Giornalista: «È vero che nel carcere della Dozza si possono trovare nella medesima sezione cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, musulmani buddhisti e indù?». Risposta: «Non lo so. Per ora in questa sezione vedo solo detenuti». E un altro incalza: «Io vedo solo persone».

a cura della Redazione di “Ne vale la pena”

 Dove l’impossibile è necessario

Comunicazione coatta e dialogo interreligioso

 di Fabrizio Pomes
della Redazione di “Ne vale la pena”

  DIETRO LE SBARRE

Recentemente il cardinale Matteo Zuppi ha promosso qui alla Dozza l’incontro di preghiera interreligioso in occasione della XVIII giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico,

consentendo, all’interno del carcere, un confronto fra le comunità religiose più attive e presenti, in particolare cattolici, evangelici, musulmani; anche frate Ignazio, che da anni è promotore del dialogo cristiano-islamico, ha partecipato collegandosi dai microfoni di Eduradio.
Ma nonostante queste “prove di dialogo”, i problemi sono tanti; in carcere viviamo una società della comunicazione coatta, senza intervalli di silenzio, senza camere di compensazione razionale, senza vero ascolto.

 “Duo-” o “dia-” logo?

Se l’importante è solo parlare, e non ascoltarsi, la relazione con l’altro non sarà mai un confronto autentico, né un dialogo nel senso forte del termine; sarà piuttosto un “duologo” ossia un monologo a due.
La “vita del dialogo” è tale solo se l’io parlante si volge a un tu ascoltante. Noi cattolici vorremmo tanto interpretare lo scomodo ruolo di coscienza critica dentro una società segnata da forti sentimenti razzisti e da coriaceo individualismo, ma reciprocità, comunità o addirittura comunione sono termini ancora estranei al linguaggio delle sezioni carcerarie. Culture diverse non hanno solo lingue diverse, pensano anche in modo diverso, e con tutta probabilità vivono in un mondo diverso, discosto e lontano dal nostro.
Incontrando culture e religioni “altre”, le leggiamo in base alla nostra, vedendo poco o nulla di ciò che esse vivono e rappresentano, proprio mentre cerchiamo di comprenderle: il bisogno, in fondo, non è tanto capire o ampliare l’orizzonte, quanto piuttosto eliminare lo sconosciuto, il diverso, l’insolito.
Alla Dozza, come in ogni istituto di pena, ci sono persone private della libertà personale di religioni differenti: i cattolici, i cristiani evangelici, i musulmani, gli hindu, i buddhisti, i giainisti e i testimoni di Geova. Il dialogo, per quanto difficile, è comunque necessario in una comunità a socialità obbligata e quindi occorre cogliere gli elementi e gli spunti di vicinanza piuttosto che quelli divisivi, occorre adottare la collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e criterio.
Gli insegnamenti delle diverse religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace; a sostenere i valori della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune; a ristabilire la saggezza, la giustizia e la carità.
Certamente si conviene sul fatto che Dio ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondervi i valori del bene, della carità e della pace.
Su queste basi allora capiamo la sapiente volontà divina con la quale Dio ha creato gli esseri umani garantendo loro il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di lingua e di razza.
E allora al di là che si preghi in chiesa, in moschea o nel tempio, il dialogo tra credenti significa incontrarsi nello spazio dei valori spirituali, umani e sociali comuni, e investire ciò nella diffusione delle più alte virtù morali.

 Un Dio che cerca

Per noi cattolici la guida resta sempre la Bibbia perché è estremamente semplice e nella sua semplicità possiede la saggezza dei secoli. Le parole di Gesù vengono dal cuore e vanno al cuore. La nostra è la sola religione ad affermare che non solo l’uomo è alla ricerca di Dio, ma anche Dio è alla ricerca dell’uomo. Le altre religioni credono che l’uomo sia alla ricerca di Dio. Noi crediamo che anche Dio sia alla ricerca dell’uomo. E dovrebbe essere così, se è il nostro Padre. Egli è il Tutto, e se una parte si è persa, il Tutto, mosso dalla propria compassione, deve cercare la parte.
Noi cattolici quindi, nella società e tanto più in carcere, partiamo da un presupposto di fede “privilegiato” che esclude la possibilità della chiusura entro frontiere identitarie; siamo chiamati anche qui, dove tutto è più difficile, ad aprire le porte e a dare ascolto a tutti coloro che, per qualunque ragione, bussano alle nostre porte. O forse, addirittura, siamo chiamati a cercare anche i più lontani, quelli che non vorremmo avere a fianco, quelli che apparentemente non capiamo.