Se ti fidi vivi

Nello spazio intermedio tra sapere e non sapere

 di Chiara Vecchio Nepita
Responsabile Comunicazione del Festival Francescano

 Nella società contemporanea è tutto una questione di fiducia. Lo impariamo da subito: quando veniamo alla luce, le braccia che ci accolgono non sono quelle di colei che ci ha cullato nel grembo per nove mesi.

Mani sconosciute, facilmente guantate, giusto per non farci sentire neppure il calore della pelle. Poi ci portano via, e prendiamo subito confidenza con strumentazioni delle quali impareremo a fidarci, nel peggiore dei casi, in modo assoluto e passivo: bilance, termometri, saturometri... Il cammino della vita continua così, affidandoci in tenerissima età a istituzioni diverse da quelle famigliari. Sono le istituzioni educative e scolastiche; alle quali, però, moltissimi genitori delegano tutto: l’imprinting educativo, l’esclusività delle prime esperienze, il dialogo e, quel che è peggio, il tempo della relazione.

 Fiducia a vista d’occhio

Con gli occhi chiusi, e spesso con l’aiuto di qualche ansiolitico, prendiamo aerei, fidandoci di un solo uomo al comando, affidiamo i nostri soldi alle banche e ad investitori internazionali (non possiamo dimenticare che la crisi economica del 2008 si è evoluta in un clima di fiducia altissima nel fatto che la recessione fosse un problema superato), fino ad arrivare ad una morte asettica: in un letto di ospedale, accompagnati da quelle strumentazioni con le quali ci siamo relazionati per tutta la nostra esistenza. E pensare che proprio la situazione descritta è sinonimo di progresso e che grazie alla scienza viviamo meglio e più a lungo, grazie alle istituzioni si riesce a governare il caos che sarebbe generato dalla stretta convivenza di moltissime persone, grazie alle innovazioni tecnologiche possiamo aspirare alla realizzazione dei nostri sogni.
Ma un tempo non era così. Nell’epoca pre-industriale erano le piccole comunità a fare da collante per le singole persone. Ti fidavi di chi potevi guardare negli occhi tutti i giorni, e non erano occhi filtrati da app capaci di renderli più luminosi… Il letto che aveva visto la tua nascita poteva essere lo stesso che ti avrebbe sostenuto negli ultimi giorni; la magia delle mani della balia che ti aiutavano a nascere era più o meno la stessa di quella del prete che ti dava l’estrema unzione.
Negli ultimi decenni c’è stato un ampio movimento volto a recuperare l’essenzialità dei momenti di passaggio e la concretezza dei rapporti umani, anche a seguito della diffusione massiccia della comunicazione digitale che ha reso necessario trasportare patti di fiducia in un campo mediato (e minato!). Poi… poi c’è stato l’avvento della pandemia. Ecco allora che tutti gli sforzi fatti per superare una società tecnocratica si sono arresi di fronte alla paura del contagio e alla più oggettiva opportunità di fidarsi, in un momento di crisi, di coloro che forniscono soluzioni autorevoli per risolvere questa crisi. Tutto ciò ha determinato un revival del concetto di fiducia, che la prossima edizione del Festival Francescano vorrebbe approfondire, come sempre accettando contributi dalle diverse discipline, sia umanistiche che scientifiche.

 Fedeltà o tradimento?

Il termine stesso, “fiducia” , secondo l’etimologo Giacomo Devoto deriva dalla radice bheidh, così come le parole latine fides (fede), e foedus (patto). A questo proposito, ci piace richiamare una delle più belle poesie di Catullo che, seppur rivolta al suo amore terreno, Lesbia, può incarnare a pieno il sentimento verso il divino: «Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem / hunc nostrum inter nos perpetuumque fore. / Di magni, facite ut vere promittere possit, / atque id sincere dicat et ex animo, / ut liceat nobis tota perducere vita / aeternum hoc sanctae foedus amicitiae» (Vita mia, mi prometti che questo nostro amore sarà piacevole / ed eterno fra di noi. / Grandi dei, fate che possa promettere il vero / e che lo dica sinceramente e dall’anima, / affinché possa durare tutta la vita / questo eterno patto di sacra amicizia).
La sociologia ha fatto del concetto di fiducia una categoria specifica d’analisi, utilissima allo studio e al confronto delle diverse società. La sociologa Gabriella Turnaturi, dell’Università di Bologna, analizza la questione partendo dal suo opposto, ovvero dal tradimento. «Siamo la prima generazione di una nuova specie di traditori? Di traditori leggeri e fluttuanti, senza alcuna consapevolezza? O forse nascerà una nuova responsabilità dalla sofferenza e dal dolore che colpisce chi viene tradito, sia pure sullo schermo?», si chiede Turnaturi. Perché, se è vero che «ogni interagire nasce e cresce intorno al condividere, sia pure per breve tempo, qualcosa con l’altro» è altrettanto vero che «la nascita di un Noi porta con sé la possibilità di tradimento, di separazione o rottura».
Uno dei padri della sociologia, il tedesco Georg Simmel, affermò che: «Chi sa completamente non ha bisogno di fidarsi, chi non sa affatto non può ragionevolmente fidarsi». In questa brevissima frase sta tutto il concetto che, dal punto di vista cognitivo e comunicativo, la fiducia si colloca in una zona intermedia tra completa conoscenza e completa ignoranza e ci fornisce l’occasione di accennare al fenomeno delle fake news, che ha ribaltato il rapporto fiduciario con chi si erge a fonte di notizia nell’attuale mondo social. Utilizzando un concetto più vicino alla Teoria della Comunicazione, spieghiamo con le parole dell’esperta Annamaria Testa che cosa s’intenda per post-verità: «Le bufale e le credenze in sé sono false, ma il fenomeno delle bufale e delle credenze diffuse in rete è del tutto reale. È così reale da risultare pervasivo. È così reale da causare conseguenze dirompenti».

 La fiducia francescanamente

Come affrontare il concetto di fiducia in termini francescani? Lungi da noi approfondire l’argomento, del quale la maggior parte dei lettori di questo periodico sono certamente più esperti! Ci limitiamo a fornire una prima suggestione, che viene dalla Vita prima di Tommaso da Celano: «I frati, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si prostravano supplici davanti a san Francesco, che, abbracciandoli con tenerezza e devozione, diceva ad ognuno: “Riponi la tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te”» (FF 367). In ultimo, ci pare che l’intero Fioretto di San Francesco e il lupo sia una meravigliosa parabola sulla fiducia, e il testo stesso è disseminato di quel lessico che abbiamo imparato essere proprio di questa relazione: «E fatta la predica, disse santo Francesco: “Udite, fratelli miei: frate lupo che è qui dinanzi da voi, sì m’ha promesso, e fattomene fede, di far pace con voi e di non offendervi mai in cosa nessuna, e voi gli promettete di dargli ogni dì le cose necessarie; ed io v’entro mallevadore per lui che ‘l patto della pace egli osserverà fermamente”» (FF 1852). È questo il racconto di chi non ha nulla da temere perché sa di non avere fatto del male, forte di tutta quella «confidanza» che pone in Dio. È questa la storia di chi accetta anche chi fa paura perché sembra attacchi le nostre case, usurpi le nostre provviste, oltrepassi i nostri recinti.