Un pittore per amico

Solo la mente e gli occhi aperti vedono

 di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC

 Diceva Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri».

Capita che i maestri siano anche testimoni, ma, certo, in vista di una comunicazione performativa, e cioè capace di incidere nella vita e favorire percorsi di crescita e responsabilizzazione, coerenza e densità “autobiografiche” sono chiaramente imprescindibili.

 Polifonia multiuso

È un libro appassionante questo di fr. Antonello Ferretti e Sarah Virgenti, che da tempo collaborano efficacemente nell’accoglienza didattica e laboratoriale delle scolaresche che numerose sono tornate a bussare al nostro convento di Reggio. Titolo, “Caro Piero”, e sottotitolo, “Un’amicizia a più voci”, costituiscono un’accoppiata efficace nella descrizione del contenuto, per così dire, polifonico del libro. Dalla polifonia delle voci deriva un’utilità pluriforme. La sperimenteranno i lettori che amano l’interdisciplinarietà che intreccia arte, filosofia, spiritualità, e partendo da questi intrecci, reciprocamente stimolanti, suggerisce prospettive nuove e approfondimenti inediti. E poi gli insegnanti e gli appassionati di storia dell’arte, visti gli approfondimenti sulla vita e l’opera di Piero della Francesca e i laboratori didattici proposti. Senza dubbio i catechisti e gli insegnanti di religione, soprattutto se appassionati di spiritualità francescana, o curiosi di farne la conoscenza, visti i paralleli tra le opere dell’artista e i testi di San Francesco e Santa Chiara. Ne scaturiscono riflessioni, alla portata di ogni lettore, ma nient’affatto scontate e perciò decisamente preziose. In particolare, chi desidera aiutare i più piccoli ad avvicinarsi con fiducia al mondo dell’arte, troverà motivo di ispirazione nell’ultima parte del libro in cui fr. Antonello e Sarah danno voce allo stesso Piero perché si rivolga direttamente ai bambini.
Infine, il libro sarà apprezzato da chiunque ami leggere riflessioni nate dalla esperienza viva di chi le propone. Radicato nella storia personale di fr. Antonello il libro testimonia nel migliore dei modi della fecondità e della concretezza con cui l’arte, la filosofia e la spiritualità sono in grado di toccare fecondamente la vita. Ogni capitolo del libro, infatti, è accompagnato da lettere indirizzate a Piero della Francesca (stampate in corsivo, il lettore può facilmente rintracciarle) e, dialogando direttamente con l’artista, fr. Antonello racconta tanto di sé stesso, del suo percorso formativo e di come Piero della Francesca abbia tenuto in quel percorso un posto importante.

 Caro Piero

Ma sarà opportuno che il lettore possa accostarsi direttamente a qualche brano per farsi personalmente una sua idea di un libro così sfaccettato nella sua molteplice ricchezza. «Caro Piero, a Monterchi io e te abbiamo iniziato a dirci qualcosa, a capire che forse potevamo diventare amici. Quella macchia azzurra, quegli occhi bassi, schivi, che ti chiedono di non essere guardati, perché non sono loro che danno senso all’opera, mi presero subito. (…) Di fronte alla tua casa sorgeva la chiesa dei frati minori e lì tu avevi trovato un amico, un uomo molto più giovane, ma molto simile a te: frate Luca Pacioli, grande matematico e studioso della geometria. Mi piace immaginarvi insieme, mentre discutete di proporzioni e simmetrie e, tra una formula e l’altra, alzate lo sguardo sulla natura per constatare insieme che, nel Bello, Dio geometrizza sempre».
Søren Kierkegaard ci aiuta a fare un passo in più. Egli «sostiene che esiste una dimensione oggettiva e una dimensione soggettiva della verità (…). Chi darebbe la vita per il risultato di una equazione di secondo grado? La risposta (almeno, continuo a credere così) è evidente: nessuno. (…) Esistono invece delle verità che non riesco a dimostrare more geometrico, ma che danno un senso profondo al mio esistere, sono verità soggettive ma altamente vere perché per esse sono disposto a mettermi in gioco fino in fondo. “Dio geometrizza sempre” questo è vero, caro amico del quindicesimo secolo, ma il problema di fondo è: quale tipo di geometria Dio usa?».
Seguendo il filone di una geometria di paradigma rovesciato, gli autori del nostro libro si rifanno alla prima ammonizione, in cui Francesco si richiama alla follia di Colui che «ogni giorno si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote», per sostenere, poco più avanti, che diversamente dalla religiosità greca, romana o anche dell’antico Egitto, «nel cristianesimo c’è incarnazione solo nella spogliazione degli attributi divini e nell’abbassamento (…) di un Dio che si è svuotato di sé per vivere con e noi tra di noi». È ancora Kierkegaard a ricordare che «è stato Cristo ad abbassarsi, non è stato abbassato: nessuno, né in cielo, né sulla terra, né negli abissi poteva abbassarlo».

 La maschera di Dio

Se con Nietzsche possiamo credere che la verità ami presentarsi in maschera, allora con fr. Antonello e Sarah dobbiamo chiederci: «Quale maschera più provocatoria ed eloquente di quella di un Dio mendicante, fatto pane donato e crocifisso?». Santa Chiara scrive a Santa Agnese di Praga e la invita a contemplare il suo stesso volto nello specchio di Cristo per adornarsi di «variopinti fiori e di tutte le virtù». Infatti: «in questo specchio rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità. Mira in alto Colui che fu deposto nel presepe avvolto in poveri pannicelli (…). Vedi poi al centro (…) le fatiche e pene senza numero ch’Egli sostenne per la redenzione del genere umano. E, in basso, contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante».
Nelle loro ultime conseguenze i fili del ragionamento conducono ad affermare, forse con qualche sorpresa, che se «lo specchio è Cristo nella sua umanità, siamo davanti a un Cristo profondamente umano (…) uno specchio umile, povero e sofferente e questo crea stupore se consideriamo Cristo specchio del Padre: anche Dio è povero e soffre. (…) In quest’ottica il gioco si fa ancora più intrigante: la povertà, l’umiltà, la carità sono dimensioni essenziali della divinità».

 Correre oltre

Concludo lasciando la parola a Piero che si rivolge ai bambini, parlando ancora della Madonna del parto, conservata a Monterchi. «A voi, che siete piccoli, ma avete più capacità di scoperta dei grandi chiedo: gli occhi di questa mamma cosa guardano? (…) Bravi! Proprio lì, nel punto dove la pancia è più grossa e dove si trova il bambino. I personaggi di questa storia sono allora quattro e il più importante è proprio quello che non si vede! E quegli sguardi un po’ furbetti degli angeli chi guardano? Proprio voi, e sono un invito a tenere aperti i vostri occhi e la vostra mente su quanto state guardando». Ecco, trovo bellissimo questo invito a tenere aperti gli occhi su ciò che si guarda per sviluppare uno sguardo pronto a correre oltre a ciò che già vede.