Ho cura di te

Il rapporto tra Francesco e Chiara ha generato amore e vita per il mondo

 di Maria Giovanna Cereti
clarissa di Forlì

 Due santi i cui nomi sono spesso pronunciati insieme. Due innamorati di Dio, che hanno ispirato lungo i secoli a una moltitudine di uomini e donne una appassionata sequela Christi.

Ma anche un uomo e una donna concretissimi, sulla cui relazione molto si è detto, attribuendole di volta in volta tratti di amicizia, di legame spirituale, talora anche di affetto o innamoramento. Con il rischio di fraintendere o di proiettare sensibilità e temi squisitamente nostri. Certamente è stata una relazione feconda quella tra Francesco e Chiara. Il dizionario ci dice che il termine ‘fecondo’, oltre al significato biologico (capace di riprodursi) ne ha uno molto più ampio: capace di produrre opere, beni, idee, progetti. Capace insomma di mettere al mondo qualcosa che prima non c’era e che senza di me non ci sarebbe, qualcosa che reca l’inconfondibile impronta della mia unicità. La filosofa Hanna Arendt identifica nella dimensione generativa la più alta espressione della libertà.
Lo psicologo Erik Erikson afferma che nel passaggio dalla giovinezza all’età adulta la persona si trova di fronte a un bivio: da una parte la stagnazione, di chi rimane assorbito in se stesso e bloccato sul proprio io. Dall’altra la generatività: maturazione di una capacità di apertura alla realtà per cui si è disponibili ad aprirsi all’altro decentrandosi da sé, e ad assumersi la responsabilità della cura di ciò che si mette al mondo, sia esso una relazione, un figlio, un’opera. Promuovere la propria vita spendendola per dare vita. Generativo è parola dal sapore un po’ più tecnico rispetto a fecondo, ma stimola una riflessione assai ricca, specie in questo nostro mondo occidentale che sentiamo a tratti così sterile, così bloccato in una ripetitiva coazione al consumo e alla ricerca del godimento. Ma torniamo a Francesco e Chiara.

 Una relazione feconda

Sono profondamente convinta che entrambi siano stati persone generative la cui relazione ha realizzato una incredibile fecondità, a partire dall’accogliere in sé lo Spirito di Dio e la sua santa operazione. Fu esperienza precocissima di Francesco il fatto che la sua “pazzia”, il suo modo radicale di servire i lebbrosi per amore di Colui da cui si era scoperto amato così, si rivelasse contagiosa: l’arrivo dei fratelli gli aprì una responsabilità inattesa, la sua sequela del Signore non era più un fatto che riguardasse lui solo. E si può immaginare lo stupore di scoprire che la stessa forza di attrazione del suo sogno di «vivere secondo la forma del santo vangelo» si esercitava anche su Chiara, nobile giovane di Assisi. Per un certo tempo si trattò di “conversazioni spirituali” in cui Francesco esortava Chiara che «se convertisse a Jesu Christo» e Chiara «lo ascoltava volentieri»; ma presto l’intraprendenza risoluta di Chiara la portò a lasciare la casa paterna per vivere la stessa avventura evangelica di Francesco con i suoi fratelli. Vediamo già nei primi passi delinearsi alcuni tratti di questa relazione generativa: una relazione di ascolto reciproco, che per Chiara diventerà fondante la sua stessa identità.
I termini con cui si esprime nel Testamento sono fortissimi: Chiara definisce Francesco «colonna, unica consolazione dopo Dio, sostegno», ma anche «fondatore, piantatore e cooperatore nostro nel servizio di Cristo». E soprattutto «padre, nostro padre», espressione ripetuta continuamente. Questa consapevolezza del legame con Francesco pare aver assunto per Chiara tanta maggiore intensità quando a sua volta sperimentò che la sua scelta spingeva altre giovani a seguire il suo esempio. Un brano del Testamento lo descrive con grande efficacia: «Dopo che l’altissimo Padre celeste, per sua misericordia e grazia, si degnò di illuminare il mio cuore perché, per l’esempio e l’insegnamento del beatissimo padre nostro Francesco, facessi penitenza, unita alle poche sorelle che il Signore mi aveva donato poco dopo la mia conversione, volontariamente gli promisi obbedienza, così come il Signore aveva riversato in noi la luce della sua grazia attraverso la sua vita mirabile e il suo insegnamento» (FF 2831). Davvero «si può generare perché si è stati generati; per mettere al mondo, dobbiamo riconoscere di essere stati messi al mondo» (Chiara Giaccardi).

 Affetto reciproco

Molto forte è nel loro rapporto la dimensione della cura: Chiara seppe di poter contare sulla cura premurosa che Francesco avrà sempre per lei e per le sorelle, che aveva riconosciuto donne coraggiose e determinate a una sequela radicale: cura che sempre raccomandò solennemente ai suoi frati, come Chiara con insistenza ricorda: «mosso ad affetto verso di noi, si obbligò verso di noi, per sé e per la sua religione, ad avere sempre diligente cura e speciale sollecitudine di noi come dei suoi fratelli» (FF 2833). Ma anche Francesco sapeva di poter contare sulla cura di Chiara: la interpellava, affidandosi alla sua preghiera e al suo discernimento sapiente, per scelte importanti (come quella se dedicarsi interamente all’orazione o anche alla vita apostolica, cfr FF 1845); le affidava i suoi fratelli nel tempo della malattia o della prova (cfr FF 3219)); si rifugiava a San Damiano in momenti di particolare sofferenza, come accadde dopo che ebbe ricevuto le Stimmate e nel corso della devastante malattia agli occhi che lo accompagnerà nelle ultime fasi della vita. E che dire delle pezze tagliate dal mantello di Chiara che si trovano cucite su una delle tonache di Francesco? Non sappiamo nulla delle circostanze di questo “rammendo”, ma possiamo immaginare qualcosa dell’affetto che ha “cucito” quelle stoffe.

 Anche la distanza è amore

Questa cura reciproca non era però segno di un rapporto esclusivo o escludente: anzi, entrambi mostrano la capacità di rimanere incondizionatamente disponibili ad ogni fratello o sorella; due esempi di premura fra tanti: Francesco che levatosi di notte fa apparecchiare la tavola e mangia insieme a un fratello che si era svegliato gridando la sua fame, perché non si vergogni (cfr. FF 1712); Chiara che si alzava di notte per coprire le sorelle addormentate perché non patissero freddo o che si accorgeva della loro afflizione o della loro malattia e le consolava (cfr. FF 3233). Le relazioni vissute da Francesco e Chiara con le persone loro affidate sono sotto il segno della misericordia: una tenerezza attiva, che non si spaventa del limite proprio e altrui ma lo attraversa, lo incontra con il perdono, restituendo all’altro lo sguardo con cui ci si sente guardati. Vale certamente per entrambi quanto Francesco raccomandava a un ministro in difficoltà con alcuni dei suoi frati: «non aspettarti da loro altro, se non ciò che il Signore ti darà. E in questo amali e non pretendere che siano cristiani migliori» (FF 234).
Infine, Francesco ha certamente anche custodito la distanza da Chiara come sigillo e garanzia di libertà per entrambi: lo testimonia per esempio l’episodio della “predica della cenere” (cfr FF 796), in cui l’eloquenza di uno scarno gesto penitenziale sostituì ogni parola, forse per timore che la venerazione per la sua persona distogliesse Chiara e le sorelle dal tenere fisso lo sguardo solo su Cristo. Il nostro tempo, affamato di relazioni autentiche ma che si scopre spesso incapace di viverle all’altezza del desiderio profondo del cuore, ha grande bisogno di una fecondità come questa: ne ha nostalgia, come affermava san Giovanni Paolo II.