Il 4 giugno scorso, in Libano, il card. Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha beatificato, in rappresentanza di papa Francesco, due missionari cappuccini libanesi, il cui martirio, avvenuto in Turchia tra il 1915 e il 1917, è un richiamo ancora attuale

di Saverio Orselli

 Il seme è ancora il sangue

Due missionari martiri

 Lette comodamente sullo schermo del computer, in poltrona, in un appartamento qualsiasi del territorio italiano, le parole di papa Francesco ripetute in diverse occasioni,

«i martiri di oggi sono di più dei martiri dei primi secoli», scivolano via senza lasciare tracce fastidiose, registrate e accantonate sotto la voce “discorsi da Papa”. Poi, davanti ai dati impietosi, immagino il volto di mio nonno che ripete, con un sorriso malinconico, «per forza, siete vissuti nella bambagia!».
Nel breve periodo che va dall’1 ottobre 2020 al 30 settembre 2021, oltre 360 milioni di cristiani sono stati oggetto di persecuzioni nel mondo a causa di legislazioni statali intolleranti nei confronti del cristianesimo e ben 5898 sono stati uccisi, con un aumento del 24% rispetto all’anno precedente. Ancora, 6175 sono stati i cristiani arrestati senza processo e incarcerati (con un balzo del 69% in più) e 3829 i cristiani rapiti, mentre nel precedente resoconto risultavano 1710 (quindi l’aumento è del 124%). Che dire? Hai ragione, nonno, dal tepore della coltre di bambagia in cui siamo cresciuti, certe cose si fa fatica a capirle e se già fatichiamo a comprendere il significato di “missione”, la parola “martirio” risulta quasi incomprensibile.

 Vicinanza e lontananza

Allo stesso modo, lette comodamente e, magari, distrattamente sullo schermo del computer, le storie di Léonard Melki e Thomas Saleh, i due martiri frati cappuccini libanesi, beatificati presso il Convento delle Suore Francescane della Croce a Jal el-Dib, il 4 giugno scorso, nella vigilia di Pentecoste, sembrano lontane nel tempo e nello spazio. Lontana la loro scelta di entrare nei frati e diventare sacerdoti, attirati dall’esempio di altri frati. Lontana la scelta di andare in missione, ormai così rara nella nostra realtà. Perduta nei ricordi scolastici - richiamata alla memoria non fosse altro dalla guerra che vi si è combattuta pochi anni fa - persino la Mesopotamia, la terra che sta in mezzo tra i due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, scelta per il loro impegno missionario, iniziato nei violenti ultimi anni di sopravvivenza dell’impero Ottomano - ma che fosse giunto alla fine lo sappiamo noi adesso - mentre si stava attuando un massacro nei confronti degli Armeni, genocidio che ancora oggi non tutti riconoscono nonostante i quasi due milioni di morti, uccisi soprattutto tra il 1915 e il 1916, anche se lo sterminio era iniziato già da anni.
Un aspetto di vicinanza nella vita dei beati Léonard Melki e Thomas Saleh - quantomeno per chi ha avuto il dono e il piacere di visitare la missione cappuccina in Turchia - è rappresentato dal seminario minore di Santo Stefano presso Costantinopoli, appartenente all’Istituto Apostolico d’Oriente, in cui entrarono alla fine di aprile 1895. Quel seminario è l’attuale parrocchia di Santo Stefano a Yeșilköy, nella periferia di Istanbul, una piccola comunità parrocchiale di fedeli cattolici, animata ancora dai frati cappuccini e stazione missionaria dove oggi vengono ospitati i pellegrini in visita alla missione.

 In pozzi e caverne

Le storie dei due giovani martiri sono toccanti. Nel presentare padre Léonard, il decreto di riconoscimento del martirio riporta: «Il 5 dicembre 1914 il Servo di Dio Leonardo Melki aveva 33 anni e viveva a Mardin. Quel giorno le milizie imperiali irruppero nella chiesa dei cappuccini, perpetrarono violenze e molestie ai danni dei missionari e infine ordinarono loro di lasciare il convento. Il Servo di Dio, ben consapevole del pericolo, decise all'ultimo momento di rimanere lì con un anziano confratello che non poteva muoversi. Fu quindi arrestato e torturato per sei giorni, affinché rinnegasse la fede ed abbracciasse la religione islamica. L’11 giugno 1915 fu messo alla testa di un convoglio di alcune centinaia di altri prigionieri, tra i quali il beato Ignace Maloyan, arcivescovo Armeno Cattolico di Mardin, che dovevano essere deportati a Diarbekir. Circa a metà del viaggio, nel luogo detto Kalaat Zirzawane, dopo essersi ancora rifiutati di rinnegare la fede cristiana, furono massacrati e i loro corpi gettati in pozzi e caverne».
Nello stesso decreto, riferito a padre Thomas, è scritto: «Il 22 dicembre 1914 il servo di Dio Tommaso Giorgio Saleh fu costretto ad abbandonare il convento di Diarbekir insieme ad un confratello e alcune suore, e trovò rifugio nel convento Orfa. Aveva compiuto 35 anni. Per due anni affrontò con coraggio le molestie delle milizie imperiali e sopravvisse a due serie di massacri di cristiani della città. Fu quindi falsamente accusato, insieme agli altri religiosi, di tenere nascosto un sacerdote armeno e di possedere indebitamente un'arma. Per questo fu condannato a morte. Dopo aver subito ogni sorta di violenze e maltrattamenti, si ammalò di tifo. Arrivato a Marash ormai esausto, morì probabilmente il 18 gennaio 1917».
Significativo il commento finale della biografia dei due beati, pubblicata nel sito del dicastero delle Cause dei Santi: «L’eliminazione dei due servi di Dio, come le stragi di altri cristiani compiute contestualmente in quella regione, è passata a lungo sotto silenzio, ma la fama del loro martirio è giunta sino ad oggi».

 La gioia della missione

Nel ricordare l’attualità del messaggio che i due beati ci consegnano, il ministro generale dei cappuccini, fr. Roberto Genuin, ha scritto: «Nel fare nuove proposte per poter rispondere alle sfide che il nostro Ordine deve affrontare, abbiamo talvolta l’impressione di inventare nuove forme. Spesso è il coraggio che manca quando vediamo la riluttanza a prendere altre strade. La vita dei beati Tommaso e Leonardo mi ricorda in particolare tre temi attuali nel nostro Ordine cappuccino: formazione, missione e fiducia assoluta in Dio». E, toccando l’aspetto missionario, ha aggiunto: «Nella mia lettera all’Ordine all’inizio del nuovo sessennio ho invitato “tutto l’Ordine a incominciare a riflettere sulla dimensione missionaria della nostra vita”. Il Signore ci dona quest’anno due beati che non furono solo martiri, ma anche due giovani missionari» che vissero con gioia la loro scelta missionaria, «gioia che traspare in tutte le loro lettere: la gioia di essere missionari nonostante tutte le difficoltà e persecuzioni».
La vita di Léonard Melki e Thomas Saleh ha dovuto confrontarsi dolorosamente con una guerra feroce. Oggi sono tante le guerre che ancora si combattono, alcune sotto i riflettori più di altre, tutte causa di dolore; pensando a tutte, nessuna esclusa, non c’è conclusione migliore della preghiera di padre Leonardo: «Dio faccia finire al più presto questa guerra, causa di molti mali».