Quell’anno a Damietta

Dal Duecento ad oggi, l’identità francescana è legata all’incontro di fedi diverse

 di Paolo Cocco
frate cappuccino, docente di ecumenismo al Claretianum di Roma

 Incontri di dialogo tra esponenti di religione diversa, soprattutto se sono anche di preghiera per la pace, hanno come icona di riferimento e d’ispirazione un episodio della vita di Francesco di Assisi.

Partito dall’Italia all’inizio del 1219, giunse prima ad Acri, città a nord di Haifa, allora in mano ai crociati, per poi, col permesso del Cardinale legato, raggiungere Damietta nel campo avversario, dove riuscì a incontrare il sultano al- Malik al-Kamil. Quell’incontro risultò positivo, tanto che già allora si ritiene che il sultano possa aver accordato il permesso per i suoi frati di abitare in quelle terre di dominazione islamica. Fin d’allora in effetti essi hanno continuato a essere presenti anche in Medio Oriente e a loro il papa Giovanni XXII nel secolo seguente ha ratificato il mandato di custodire i luoghi santi nei quali Gesù è nato, vissuto ed è morto e risorto, mandato già prima conferito loro da Roberto d’Angiò, re di Napoli.

 I martiri di Marrakech

Sappiamo che però poi non per tutti i frati l’incontro con esponenti di altra fede è andato allo stesso modo. In quello stesso anno, infatti, un gruppo di frati s’imbarcò per raggiungere la penisola iberica. Cinque di loro giunsero a Siviglia, allora in mano agli islamici, e si misero a predicare nella moschea principale sollecitando i presenti a convertirsi a Cristo. Non ottennero subito né che si convertissero, né la corona del martirio, perché, il re, dopo che essi anche in prigione continuavano a predicare allo stesso modo, li fece salpare come prigionieri per il Marocco. Anche a Marrakech però i frati continuarono a predicare così anche dinanzi al re, che decise allora di liberarli e ingiunse loro di tornare in Italia. Essi però anche in seguito continuarono a predicare in pubblico a Marrakech, finché il re li condannò a morte e quindi li fece decapitare il 20 gennaio 1220.
La notizia del loro martirio e il ritorno delle loro spoglie suscitarono l’ammirazione di Fernando, allora canonico agostiniano a Coimbra, tanto da indurlo a farsi frate francescano con il nome di Antonio – il santo che tutti conosciamo – come pure di Chiara d’Assisi e di Francesco, che però in quell’occasione ammonì i suoi frati di non vantarsi della santità altrui. Risale all’anno seguente la regola dei frati francescani detta “non bollata”, che al capitolo XVI prevede che i frati possano andare in missione non semplicemente perché ne hanno avvertito l’ispirazione interiore, ma ne abbiano pure ottenuto il permesso dal loro ministro. In quel capitolo Francesco presenta due modi di annunciare il Vangelo. Il primo è di presentarsi in atteggiamento di umiltà e di soggezione verso tutti, quello stesso adottato da lui a Damietta; il secondo, “quando vedranno che piace al Signore”, di annunciare la Parola per suscitare la fede; quel capitolo si chiude con una serie di citazioni del Vangelo, compreso l’invito alla perseveranza.
Ma perché ostinarsi a sollecitare persone di fede diversa a credere in Gesù Cristo? Evidentemente per mettere in pratica il Vangelo lì dove si legge la richiesta di Gesù di riconoscerlo davanti agli uomini e di perdere la propria anima per causa sua. Essere perseguitati e uccisi per questo significava per loro assicurarsi la gloria del martirio. A tutt’oggi, quando si certifica che un cristiano è stato ucciso “in odio alla fede”, si prevede un “percorso agevolato” perché ne sia riconosciuta e sancita la santità. Paradossalmente però questo non è avvenuto per i frati martiri di Marrakech. Francesco infatti è stato proclamato santo dopo solo due anni dalla morte, mentre quel gruppo di martiri ha dovuto aspettare più di duecento anni perché ne fosse pubblicamente riconosciuta la santità da parte del papa, loro confratello, Sisto IV.

 Lo spirito di Assisi

Il rapportarsi verso le persone di altra fede al modo di Francesco è conosciuto come “spirito di Assisi” e si è manifestato la prima volta nel celebre incontro voluto e realizzato in quella città il 27 ottobre 1986 dal papa Giovanni Paolo II, trovando nella Comunità di Sant’Egidio il principale sostenitore e promotore.
Merita però menzione un’antesignana di tale spirito, Maria di Campello. Nata a Torino con il nome di Valeria Pignetti, si fece suora francescana missionaria di Maria nel 1901. Ad Assisi conobbe già in quell’anno Paul Sabatier, studioso protestante che ricostruì il Francesco d’Assisi “della storia”, con una meticolosa ricerca delle fonti storiografiche che potessero liberare la sua figura dalle patine sovrapposte conformi a visioni ideologiche e pragmatiche del tempo. Suor Maria, superiora della comunità di suore a servizio a Roma dell’ospedale anglo-americano durante la prima guerra mondiale, chiese e ottenne dal papa Benedetto XV nel 1918 di lasciare il suo istituto per seguire l’ispirazione interiore a ritirarsi in un eremo. Solo nel 1922 individuò quello da lei desiderato in Umbria, a Campello, tra Trevi e Spoleto, presso le fonti del Clitunno, intitolato a sant’Antonio abate. Lì coltivò una vita di preghiera, povertà e ospitalità, godendo del sostegno morale e materiale di amici anche anglicani e protestanti, e coltivando amicizie soprattutto tramite lettere con don Primo Mazzolari e anche con Ernesto Bonaiuti, condannato per modernismo. Mantenne la sua amicizia con questi non perché condividesse le sue stesse idee, ma perché si poneva anche di fronte a lui con lo stesso spirito di minorità che qualificò il santo di Assisi, tanto da essere chiamata “la minore”. Collaborò pure, nei limiti delle poche risorse a sua disposizione, con Albert Schweitzer e coltivò una cordiale amicizia anche con Gandhi, assieme a coloro che condividevano la sua stessa vocazione. Tra i suoi amici si annovera anche Friedrich Heiler, studioso luterano che contribuì non poco a diffondere lo spirito di Francesco tra i protestanti. In quell’eremo, a Campello sul Clitunno, cinque donne continuano a vivere quello stesso ideale evangelico. 

Il carisma francescano

Il carisma francescano ha conquistato anche anglicani e protestanti, che vedono nel Santo di Assisi un autentico precursore della riforma della Chiesa, tanto da indurre Lewis Thomas Wattson, predicatore episcopaliano, appartenente cioè alla Chiesa anglicana degli Stati Uniti, a istituire nel 1898 con Mary Lurana White l’istituto dei frati e delle suore francescani della Riconciliazione, chiamato società dell’Atonement, assumendo il nome di Paul James. Egli per primo istituì e diffuse la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di gennaio; l’anno seguente, nel 1909, chiese e ottenne di entrare a far parte della Chiesa cattolica con l’intero istituto. Anche altri gruppi di suore e frati francescani si formarono nelle Chiese anglicane e luterane e anche tanti di loro maturarono la decisione di entrare a far parte della Chiesa cattolica. Ancora esiste un gruppo di frati francescani luterani collegato con le suore di Darmstadt. Ben più numerosi sono i frati e le suore francescani anglicani; nelle Chiese anglicane continua pure a crescere rigoglioso il Terz’ordine francescano, presso di noi rinominato Ordine francescano secolare.
Se nella Chiesa cattolica i frati francescani nei secoli scorsi sono serviti per arginare l’avanzata del protestantesimo e per conquistare alla fede cattolica ortodossi, ci sono sempre stati anche frati con uno spirito veramente ecumenico. Sul versante del dialogo tra le religioni, soprattutto i benedettini si sono dimostrati validi promotori con l’iniziativa “Dialogo interreligioso monastico”. Nel dialogo invece tra le Chiese si sono distinti i francescani, grazie al loro carisma che promuove i valori della fraternità, della minorità e del Vangelo vissuto. Merita menzione in proposito il dialogo a partire dalla vita spirituale lanciato da Yannis Spiteris, quando da studioso, prima di diventare arcivescovo di Corfù, ha presentato la figura di Francesco all’università di Salonicco, in Grecia. Da lì è scaturita l’iniziativa dei simposi ecumenici, promossi dall’istituto di Spiritualità dell’università Antonianum di Roma e dal dipartimento di teologia dell’università Aristotele di Salonicco, il primo dei quali si è tenuto a Creta nel 1992. In trent’anni si sono svolti, alternativamente in Italia e in Grecia, sedici simposi. L’ultimo si è celebrato lo scorso agosto a Peristeri, presso Atene, ospitato dal metropolita ortodosso del luogo, sul tema “I giovani e la Chiesa”. Studiosi delle due Chiese si sono alternati nello svolgere il tema dal punto di vista biblico e pastorale; tre giovani cattolici e altrettanti ortodossi hanno dato la loro testimonianza in merito.

 

 

 

Dell’Autore segnaliamo:
Successione apostolica e comunione ecclesiale. Cattolici e metodisti in dialogo
Cittadella Editrice, Assisi 2013