Mille voci, una voce

Dialogo ecumenico e dialogo interreligioso nella Chiesa Cattolica

 di Riccardo Burigana
Direttore del Centro Studi per l'Ecumenismo in Italia

 Il 21 giugno 1966 il cardinale Giovanni Urbani, patriarca di Venezia, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, comunicava ai vescovi italiani, riuniti in Assemblea, la decisione di incaricare tre vescovi per tenere i contatti con i tre Segretariati (“per i fratelli separati, per i non cristiani e per i non credenti”), istituiti da Paolo VI per sostenere la dimensione del dialogo, rispettivamente, nell’ecumene cristiano, con le religioni e nel mondo.

Sul dialogo si era a lungo interrogato il concilio Vaticano II, fin dai primi passi della sua preparazione, ma era stato poi Paolo VI, con la pubblicazione dell’enciclica Ecclesiam suam, nell’estate 1964, quando il Concilio non aveva ancora promulgato il decreto Unitatis redintegratio sui principi cattolici sull’ecumenismo e, soprattutto, la costituzione Lumen gentium, dove si affrontava anche il rapporto tra la Chiesa e le religioni, a porre l’attenzione sulla necessità di fondare l’azione quotidiana dei cristiani sul dialogo, in ascolto di Dio e dell’altro, per essere testimoni credibili della Buona Novella.

 Le tre vie

Nella Conferenza Episcopale Italiana l’impostazione di un dialogo a tre vie (ecumenico, interreligioso e culturale) doveva poi lasciare il campo a un’altra che privilegiava la dimensione del dialogo in quanto tale, senza ulteriori articolazioni, pur sottolineando la priorità del cammino ecumenico, tanto che, al di là dei nomi e dalla composizione dei diversi organismi, che di volta in volta vennero istituiti dalla stessa Conferenza episcopale, a questi organismi venne affidata la promozione del dialogo, fosse dialogo ecumenico, ebraico-cristiano e interreligioso. Questa impostazione è stata poi riaffermata anche nel 2008 quando, di fronte al nuovo panorama ecumenico e interreligioso dell’Italia, determinato dall’arrivo di uomini e donne di fedi diverse, in conseguenza dei flussi migratori, con la creazione di tante nuove comunità, nella stragrande maggioranza dei casi ospitate dalla Chiesa Cattolica, la Conferenza Episcopale Italiana prese la decisione di creare un Ufficio Nazionale per il dialogo ecumenico e interreligioso (UNEDI), mettendo fine così alla prassi di trattare del dialogo all’interno dell’Ufficio Catechistico, mentre continuava la sua attività la Commissione Episcopale per l'ecumenismo e il dialogo.
Non sono mancati, anche in Italia, i documenti e convegni ufficiali con i quali la Conferenza Episcopale ha definito la profonda distinzione tra dialogo ecumenico e dialogo interreligioso, recependo così quanto veniva elaborato, a livello universale, dalla Chiesa Cattolica, dove, fin dai tempi della celebrazione del Vaticano II, era apparsa chiara la distinzione tra i due. Non era solo una questione di genesi, cioè del fatto che l’ecumenismo era stato indicato come una delle istanze centrali del Concilio, fin dalla sua indizione, tanto che Giovanni XXIII aveva creato, nel giugno 1960, un Segretariato per la promozione dell’unione dei cristiani, mentre il dialogo con le religioni, anche quando circoscritto a una conoscenza positiva dell’altro, pur presente in alcune proposte, era poi emerso durante i lavori conciliari, fino a approdare, con un percorso redazionale tutt’altro che lineare, a un testo «sulle religioni non-cristiane», la dichiarazione Nostra aetate, promulgata nelle ultime settimane del Concilio.

 Dal Concilio a oggi

Durante gli anni del Vaticano II si erano fatte largo una serie di riflessioni, maturate nella prima metà del XX secolo, anche in ambito cattolico, per le quali l’ecumenismo era un elemento fondamentale nella vita della Chiesa per costruire la comunione e per superare le divisioni, anche all’interno di una stessa confessione, abbandonando quindi l’idea che con ecumenismo si dovesse  intendere la definizione di un percorso di “conversione” dei cristiani fuori della Chiesa Cattolica per favorire il loro ritorno. Il radicale ripensamento della partecipazione della Chiesa Cattolica al movimento ecumenico contemporaneo, che aveva mosso i suoi primi passi alla fine del XIX secolo, doveva affrontare anche la questione di quale fosse il rapporto tra una ricerca teologica, ristretta a pochi, da condurre per giungere alla sottoscrizione di dichiarazioni comuni su questioni dottrinali, e la condivisione di esperienze ecumeniche nelle quali sembrava irrinunciabile la priorità della testimonianza comune. . In questo dibattito, che si svolse dentro e fuori l’aula conciliare, forte era anche il richiamo a una lettura nuova della relazione tra Chiesa e popolo ebraico dal momento che proprio la comune radice, da conoscere e da condividere, costituiva il primo passo, non eludibile, per i cristiani sulla strada dell’unità. Negli stessi anni il dialogo tra la Chiesa cattolica e le altre religioni assumeva velocità diverse, spesso legate ai contesti dove esso si era venuto sviluppando, aprendo prospettive nuove.
Nella appassionata e articolata recezione del Vaticano II il magistero della Chiesa ha configurato, con sempre maggiore chiarezza, natura, metodologia e scopi del dialogo ecumenico e del dialogo interreligioso: il primo, radicato su un preciso mandato evangelico, prioritario nella vita di ogni comunità locale, chiamata a vivere l’unità nella diversità dei doni, aperta alla costruzione della piena e visibile comunione con le confessioni cristiane, così come si sono costituite nel corso dei secoli, ponendosi in profonda sintonia con i passi compiuti, a livello universale, per giungere alla progressiva rimozione delle divisioni culturali e dottrinali per rendere più efficace e credibile la missione della Chiesa; il secondo, il dialogo interreligioso, ispirato dal Vaticano II, sostenuto da gesti e parole dei pontefici, per procedere dalla conoscenza positiva dell’altro, con la quale rimuovere pregiudizi e precomprensioni, all’identificazione di valori comuni da condividere per proporli alla società contemporanea in modo da offrire un contributo reale alla costruzione di un mondo, fecondato dall’armonia interreligiosa.

 Scopi diversi, non contrapposti

Negli anni del pontificato di papa Francesco si è venuta affermando l’idea della necessità di una partecipazione ecumenica nel dialogo interreligioso, cioè l’idea che i cristiani sono chiamati a prendere parte al dialogo interreligioso, riconoscendone l’importanza, con una sola voce, per portare un contributo ecumenico nel quale rifluiscano le diverse identità confessionali. A questa idea il papa ha dedicato numerosi interventi, tra i quali vanno almeno ricordate le parole del suo recente viaggio in Kazakhstan, dove papa Francesco ha preso parte al VII congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, trovandosi in una profonda sintonia con le posizioni del Consiglio Ecumenico delle Chiese e di numerosi capi delle Chiese riguardo alla valenza ecumenica del dialogo interreligioso, anche se non mancano coloro che propongono distinguo e riserve, soprattutto a causa di memorie, più o meno lontane, che attendono ancora un percorso di riconciliazione.
Dialogo ecumenico e dialogo interreligioso sono quindi due strade diverse, per finalità e per contenuti, mai contrapposte, da percorrere sempre e comunque, sapendo bene che una, il dialogo ecumenico, conduce, nei tempi e nei modi che sono nella mente di Dio, alla piena e visibile unità della Chiesa Una, mentre l’altra, il dialogo interreligioso, contribuisce a far scoprire valori comuni con i quali condannare violenza e discriminazione, facendo crescere la fratellanza universale.

 Dell’Autore segnaliamo:
Alla scoperta dell’unità. Il dialogo ecumenico nel XXI secolo
Pazzini Editore, Villa Verucchio 2022