La Chiesa di Faenza-Modigliana ci sta provando. Ha preso per le corna la sfida del Sinodo. Ma, citando Charlie Brown, don Tiziano Zoli, membro della commissione diocesana per il Sinodo, dice: «Non è una sfida da vincere, ma una opportunità da non perdere». Perché «la partecipazione nella Chiesa sta davvero precipitando», gli fa eco Cristina Dal Monte, responsabile della stessa commissione. Così una diocesi di appena 88 parrocchie complessive ha messo in moto più di 100 gruppi di ascolto.

a cura di Gilberto Borghi

 Ascolta Chiesa di Dio

A Faenza il sinodo comincia ascoltando tutti

 «La nostra Chiesa non deve essere seduta, bloccata, ma deve essere più capace di profezia, più agile, non frenata da strutture superflue, non più sostenibili».

Queste le parole del nostro vescovo Mario Toso il 6 gennaio. E il 21 gennaio, nella trasmissione di TV 2000 “In cammino”, dedicata al Sinodo, è stata presentata l’esperienza sinodale della diocesi di Faenza-Modigliana. Don Tiziano così la commenta: «La Chiesa ha bisogno di profezia, mentre ci concentriamo troppo sulle strutture. Le strutture sono utili se sono funzionali al cammino della Chiesa. Se, invece, ci fanno stare seduti, perdiamo la spinta profetica che la Chiesa deve avere».

 Sul confine

Diocesi di confine, quella di Faenza-Modigliana che fa da ponte tra la pianura romagnola e la toscana appenninica. Piccola, ma capace di indovinare una modalità sinodale interessante. «Si è costituita la commissione di lavoro, di cui sono responsabile - dice Cristina Dal Monte - e lì ci siamo chiesti chi dovevamo ascoltare per dare voce effettivamente al popolo di Dio che vive in Faenza. Ci siamo accorti che, al di là delle strutture, serve uscire dalla Chiesa e incontrare le persone reali, lì dove vivono nei luoghi della vita. Perciò abbiamo pensato di raggiungere gli ambienti dove la gente vive, e di ascoltare le persone, là dove esse si trovano. Così sono nati più di 100 gruppi di ascolto, formati da massimo 12-15 persone, coordinati da due persone ciascuno, che si sono resi disponibili a svolgere questo servizio, definiti secondo le più svariate aree della vita: i luoghi della cura, della politica, della cittadinanza, dell’economia, del lavoro, della cultura, dello sport, delle fragilità personali, delle relazioni affettive, dell’educazione. Questo per abbracciare le persone nella loro diversità di vita, ma anche di pensiero, di situazioni personali, con una attenzione particolare a coloro che sono in situazioni di “disagio”. Così abbiamo gruppi di ammalati, di separati, di tossici, di disoccupati, di migranti, che ci permetteranno di far emergere anche la loro voce, che spesso non ha voce. Non abbiamo creato dei gruppi per mettere delle etichette alle persone, ma per poter ascoltare tutti, raccogliendo le parole di papa Francesco di partire “dal basso” dando spazio soprattutto alla marginalità e alla fragilità. Abbiamo aperto lo sguardo a tutti, perché in ogni persona c’è il riflesso dello Spirito di Dio e dobbiamo metterci in ascolto di questo per capire cosa la Chiesa deve fare per camminare diversamente. Così, già questa preparazione è un tentativo di camminare diversamente da come di solito facciamo nella Chiesa».

 La sorpresa dell’entusiasmo

Così, ad esempio, una ginecologa dell’ospedale di Faenza, Chiara Belosi, condurrà il gruppo degli operatori sanitari. Lavorando in ostetricia dice: «Nel mio reparto (ostetricia) la vita dona sempre tanta speranza, perciò forse spetta proprio a noi dare l’accensione anche ad altri per vivere questo tempo di riflessione aperta. Molte colleghe mi hanno detto: abbiamo bisogno di questo momento di riflessione e ascolto in questo tempo di fatica, dubbi e solitudine. Che mostra come ci sia un grande desiderio di dare spazio alla propria parte spirituale».
Un amante dei cammini nella natura, Danilo Doni, ha pensato bene di accettare di diventare un coordinatore di un gruppo di ascolto, trasformando semplicemente le camminate, che già erano in programma con un gruppo chiamato “Le pedone”, in passeggiate sinodali: «Durante le camminate si parla sempre, per cui ho pensato di inserire in queste chiacchiere qualche domanda per capire cosa ne pensano della Chiesa e di come oggi sta vivendo». Un giornalista, Samuele Marchi, coordina il gruppo delle professioni della comunicazione: «Per noi è una splendida occasione per uscire dagli stereotipi comunicativi sulla Chiesa e, senza pregiudizi, provare ad uscire dalle nostre mura. Una bella sfida, che può riservare tante sorprese».
Un dato che già sorprende è che moltissimi dei coordinatori dei gruppi sinodali testimoniano come la risposta di chi è stato contattato per partecipare come “ascoltati” in questo primo step del cammino sinodale è stata di grande entusiasmo, tanto che in alcuni casi i gruppi sono stati sdoppiati perché troppo numerosi. E ciò sia da parte di chi si potrebbe definire credente, sia da parte di chi si definisce non credente o in ricerca o anche fuori dall’orizzonte della ricerca di fede. Perché un’altra peculiarità di questa esperienza è proprio il tentativo di ascoltare anche persone non “di Chiesa”, a volte anche molto lontane da questo orizzonte culturale, o persone che se ne sono andate dalla Chiesa e oggi non si riconoscono più in essa e non la frequentano più. Dice don Tiziano: «Il Signore non sta lì col taccuino a vedere le presenze delle persone in Chiesa. Abbiamo cercato di dare una dimensione universale all’ascolto, uscendo dalla divisione classica, credenti e non credenti. E qui la fantasia e la creatività dei coordinatori dei gruppi ci sta aiutando a trovare modi molto belli per far camminare il Sinodo». In alcuni casi, alcuni di questi si sono resi addirittura disponibili per coordinare il gruppo a cui riferimento.

 È già fare Chiesa

ontrSenza sopravvalutare troppo questo segnale, possiamo però dire che, forse, una Chiesa che si mette in discussione, e prova a smettere di ascoltare solo sé stessa e si lascia colpire anche dalle parole di chi la vede non da dentro, paradossalmente risulta interessante e stimolante anche per chi, appunto, sta fuori dai suoi confini visibili. Perciò, questa prima parte, quella dell’ascolto, non ha solo come risultato di definire cosa va bene e cosa no, ma di permettere alle persone di sentirsi “riconosciute” dalla Chiesa per il semplice fatto di essere prese in considerazione in ciò che hanno da dire. Questo è già un frutto buono del Sinodo che fa nascere l’idea che il cammino sinodale sia una forma stabile di vita della Chiesa e non solo momentanea, perché nell’altro, chiunque esso sia, c’è una ricchezza.
«Dal Sinodo mi aspetto di imparare un metodo per camminare assieme, dove non è uno che tira tutti gli altri, ma si cammina col passo dei più deboli e marginali - conclude don Tiziano - Il nostro entusiasmo e la nostra sincerità sono le chiavi per muovere la disponibilità di coloro che sono stati contattati, soprattutto in questo primo step di ascolto. Oggi, in questi tempi complicati, le persone hanno bisogno di raccontarsi, di narrarsi. E farlo è già fare Chiesa».