Popolo di Dio, dove sei ? 

Alla ricerca di una risposta per una domanda tutt’altro che scontata

 di Monica Catani
insegnante di religione cattolica a Monaco di Baviera

Gli articoli di contenuto ecclesiale non sembrano proprio essere fra quelli che mi vengono di getto, tutt'altro.

Con questo pensiero parto col lavoro di scrittura, il termine di consegna si avvicina. Cerco di entrare nell'argomento leggendo un paio di volte la domanda del titolo. La penso vissuta e pronunciata con differenti accezioni e stati d'animo: scene diverse in un immaginario palcoscenico nella mia mente.
La prima viene da un contesto di sofferenza, qualcuno che ha investito tutto il suo tempo e la sua energia in un progetto e deve fare i conti con una delusione esistenziale condita con incomprensione e rabbia. Segue il tono di un appello infuocato che vuole stimolare una presa di responsabilità e una presa di posizione pubblica, laddove questa sembra scandalosamente mancare. Per ultimo entra in scena una persona che brancola nel buio e cerca con le mani quello che la vista al momento gli preclude ma che per forza deve esserci. Un testardo convincimento alla base di una ricerca che parte da condizioni sfavorevoli.

 Precetti non pervenuti

Quando cala il sipario su questo palcoscenico immaginario, la domanda risuona nella mia mente in un tono distaccato, privo di connotazioni, emozioni o sentimenti: «Popolo di Dio, dove sei?» mi affiora subdola la risposta: «Popolo di Dio, non pervenuto». Il mio dialogo interiore continua un po' intimorito: «Mi sono svegliata male stamattina? Sono di cattivo umore? Perchè tanta negatività? Non sono miei questi pensieri caustici». Come insegnante di religione poi la mia vita lavorativa quotidiana è fatta di speranza, di fede, di contatto diretto. È l'incontro quotidiano, pubblico e istituzionale nella scuola con una parte piccola ma significativa e vitale del popolo di Dio. Il luccichio degli occhi dei bambini piccoli quando sentono la Buona Novella, così come il confronto critico stimolante coi ragazzi. Più concreto di così, visibile e vitale non si può sperimentare il popolo di Dio!
Diverso è il discorso per quanto riguarda la frequentazione della Messa. I bambini che vedo a scuola, in chiesa sono latitanti. Ma anche la mia generazione non è presente con dei numeri significativi. La maggior parte dei partecipanti sono anziani. Le eccezioni confermano la regola. Questo non è incoraggiante. La centralità del sacramento dell'Eucarestia sembra non essere particolarmente sentita. A me avevano insegnato che non andare a Messa la domenica voleva dire non rispettare un precetto. Che sorpresa quando circa 30 anni fa, appena arrivata in Germania, chiedevo come mai qui il precetto domenicale sembrava non esistere e dopo diversi tentativi linguistici caduti nel vuoto ho dovuto prendere atto che la parola “precetto” almeno per i miei interlocutori giovani non esisteva proprio.
Forse una sana allergia contro le costrizioni o semplicemente la consapevolezza che la fede, come l'amore, è figlia della libertà e che ogni tentativo di costrizione è destinato a non dare i frutti sperati. E come spiegare la mancanza quasi assoluta di gruppi parrocchiali giovanili, quelli che spendono il loro tempo libero di crescita adolescenziale nel cortile della chiesa, dove la formazione umana e di fede ti entra dentro come per osmosi fra una chiacchiera, una risata e una partita a calcio? Per me che ho passato la mia gioventù all'ombra del campanile dei Cappuccini di Faenza, una perdita inconcepibile e dolorosa. Attualmente poi anche per causa del Covid il popolo di Dio sembra avere ridotto ulteriormente i suoi numeri, aver cambiato i luoghi dell'incontro, essere diventato ancora più latitante. Se lo vuoi vedere devi andare a cercarlo quasi casa per casa o scorrere nero su bianco qualche teorica lista excel di appartenenza.

 Nel momento del bisogno

Mi rendo conto che la scrittura di nuovo si è intoppata, dove posso andare a cercarlo il popolo di Dio, per poterne scrivere? Decido di fare come Abramo, quando su consiglio di Dio esce dalla tenda e volge lo sguardo all'immensità del cielo. Spengo il computer e provo a far fruttare l'immensità del sapere e dell'esperienza di vita dei miei colleghi. «Sto scrivendo un articolo sul popolo di Dio, le mie idee sono un po' annebbiate, avrei bisogno del vostro autorevole e illuminante parere». Il mio collega che lavora come referente di comunità in parrocchia (figura professionale che non esiste in Italia), quindi un esperto del tema, motiva tante mancanze concrete delle attività educative ecclesiali con la carenza di personale. Una risposta tecnica, che non mi soddisfa molto.
Sposto la questione più sui bisogni personali, sulla cura dell'anima. Si vede il popolo di Dio almeno quando le persone sono nel bisogno? I rappresentanti “istituzionali” della Chiesa vengono sentiti come interlocutori nel momento del bisogno? Si trovano più spesso orecchie e cuori aperti o ci si scontra piuttosto con i limiti normativi che fanno passare la voglia di tornare? Mentre discutevamo, una collega fino allora silenziosa, sente il bisogno di dire la sua: «Guarda me: io non sono battezzata, non faccio quindi parte ufficialmente della Chiesa ma il temine popolo di Dio non mi è estraneo, anzi, direi che sembra anche a me di farne parte. Certo non per la mia conoscenza del catechismo, non per la mia frequentazione delle liturgie ma per il mio sostegno convinto delle idee e dei valori in cui credo. E quando a volte mi capita di andare in chiesa, non lo vedo certo come una contraddizione».

 Cattolico è universale

Queste parole rendono concreto una sorta di pensiero sconnesso che aleggiava nella mia mente ma non riusciva a prendere forma. Raccontata come esperienza di vita, quest'opinione ha le caratteristiche di una verità vissuta importante. Il popolo di Dio non è solo quello dei battezzati o di coloro che frequentano più o meno regolarmente la Chiesa. Se oltrepassiamo i confini ecclesiastici e ci riportiamo alla mente che cattolico vuol dire universale, il popolo di Dio deve essere inteso in modo inclusivo.
Nel 2019 i vescovi tedeschi hanno deciso di provare a dare vita a un “Synodaler Weg”, un Cammino sinodale. Una volontà espressa, almeno dalla maggioranza, di mettersi in cammino in tanti e nella diversità dei carismi e delle mansioni, per cercare un dialogo sulle riforme che la Chiesa sente sempre più urgenti. Una volontà di trattare di nuovo i “soliti” temi scottanti che bollono da tanto tempo nel pentolone della Chiesa cattolica: gli abusi di potere del clero, la morale sessuale, il celibato, il ruolo della donna. Prevedibile l'immensa fatica di mettere insieme convinzioni antitetiche, le frustrazioni e le arrabbiature, l'esercizio della virtù della pazienza, l'impossibilità di riuscire sempre a far quadrare il cerchio. La fine del Cammino sinodale tedesco è prevista per febbraio 2022. Il popolo di Dio, quello attivo e presente al Sinodo come quello non coinvolto in prima persona ma che se ne sente parte, attende con interesse più o meno marcato i risultati concreti delle discussioni.