È difficile presentare padre Valentino Salvoldi, perché è un vulcano di iniziative. È scrittore, teologo morale, missionario Fidei donum, Formatore dei formatori per Propaganda Fide, pubblicista (le sue pubblicazioni sono almeno un’ottantina), docente universitario. Per la sua attività missionaria e di Formatore dei formatori ha viaggiato in tutto il mondo. Molto seguito è il suo sito https://salvoldi.wordpress.com/.

  a cura di Saverio Orselli

È bello chi si converte

La preghiera ci trasforma in testimoni 

Intervista a padre Valentino Salvoldi
a cura di Saverio Orselli, della Redazione di MC

 Padre Valentino, da che parte va la missione e soprattutto di quale missione possiamo parlare oggi?
Ovunque vada, io dico che la “missione” si fa in ginocchio: non siamo noi che convertiamo la gente, è Dio che si serve anche di noi per portare avanti il suo messaggio.

Dio conta soltanto fino a uno: ha soltanto una persona davanti a sé, importante ai suoi occhi. Noi siamo nelle sue mani come in un nido in cui ci accoglie. Stare nelle sue mani è pregare. Pregando, noi ci carichiamo di Dio, di bellezza, di amore, per poterli comunicare agli altri.
A tal proposito, descrivo uno degli sbagli per cui mi sono confessato e mi confesso ancora. Alla difesa della mia tesi in teologia morale nel 1973 era presente padre Bernhard Häring, che mi disse: «Valentino, sono stato chiamato in Nigeria a insegnare nel seminario più grande del mondo – allora contava cinquecento seminaristi e oggi settecento –; vorresti andare a insegnare laggiù? Questo sarebbe di aiuto anche a te, perché ti metterebbe nella condizione di aiutare gli Occidentali a liberarsi dall’etnocentrismo (che è una delle malattie più gravi dell’Europa), e soprattutto dal romanocentrismo…». Accettai subito, anche se non parlavo inglese. Mi consultai con mia mamma e lei mi chiese quale lingua parlasse san Pietro nel giorno di Pentecoste. Risposi che la sua lingua era l’aramaico, e lei aggiunse che tutti capivano Pietro perché parlava quella lingua che tutti comprendono: l’amore.
Arrivai a Ibadan, nel Seminario maggiore, dove c’erano solo quattro professori residenti per cinquecento studenti. Da loro ho capito che più della mia intelligenza avevano bisogno del mio cuore. Con il passare del tempo ho compreso che se converto me stesso, se pregando divento bello, sarà il mio corpo a parlare. Se invece ho la presunzione di essere io a salvare gli altri, illuderò me stesso e non otterrò molto. È Dio che salva! 

Lei definisce “puro di cuore colui che crede nell’amore e si sforza di voler bene a tutti, anteponendo alla propria l’altrui felicità”. È la definizione del missionario?
Per la Bibbia, puro è il cuore che ama, soprattutto i poveri, svuotandosi per fare posto in noi a Dio e al prossimo. Certo gli ospedali sono importanti, come le scuole e tante altre strutture, ma questo passa in secondo piano rispetto alla testimonianza che Gesù si aspetta da noi. Anche in Africa si sta comprendendo che la Chiesa non deve essere scambiata per una Onlus… La gente vuole incontrare credenti che vivano la missionarietà come la scelta di “stare con”: con il Signore innanzitutto, e con la gente, testimoniando la propria fede con la gioia di essere un’unica realtà con Cristo. 

Lei descrive la povertà evangelica come “svuotamento di noi stessi, per fare posto in noi a Dio e dare al prossimo il pane e l’amore, affinché continui a sperare, a sognare, a credere in un mondo migliore”: ha incontrato questa povertà evangelica?
Il messaggio di Cristo è stato portato in Africa, ma ora dobbiamo attendere tempi lunghi prima che il vangelo possa essere veramente inculturato. È importante non giudicare, non essere troppo esigenti. L’Africa sta facendo progressi, ma ha tantissime ferite. È un Paese impoverito: troppi problemi, troppa miseria. Troppi bambini muoiono di fame o di malattie legate alla denutrizione. Nel mondo ogni minuto muoiono dodici bambini a causa della fame: diciassettemila al giorno! Comunque l’Africa, povera com’è, riesce a sopravvivere grazie alla ricchezza della fede.

L’Asia è molto più problematica, sotto tutti i punti di vista. È impenetrabile: ho visitato dodici Paesi in Asia e ancora non so che cosa ho capito degli asiatici. Un missionario mi ha detto: “Ho vissuto venticinque anni in Cina e alla fine ho concluso: non ho capito niente di questa gente”.
L’America Latina, in confronto, è un libro aperto. Molti latinoamericani non hanno il concetto di famiglia come il nostro: hanno un comportamento che creerebbe problemi a un occidentale. Hanno comunque rispetto per la vita: se nasce un figlio, chiunque sia il padre, la comunità se ne fa carico.
Quanto all’Europa: è stata interrotta la catena della trasmissione della fede nelle famiglie. Noi europei stiamo perdendo le nostre radici cristiane e i valori a esse legati. È anche per questo che non nascono più vocazioni al ministero ordinato sia per l’Occidente sia per le missioni: seminari, conventi e istituti religiosi si stanno svuotando. 

“Meta del viaggio è raccontare”: è questo che si propone nel suo sito web?
Una persona che non viaggia è paragonabile a chi legge solo una pagina di un libro, rinunciando a una molteplicità di stimoli. Chi invece viaggia riceve tante sollecitazioni che lo spronano a cambiare: si sperimenta la differenza culturale come ricchezza. Si percepisce l’importanza di incontrare culture differenti e persone nuove. Si comprende l’utilità di fare esperienze forti, per vivere un’esistenza significativa e per condividerla, con il racconto, con tante persone impossibilitate a viaggiare e a conoscere quelle lingue che sono indispensabili per capire le diverse culture. Il viaggiare di gente in gente mi ha aiutato a sviluppare una “teologia narrativa”, come fa la Bibbia, che presenta verità eterne sotto forma di racconti. Narra la storia di un popolo che si libera, la storia di un giovane come Giuseppe nell’Antico Testamento che crede nei sogni, la storia di una giovane come Maria che riceve l’Annuncio, dà alla luce un figlio, lo depone nella mangiatoia…

 Come racconterebbe il nesso tra bellezza e missione?
La bellezza è “splendore di verità”. Una persona diventa bella pregando. Io ho incontrato Madre Teresa di Calcutta nel 1985 a Lahore, in Pakistan. Aveva la faccia stanca. Il suo viso era tutto una ruga, gli occhi chiusi… Quando le ho messo una mano sulla spalla e mi ha rivolto lo sguardo sorridente è diventata bellissima: la bellezza che c’era in lei, in virtù della preghiera, emergeva con il sorriso… La bellezza salverà il mondo: questa intuizione di Dostoevskij trova conferma in tanti missionari, religiosi e laici, resi belli dagli ideali che vivono e che propongono ai più poveri della terra. Diventano belli stando con Cristo, condividendo la sua sete di portare tutti al Padre.