Seconda di un liceo. Sveglia e anche partecipe. Sto mostrando loro i significati dei nomi che nella nostra tradizione attribuiamo al maligno. Per parlare dell’oppositore, di satana, racconto la storia di Giobbe. La prima parte, da una slide, la leggo quasi in forma “animata”.

di Gilberto Borghi

 Diverso è il Volto

Chi può attraversare il male?

 Per la stragrande maggioranza di loro è un’autentica primizia: non hanno mai sentito parlare di Giobbe e mai gli è stata raccontata la sua storia.

Poi proseguo raccontandola io, in modo che il linguaggio sia più vicino al loro, ma senza tradire il senso del racconto. Quando, per la terza volta, Dio e satana si sfidano sull’autenticità dell’amore di Giobbe per il Signore, Gloria interviene: «Prof., ma che Dio è quello che permette una scommessa così sulla testa di questo poveretto; per un suo sfizio permette a satana di rendere la vita di Giobbe un inferno. Ma non è possibile! Un Dio così è meglio che non esista. È uno dei motivi per cui non credo al cristianesimo: Dio non può essere così!».

 Dio della prova, Dio dell’amore

Dal fondo Antonella ribatte: «Gloria, guarda che il cristianesimo non è così. Dio non mette alla prova le persone, ma anzi gli vuole bene e condivide con loro il dolore che provano». Dalla prima fila, nell’angolo di sinistra, Valentina si gira e dice, quasi solennemente: «No, Anto, Dio mette alla prova le persone per vedere se hanno fede. E con Giobbe ha fatto lo stesso». La classe si ribella e c’è un momento di attacco a Valentina. «Ragazzi, no, un momento – intervengo – vi ho sempre detto che ognuno ha diritto ad esprimere la propria idea senza essere giudicato, aggredito o insultato! Chiaro? Perciò credo che dobbiate delle scusa a Valentina. Non condivido la sua idea, ma non vi permetto di comportarvi così!».
«Ma come prof., non condivide la mia idea?» Valentina, invece che fissarsi sulla reazione della classe contro di lei, quasi sconcertata mi rivolge questa domanda. Sento che è sincera e le dico: «Vale, sei stupita di quello che ho detto?». «Si prof., lei insegna religione cattolica, come fa a dire che non condivide la mia idea?». «Vale, capisco ti possa stupire, ma sono convinto che se parliamo di cristianesimo, Gloria faccia bene ad essere indignata dall’immagine di Dio che la storia di Giobbe sembra mostrarci. E forse è Antonella ad aver indicato un’immagine di Dio più centrata sul messaggio di Gesù Cristo».
Gloria allora riprende: «Ma prof., il libro di Giobbe fa parte della bibbia e come fa lei allora a dire che Dio non mette alla prova le persone?». «Ok, ragazzi, qui dobbiamo fermarci un attimo, anche se il centro del nostro discorso oggi era un altro. Quando vogliamo capire la bibbia da cristiani dovremmo attenerci a due grandi regole. Prima: la bibbia è scritta con tantissimi generi letterari diversi. Sapete cos’è un genere letterario?». La classe dichiara in coro che ne hanno parlato con la prof. di italiano. «Bene – riprendo – allora dovreste sapere che se un brano è scritto in un genere letterario “leggenda didattica”, come quello di Giobbe, non siamo autorizzati a interpretarlo come “racconto reale”. Secondo: per un cristiano la bibbia va letta a rovescio, cioè prima il nuovo testamento e solo dopo l’antico testamento. Questo perché solo a partire dal nuovo testamento possiamo capire davvero l’antico testamento e poi, dopo aver letto l’antico, possiamo allora capire meglio e nei dettagli anche il nuovo.

 Gloria, Antonella e Valentina

Allora, se applico queste due cose alla questione sollevata da Gloria, nel nuovo testamento Dio non ha nessun interesse a “prendersi gioco” e a “mettere alla prova” gli uomini. Nel nuovo testamento Dio fa esattamente ciò che dice Antonella: ci ama pazzescamente tanto da prendere lui su di sé il nostro dolore e portarlo insieme a noi. Altro che provare a metterci in buca, offrendoci la tentazione di peccare. Così, allora, la storia di Giobbe ci vuole indicare come e cosa può fare l’uomo di fronte al dolore e al male, e non tanto come Dio si comporta con l’uomo».
Gloria è rimasta soddisfatta di questa risposta, Antonella ha semplicemente annuito, mentre Valentina è rimasta sorpresa e un po’ irritata. Gloria ha alle spalle un percorso di catechesi “ordinaria” come tanti, dalla prima elementare fino alla cresima, che, anche per lei, ha rappresentato il sacramento dell’addio. Ma le sue domande sono rimaste aperte. Antonella ha partecipato alla Catechesi del Buon Pastore nella sua parrocchia, ha fatto la comunione e la cresima quando lo ha scelto lei, e adesso frequenta il gruppo giovanissimi, dove, a detta sua, fanno poca catechesi, molto “servizio” e parecchia preghiera. Valentina ha fatto la comunione a 8 anni, prima dei suoi coetanei, perché figlia della capogruppo dei catechisti della sua parrocchia. In casa dicono la preghiera sempre prima di mangiare e non è ammesso non andare a messa la domenica, dopo essersi confessati, sia lei che suo fratello maggiore.
Diversi percorsi di sviluppo della fede e diverse immagini di Dio. Che ci sia una correlazione? Non ho la risposta verificabile, ma una sensazione sì.

I percorsi del giardiniere

Forse, nelle comunità che funzionavano abbastanza bene prima del Covid, un percorso ordinario, che terminava di fatto con la cresima era abbastanza diffuso, anche se già in ribasso negli ultimi anni. Così come diffusa era l’immagine di Dio presente in tanti ragazzi usciti da tale percorso: un Dio che si comporta con l’uomo secondo lo schema del “ti do se mi dai”, ma che poi non si “compone” molto con l’affermazione che Dio ci ama tutti e sempre, percezione che resta nel fondo dell’animo a fare da luce “nostalgica” di ciò che sentono che sarebbe bello che Dio fosse. E quando qualcuno scioglie loro questa contraddizione sentono di potersi muovere ancora nel percorso di fede, ma a partire più da ciò che avvertono dentro che da ciò che arriva da fuori. E così lo scandalo del male può essere attraversato meglio.
Un percorso che, invece, si sia mosso prima del Covid su linee più personalizzate, come ad esempio quello della Catechesi del Buon Pastore, era molto meno diffuso. Ma là dove era stato sperimentato, non di rado mostra come i ragazzi che lo seguono anche dopo la cresima, fatta appunto quando il ragazzo se la “sente”, portano con sé un’immagine di Dio meno “scomposta”, in cui l’unitarietà è data dall’idea dell’amore totale, smisurato e assoluto che Dio ha per gli uomini. E così lo scandalo del male può addirittura essere accettato, pur senza poter essere compreso.
Ma prima del Covid, esistevano percorsi ancora diversi, in cui la rigidità dei dettami religiosi era presa tout court come veicolo divino per lo sviluppo della vita di fede. E in essi l’immagine di Dio tende a permanere nei ragazzi sotto forma di onnipotente organizzatore della realtà, che non spiega molto del suo modus operandi, ma la cui autorità non può essere scavalcata, pena la perdita inevitabile del suo amore.
Ed ora? Verso la fine (speriamo) del Covid, la pastorale sembra bloccata, ancora incapace di trovare strade efficaci per aiutare le persone nei loro percorsi di fede. Quale immagine di Dio viene veicolata da questo stile? C’è chi sostiene che è meglio lasciare il giardino incolto, piuttosto che farlo coltivare da un pessimo giardiniere. Ma le erbacce saranno inevitabili. E c’è chi sostiene che invece basterebbe richiamare il vecchio giardiniere, purtroppo ormai in pensione e acciaccato per far riprendere vita la giardino. Ma poi, il giardiniere chi è davvero?