompagnarlo, limitandomi a delle risposte da manuale, probabilmente avrebbe interrotto la sua esperienza di servizio ma soprattutto non avrebbe avuto l’occasione di crescere nella conoscenza di sé e nella relazione con Dio.