Sul brucomela

Speriamo, al di là di tutto, che la Chiesa sia lì, dove c’è bisogno di amare

 di Lucia Lafratta
della Redazione di MC

  Il nostro vecchio parroco, molto amato e, anche ora che da anni, come si dice, è andato alla casa del Padre, molto citato, diceva che i ragazzini dopo la cresima scappavano o, detto alla romagnola, non si facevano più “da vedere”.

Magari, chissà, posticipando quanto più possibile la cresima… 
Papa Francesco di cresime e affini s’intende e nell’omelia dell’Epifania ha fatto la domanda: “Le nostre parole e i nostri riti innescano nel cuore della gente il desiderio di muoversi incontro a Dio oppure sono lingua morta, che parla solo di se stessa e a se stessa?”. 
Forse è anche per questo che ha lanciato l’idea di un sinodo sulla sinodalità, per capire “come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale) quel ‘camminare insieme’ che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale” (dal documento preparatorio Per una Chiesa sinodale).

 Siamo parte del mondo

Lui ha la visione dell’intero mondo, noi, benché cattolici apostolici romani, una visione ben più ristretta, limitata a casa, famiglia, lavoro, letture, cinema, tv, social vari in questa piccola parte fortunata del mondo. Da questo osservatorio limitatissimo e del tutto soggettivo mi pare di vedere un mondo di cresimati che stanno, almeno in apparenza, bene nel mondo in cui se ne sono andati. Che è il mondo in cui viviamo, non è altro da noi che andiamo in chiesa (siamo Chiesa mi sembra impegnativo). Perché noi siamo nel mondo e, se si può dire su questa rivista, anche del mondo. E in questo luogo - che è l’unico che ci è dato, quello della nostra vita finché durerà - viviamo immersi, con le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce di tutti. Qui è pieno di persone che amano, sperano, soffrono, imprecano, godono come noi. E del sinodo e della Chiesa sanno, se sanno, ciò che i media mainstream, i social mettono in evidenza, le gesta e le parole di papa Francesco soprattutto: lui sì, se fossero tutti come lui… Della Chiesa e dei suoi dogmi e dispute teologiche e feste di precetto e parrocchie e parroci non sanno niente. Soprattutto non sono interessate a sapere, nonostante ci sia chi, benignamente, fa il gesto di tendere loro la mano. 

Credere nell’amore

E dunque noi cosa ci stiamo a fare lì? Ci stiamo e basta, viviamo giorno per giorno, ci divertiamo per le stesse battute di spirito, ci arrabbiamo per le stesse stupidaggini dei politici, ci facciamo un po’ di conti per sapere se è vero che pagheremo meno di Irpef nel 2022, se il Covid sparirà già nel prossimo ponte di primavera o se, almeno, potremo fare a meno delle mascherine. Stiamo lì e abbiamo poche parole e facciamo come possiamo di fronte a una madre sola con una figlia adulta con un grave handicap fisico e mentale che si entusiasma per il brucomela, una madre combattente, per l’amatissima figlia, contro le pastoie delle leggi, l’ottusità della burocrazia, gli sguardi del pietismo a buon mercato. Non lo so se questa madre crede (così diciamo sottintendendo “in Dio”, cioè in quell’unico Dio cattolico apostolico romano). Non gliel’ho mai domandato, non sono domande da farsi. Va a messa la domenica? Lei sa che io ci vado, potrebbe anche venire il momento, quando saremo di nuovo in ufficio e potremo guardarci negli occhi e non solo da schermo a schermo, di parlarne. Il fatto è che non importa, non m’importa. Cosa cambierebbe tra noi? Forse potremmo scambiarci impressioni sui rispettivi omileti? Che magari potrebbero pure essere infastiditi dagli interventi disturbatori della quiete della sacra celebrazione da parte della ragazza. Già così difficile dire se si ha fede. E ridicolo e presuntuoso: sono gli altri che possono dirlo. Prima di tutti lo sa Dio, qualunque sia colui che chiamiamo con questo nome, e al quale non possiamo confondere le idee con i nostri riti, con l’obbedienza ai precetti, con corone e rosari. So che crede, questa madre, nell’essere madre e nel senso che dà a ogni sua giornata prendersi cura di una figlia che dipende totalmente da lei. È poco, non è abbastanza, manca qualcosa? Non lo so.

 Zen, yoga e affini

Faccio un esperimento: “Cosa associ alla parola meditazione? Ti viene in mente una chiesa in cui fermarti, un sacerdote al quale chiedere consiglio, che ti possa guidare, un passo evangelico su cui soffermarti?”. “Neanche per sbaglio!” mi risponde il collega riflessivo, intelligente, che si fa molte domande e ha molte meno risposte di quante ne abbia io. E ammira papa Francesco e mi tiene informata di cosa ha detto ai giornalisti di ritorno dall’ultimo viaggio. Perché non ci pensa nemmeno? Perché molti si tengono lontani dalle chiese e dal relativo “indotto”? Non lo so, ci sono approfondite e dotte indagini sociologiche che tentano di spiegare e comunque spiegare non è sufficiente. Non lo so, posso solo dire che Dio, il nostro e qualunque altro Dio, non può essere altrove se non in mezzo agli uomini. A tutti, non solo in qualche scelto cenacolo di iniziati, altrimenti viene meno al core business della sua azienda che, ci facevano imparare a memoria per superare l’esame di catechismo, prevede che Dio sia in cielo, in terra e in ogni luogo.
Scopro che c’è un sacco di gente che fa meditazione, partecipando a gruppi di meditazione zen, buddista, yoga (cerco in rete e ne trovo alcuni che mettono in primo piano che con loro si fa meditazione gratis e online, il che significa che di norma si medita a pagamento). Le persone si trovano in rete, si conoscono col passaparola (vieni e vedi) tra amici, conoscenti che sanno di essere affini, che trovano una risposta al bisogno di spiritualità, di entrare in contatto con un altro (un Altro?) da sé per meglio entrare in sintonia con se stessi. Le domande che da sempre gli uomini si fanno sul senso della vita non si sono perdute nei social e negli schermi dei cellulari. Hanno trovato risposte. Meditate, gente, meditate.
A me pare che il papa le sappia queste cose, dopo avere consumato realmente le sue vecchie e più volte risuolate scarpe nere per le strade delle periferie di Buenos Aires, non topos letterario o retorico ma strade vere, in mezzo a baracche vere abitate da persone senz’acqua e puzzolenti. Le sappia e, nell’imporre alla Chiesa di mettersi in cammino per ascoltarsi dentro e ascoltare fuori, abbia avuto negli occhi tutte le madri che si mettono in auto nelle sere d’estate, dopo una giornata molto faticosa come sempre, per guidare fino al mare, e ritorno, dove abita l’agognato brucomela. E abbia sognato sperando che il sogno diventi realtà e pregando incessantemente Dio che i suoi discepoli siano lì, anche lì, nel parco giochi della celebre località turistica per condividere un gelato con una ragazza e sua madre.