L’evangelo delle gomme termiche

Intervista a Riccardo Pola, delegato per la pastorale del lavoro

a cura di Lucia Lafratta
della Redazione di MC

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Padre Riccardo, come è capitato nella diocesi di Imola ad occuparsi della pastorale del lavoro?

Sono sacerdote della Congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri di Bologna, non sacerdote diocesano, e sono stato delegato per questa pastorale dal vescovo della diocesi di Imola, mons. Tommaso Ghirelli, che conosce bene il mondo del lavoro. Ho accettato, mettendo in chiaro subito che non sarei venuto per fare il burocrate e stare in un ufficio, perché io sono un prete dell’oratorio e san Filippo Neri ci chiede di stare vicino alla gente. Per ora i risultati relativi alla formazione di una vera e propria struttura diocesana non sono stati incoraggianti, mentre molto più consistenti sono i frutti della mia presenza nelle aziende. Ho cominciato andando a suonare i campanelli di alcune aziende e chiedendo al titolare l’autorizzazione a incontrare i suoi dipendenti durante l’orario di lavoro.

Durante l’orario di lavoro? Non nella pausa? E il tempo che i lavoratori “perdono” con lei come lo recuperano?

Sì, proprio durante l’orario di lavoro! E il tempo dei nostri colloqui sta dentro l’orario e non deve essere recuperato. Attualmente, dopo quattro anni di lavoro, ho accesso a nove aziende che visito regolarmente. Ci vado alle 9 e vengo a casa alle 12 circa.
Prendo l’appuntamento per un dato giorno; per prima cosa vado a salutare gli impiegati, poi vado nell’officina e saluto gli operai. Se c’è qualcuno che ancora non conosco, mi avvicino, mi presento, dico chi sono e cosa faccio, chiedo come va. Di solito si comincia a parlare del tempo, della Juve e dell’Inter, poi si passa a parlare delle difficoltà, della crisi economica, del prezzo della benzina, perché ci sono tanti pendolari per i quali questo è davvero un bel problema. C’è un lavoratore in una grande azienda che viene a lavorare a Imola da Marradi e deve per forza usare l’auto. Abbiamo cominciato a parlare di gomme termiche, per passare a parlare della fatica del lavoro, che senso ha fare tanti chilometri per lavorare; costruiscono pezzi per macchinari complessi e, quando qualche pezzo si rompe e le macchine devono essere aggiustate, loro vanno in qualunque parte del mondo queste si trovano e le aggiustano. Di questo parliamo, dei problemi di tutti e di tutti i giorni; di cosa significa “soggiogate la terra e dominatela”.

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Ma accettano la sua presenza e le sue parole?

Vado sempre con il compendio della dottrina sociale della Chiesa, che è l’ultimo dei documenti frutto del rinnovamento ecclesiale; forse, purtroppo, ho l’impressione che molti preti neppure sappiano che esiste. Poi porto con me il catechismo della Chiesa cattolica: quando nella discussione si arriva all’alterco, allora apro il catechismo e leggo quello che viene detto a proposito del tema in discussione - temi caldi come ad esempio la contraccezione e l’evasione fiscale - e, siccome è magistero della Chiesa, sostenuto dallo Spirito, quelle parole hanno una grandissima forza di convincimento. Ed è una forza che non viene da me.

Sì, capisco, ma queste parole bisogna che qualcuno le porti là dove le persone sono, altrimenti non hanno modo di ascoltarle…

Questo è vero, come è vero che tutto, qualunque parola, anche la più bella e la più forte, passa attraverso la relazione umana con chi la pronuncia e la offre. Se non c’è relazione sincera, se non si è credibili, allora ogni sforzo è vano. Prima di andare a compiere il mio ministero, mi fermo un po’ in chiesa e chiedo al Signore di liberarmi da tutti i miei affanni, dai miei risentimenti, perché, se me li porto dietro, li trasmetto, allora devo lasciarli a casa. Poi chiedo che mi conceda di amare coloro che vado a incontrare. Fare pastorale del lavoro in un ufficio certamente è più facile, ma per farla in frontiera, come dico io, bisogna amare le persone, non giudicarle, non pensare male di loro.

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Com’è l’incontro con i lavoratori? Fuori dalla fabbrica vengono a cercarla?

Il bello è che, quando vado nel giorno di “visita”, qualcuno mi fa segno di avvicinarmi, qualcuno mi viene incontro e mi porta al distributore di bevande per offrirmi qualcosa, magari un caffè; dovessi accettare tutto ciò che mi offrono, farei un tale cocktail nello stomaco! Però ci sono circostanze in cui capisco di non poter rifiutare, cocktail o no.
L’altra mattina, ad esempio, sono andato in una fabbrica per concordare la benedizione di Pasqua; di 52 operai presenti ho parlato con 14, perché qualcuno non c’era, a qualcuno non interessa niente, ho fatto il giro e in tre ore ho dedicato circa venti minuti ad ognuno.

Mi sembra un buon segno: in venti minuti se ne dicono di cose…

Se ne dicono tante, sì. Il bello è che al pomeriggio, all’uscita dal lavoro - tenga conto che apro la chiesa alle 16 - qualcuno viene a finire il discorso cominciato la mattina. Ci sono alcuni che usano la flessibilità oraria per organizzare l’uscita dal lavoro in modo da venire a messa prima di andare a casa. Ci sono altri che credo siano in una fase di conversione. Adesso siamo in quaresima e tutti i venerdì, nella pausa del pranzo, facciamo la preghiera. Io espongo il Santissimo, dalle 12,30 facciamo silenzio, poi recitiamo il rosario adagio, con piccoli passaggi ai misteri e poi, alle 13,15, terminiamo e si rientra al lavoro.
Dopo la quaresima 2011 alcuni hanno chiesto di avere questa opportunità tutto l’anno, ma per me è eccessivo, non riuscirei a tener fede all’impegno. Allora abbiamo deciso di mantenere almeno il primo venerdì del mese; quelli che hanno fatto la proposta poi non si sono mai visti, però ne sono venuti altri. Per me è piuttosto impegnativo, ma è molto bello; ogni giorno poi ci sono lavoratori che arrivano alle 12,45 per confessarsi, perciò devo restare a casa, perché loro sanno che io sono qua. Dopo quattro anni di presenza attiva, molti cominciano ad avere chiaro che qui c’è una persona sulla quale fare affidamento; magari sono persone che non frequentano tanto la chiesa, ma vengono e raccontano le loro angosce, le ingiustizie subite; tenga conto che in alcune fabbriche c’è una disciplina molto più rigida della caserma dove io ho fatto il servizio militare e alcuni subiscono umiliazioni dai superiori che neanche immaginiamo. Qui sento profondamente l’importanza del ministero della consolazione e penso che questo sia ciò che il Signore chiede a me: farmi cireneo. Bisogna che, durante le visite in fabbrica, una parte della loro fatica venga addosso a me, devo venire a casa stanco, perché altrimenti non l’ho portata la croce.
Non sono qui, in questa chiesetta, come parroco; sono qui per fare quello che san Filippo Neri chiede ai suoi sacerdoti: celebrare la messa e vivere l'adorazione eucaristica, fare la catechesi e la direzione spirituale. Non mi occupo di pastorale ordinaria: non faccio catechismo per la prima comunione, non faccio funerali, non faccio preparazione ai sacramenti come si fa nelle parrocchie. La mia preoccupazione è essere a disposizione di tutti quelli che vengono, e ciascuno deve ricevere da me il tempo e l’attenzione necessari per parlare, per tirar fuori angustie e problemi. All’inizio venivano da me molti che già mi avevano conosciuto a Bologna o a Ravenna dove facevo esercizi spirituali e incontri; ora ho una “clientela”, perdoni il termine, imolese. Ho dovuto, però, lasciare l'attività di predicazione ai gruppi e ai conventi, perché il ministero nelle fabbriche è impegnativo e richiede costanza e presenza.

Nelle nostre fabbriche alcuni lavori non li vuole fare più nessuno se non gli immigrati. Qual è la sua esperienza?

Piano piano ho visto che si è aperta la conversazione con i musulmani. Uno di loro mi ha raccontato la sua storia con una ragazza cristiana di una cittadina della Romagna. Voleva sapere da me cosa dice la legge italiana, visto che lui, pur essendo in Italia dall’età di un anno - pensi che parla benissimo l’italiano e capisce perfettamente il dialetto -, non ha la cittadinanza; potrebbe averla, ma la pratica ha un costo per lui molto elevato e dovrebbe andare nel suo paese a prendere i documenti. Voleva venire da me con la ragazza, ma, quando l’ho rivisto, mi ha detto che i genitori di lei l’hanno dissuasa, ed era molto abbattuto. Ho cercato di spiegargli la differenza tra il matrimonio cristiano e il matrimonio civile; gli ho detto anche che il diritto canonico riconosce il matrimonio misto, benché, a causa di alcuni fatti gravi di genitori che hanno sottratto i figli all’altro portandoli all’estero, i vescovi abbiano ridotto le possibilità di ricorrere al matrimonio misto.
La cosa bella è che abbiamo parlato per circa un’ora e mezza e nessuno è venuto a disturbare o a chiedere di sbrigarci; anche i datori di lavoro hanno sperimentato che la relazione che si instaura è molto importante e garantisce maggiore tranquillità personale e, di conseguenza, anche nello svolgimento del lavoro. Questo ragazzo ha aperto la strada agli altri musulmani presenti in fabbrica; uno di loro, un ragazzo di ventisette anni, mi ha detto che lui prega poco, ma si ricordava che da bambino la sua mamma gli aveva insegnato che, alla sera prima di dormire, doveva fare un saluto prima all’angelo di destra e poi uno a quello di sinistra; era commosso quando me lo raccontava.
Ecco, sono sempre più sicuro del fatto che non siamo noi con le nostre forze, la nostra intelligenza a fare le cose, è il Signore che si serve di noi e ci dà forza e capacità.

Ha mai ricevuto rifiuti da parte dei proprietari delle fabbriche alle sue richieste?

Certo che ne ho ricevuti! Ci sono una dozzina di titolari di piccole imprese che non mi fanno andare a parlare con i loro dipendenti, però mi accolgono. Andiamo nel loro ufficio e parliamo: della crisi economica, del vecchio e del nuovo governo, anche se io non faccio il politico, di come vanno le cose. Tutte le occasioni sono buone per fare dottrina sociale della Chiesa. Il problema non è avere successo, non mi interessano i grandi numeri, perché conta di più vedere che il Signore è con me in quello che faccio, conta di più mettere i miei passi sulle sue orme, il resto verrà. Certo qualche rischio bisogna correrlo e soprattutto non bisogna fidarsi solo della ragione, perché questa a volte ci impedisce di rischiare. Sto cercando di muovermi con prudenza e coraggio, per ridurre al minimo gli sbagli.