Ricordando abba Renzo Mancini

 

 

Castel d'Alfero di Sarsina (Fc), 19 ottobre 1952

 † Soddo (Etiopia), 27 agosto 2022

 

 

Un po’ come il profeta Amos

 «Avrò avuto otto anni: un frate cappuccino ci fece vedere il film Molokai e alla fine chiese: “Chi vuole fare il missionario come padre Damiano?”. “Io”, risposi subito. È iniziata lì la mia vocazione religiosa e missionaria». È quanto raccontava padre Renzo a Saverio Orselli che l’intervistava per Messaggero Cappuccino nel 2008. Una decisione partita direttamente dal cuore, come poi quasi tutte le altre nella sua vita.


Figlio di Valentino e Gertrude Guerrini, era nato a Castel D’Alfero di Sarsina il 19 ottobre 1952. «Io vengo da una famiglia povera e contadina, sono abituato da sempre ad una vita semplice, senza troppe sovrastrutture borghesi. Questo mi ha sempre aiutato ad avere un rapporto immediato e diretto con le persone. Mi trovo bene in mezzo ai poveri. Sento molto vicine a me le vocazioni dei profeti dell’Antico Testamento, come quella del pastore Amos. Il nomadismo del popolo di Dio e l’itineranza francescana mi piacciono molto: il Signore ha preso anche me da una situazione povera e limitata per farmi fare esperienze nuove e più vaste».
Terminerà le scuole elementari nel seminario di Imola, per passare poi alle medie e al ginnasio; nel 1969 è ammesso al noviziato di Cesena dove nel 1970 emette la professione temporanea e poi nel 1975 quella perpetua. Il corso filosofico-teologico lo frequenta nello Studentato interno dei Cappuccini fino al 1977; ma per l’ultimo anno passa nel seminario regionale “Benedetto XV” di Bologna. Il 24 giugno 1978 viene ordinato sacerdote e inviato a Santarcangelo di Romagna come incaricato per l’animazione missionaria delle zone riminesi e del Montefeltro e come assistente del gruppo handicappati (li chiama sempre così, senza troppe perifrasi).

 Tu sei sprecato sui libri!

Aveva provato anche a prendere la licenza in teologia, ma, con tutte le cose che aveva da fare, si è ridotto a preparare la tesi una settimana prima di partire per il Kambatta. Dopo averlo conosciuto, i professori già da tempo gli avevano detto: «Renzo, lascia perdere i titoli accademici: tu sei sprecato sui libri!». E glielo dicevano seriamente. Piccolo, rotondetto, barba rossa e foltissima, capelli lunghi e pettinati una volta al mese, sempre allegro, con quegli occhietti a mezz’asta e una carica straordinaria di simpatia, aveva una tale facilità di rapporto interpersonale che in cinque minuti riusciva a prendere chiunque sottobraccio.
In effetti, anche durante gli anni di teologia a Bologna, Renzo aveva una sua gerarchia negli impegni: stare con gli handicappati, aiutare fr. Vittore a raccogliere in città ferro, carta e stracci per le missioni e poi… qualche scampolo di tempo per i libri di teologia. «I quattro anni che ho passato con gli handicappati sono stati per me un’esperienza fondamentale e pensavo di dedicarmi a questa attività per tutta la vita. La mia presenza in mezzo a loro era semplicemente da fratello tra fratelli, condividendo la loro vita, i loro problemi, le loro possibilità di inserimento sociale. Io non penso di essere un granché come personalità spirituale: anche a loro dò quello che ho, amicizia, vicinanza, presenza».
Dopo i tre anni a Santarcangelo, viene finalmente accolta la sua domanda di andare missionario. Passa un anno in Inghilterra per imparare l’inglese e il 2 febbraio 1983 parte per la missione del Kambatta. Si ferma qualche mese ad Addis Abeba per imparare l’amarico e nel luglio del 1983 va nella stazione di Jajura; nell’aprile del 1985 passa a Taza come parroco e direttore della scuola, nel 1993 si trasferisce a Wasserà come parroco. Nel 2001 passa nella nuova missione del Dawro-Konta e nel 2002 è parroco a Gassa Chare. Dal 2005 al 2014 è responsabile della Fraternità di Gassa Chare, per divenire poi nel 2014 delegato del ministro provinciale dell’Emilia-Romagna per il coordinamento dell’area e parroco dei Seferà. Nel 2016 la Domus praesentiae del Dawro Konta viene integrata nella Custodia dell’Etiopia, che nel 2018 verrà poi eretta in Provincia. Dal 2016 anche i missionari italiani dipendono dunque dai superiori etiopici.

 Mai schiavi delle strutture!

Dipendere è un verbo impegnativo, soprattutto per chi, come Renzo, ricordava sempre e sottolineava che «gli orari e le strutture sono per l’uomo: non si deve diventarne schiavi!». E lui non è mai stato schiavo né di orari, né di strutture, né di formalismi e neppure di regole alimentari e sanitarie troppo rigide, creando qualche problema ai superiori sia italiani che etiopici. Prendiamo la gestione del denaro, ad esempio. I superiori avevano messo delle regole precise di centralizzazione, di trasparenza, di previa approvazione dei progetti. Ma anche qui – cioè anche là - Renzo aveva una sua gerarchia di valori: primo, aiutare i poveri e poi tutto il resto. Il che creava qualche incomprensione. Telefonava spesso al segretario delle missioni chiedendo denaro per questo e per quello, e il povero padre Ivano che doveva rispondere: «Ma Renzo, bisogna aspettare l’approvazione del progetto e il permesso dei superiori: vedrò di anticipare parte della somma prevista per l’anno prossimo…». «Ma la somma per l’anno prossismo l’ho già spesa…».
Non era facile gestire la cosa. Anche perché era ben chiaro a tutti che non usava il denaro per sé, ma per i poveri, i bambini, i giovani per i quali inventava ogni giorno iniziative nuove di aiuto, i Seferà, gruppi di famiglie che lo Stato spostava nelle zone meno popolate e che avevano bisogno di ricreare un ambiente vivibile. Dalla pecora per una famiglia bisognosa, ai gemellaggi tra gruppi scout in Emilia-Romagna e in Etiopia, ai campi di lavoro ovunque si presentava la possibilità: «Fosse per me, di campi ne farei in continuazione, anche se, di giorno in giorno, aumenta la fatica…». Quanti viaggi-esperienza organizzati per l’Etiopia e quanti medici italiani sono andati per fare interventi chirurgici; e ci voleva chi accogliesse medici e visitatori, chi li accompagnasse nelle varie stazioni: Renzo era il punto di riferimento, sempre disponibile, sempre sorridente.

Se qui non vieni tu, chi può curare questi poveretti?

Dio solo sa quanti chilometri ha fatto Renzo in auto da una parte all’altra dell’Emilia-Romagna prima e dell’Etiopia poi. «Quando sarà il momento, credo che morirò per strada», diceva. E la sua previsione si è quasi avverata: un incidente stradale lo ha costretto all’ospedale di Soddo dove poi è morto pochi giorni dopo. “Dio ama chi dona con gioia” ricordava san Paolo ai cristiani di Corinto (2Cor 9,7). E non solo Dio. Giunta la notizia della morte di padre Renzo al Campo di lavoro di Imola, i giovani partecipanti sono rimasti shockati e ricordandolo nella veglia molti piangevano.
Il dottor Stefano Cenerini, da molti anni medico in Etiopia, lo ricorda così: «Sono stato a trovarlo nel reparto di ortopedia del Soddo Christian Hospital verso le 10 di venerdì 26 agosto. Non era in gravi condizioni (queste si sarebbero presentate nel tardo pomeriggio) tant’è che abbiamo parlato per una quindicina di minuti di temi vari. “Pace a te”, le sue ultime parole mentre uscivo… Tra le nostre missioni ogni volta che si presentava una qualche difficoltà, si contattava abba Renzo: era la persona giusta per creare un clima di pace, preliminare alla soluzione del problema. Come medico missionario sono stabilmente presente nelle province del Dawro e del Konta dal novembre 2015, dietro sua insistente richiesta fin dal 2012. Fin da quando mi parlò la prima volta della necessità di un medico nelle missioni di queste due province, gli era chiaro il progetto sanitario soprattutto a favore dei poveri. A dire il vero a me non lo sembrava affatto, con cliniche molto piccole ed isolate; tant’è che alla fine decisi per Abobo (regione di Gambella). Nondimeno, due anni dopo l’occasione gli si ripresentò e riuscì a vincere le mie ultime riserve. Accettai, senza vedere affatto le prospettive a medio termine e solo intravvedendo quelle a breve. Oggi bisogna proprio dire che aveva ragione lui: la Clinica di Bacho piccola era e piccola è rimasta, ma da allora ha più che quadruplicato le prestazioni con un bacino di utenza che si estende per molti chilometri oltre i villaggi circostanti.
La sua conoscenza della lingua e dei costumi locali, nonché la sua affabilità, gli hanno permesso di aprire qualunque porta: è perfino arrivato al vertice, essendo stato una volta invitato a cena dal Presidente della Repubblica Woldeghiorghis. Mi ha portato nei luoghi più sperduti delle due province, dove la parola missionario e la parola abba Renzo coincidevano indipendentemente dalla lingua (in macchina aveva sempre con sé due borse con tutto l’occorrente per la messa: una era riservata a bibbie e messali in quattro lingue diverse!). Le condizioni di alloggio e vitto sono sempre state molto al di sotto della decenza, ma sue frasi del tipo: “Se qui non vieni tu, chi può curare questi poveretti?” riuscivano regolarmente a convincermi che non era il caso di mandarlo a quel paese. Concludo con la certezza che tra noi si aprirà un grande vuoto, con la necessità di ripensare varie attività. Al tempo stesso però cresce la consapevolezza che la presenza missionaria resta inestimabile, al di là delle persone presenti».

 Padre Silverio e padre Renzo

Abba Renzo è ora sepolto a Dubbo accanto a padre Silverio: due missionari molto diversi tra loro, ma entrambi grandi. Silverio, uomo d’ordine e di lettere; Renzo, borderline e uomo del fare. Incandescenti erano le discussioni tra loro, ma entrambi animati da profondo amore e rispetto per quella cultura e quella gente. È difficile fare la necrologia di padre Renzo Mancini senza esprimere entusiasmo per la sua vita generosamente vissuta; pur coscienti che, così facendo, si può rischiare l’accusa di “apologia di reato”. Ma tant’è: pur con qualche aspetto discutibile e discusso, tutti riconoscono che ha sparso davvero tanto bene in Italia e in Etiopia. Ce ne fossero di “rei” di questo tipo! Siamo certi che sono tanti gli handicappati e i poveri che lo hanno accolto a braccia aperte in paradiso, felici di averlo di nuovo tra di loro.
Ma qui e ora: chi vuole fare il missionario come padre Renzo?

Dino Dozzi

 Il funerale è stato celebrato il 29 agosto a Soddo (Etiopia) e alla stessa ora è stata celebrata una messa di suffragio nella chiesa del nostro convento di Imola nel contesto del Campo di lavoro. La messa è stata presieduta da fr. Lorenzo Motti, Ministro provinciale e l’omelia è stata tenuta da fr. Matteo Ghisini, segretario per le missioni. Numerosa e commossa è stata la partecipazione dei confratelli e dei giovani campisti.