Cara amica ti scrivo

Due amiche, i loro dubbi, la loro ricerca, in un dialogo fatto di rispetto e ascolto

 di Laura Montanari, già insegnante di lettere
e Michela Mollia, musicista

 Ho accettato l’invito a rispondere in qualità di adulta non credente, cresciuta in ambito parrocchiale, dove il catechismo era come materia scolastica, sollecitata poi dagli studi ad una visione laica dell’esistenza, fino ad abbracciare idealità e intenti di un umanitarismo universale, che prescinde dal valore della fede. Mi confronterò con un’amica, con cui condivido opinioni e dubbi, avviando un breve epistolario.

  Cara Michela, ecco le mie prime riflessioni. Sono sempre disponibile al dialogo, non ho remore nel confrontarmi con posizioni e comportamenti della comunità cattolica in cui vivo, mentre sono più cauta sotto l’aspetto dottrinario, teologico, perché sono impreparata. Cerco di stare informata sui mutamenti del magistero della Chiesa, ma soprattutto riguardo i temi sociali su cui prende posizione; leggo e ascolto argomenti riguardanti le religioni, la fede, la spiritualità e ne traggo conclusioni personali. Mia convinzione, maturata nel tempo, è che la vicinanza di un individuo alla Chiesa sia mediata dalle persone, ecclesiastici o credenti osservanti, che incontra nel corso della vita, dalle esperienze che realizza con loro, dall’insegnamento che riescono a trasmettere, e soprattutto dal loro esempio. Se si realizza questo incontro, penso che possa nascere anche un percorso di rivisitazione personale che può portare alla fede. Il fatto di non essere credente non mi crea ostilità nei confronti della Chiesa, anzi mi stimola a cercare le ragioni secondo cui l’Istituzione continua da millenni il suo apostolato, in relazione di dualità con lo Stato. Il mio interesse si appunta soprattutto sul presente e mi chiedo se e come la Chiesa svolga il suo ministero, in un mondo globalizzato, prevalentemente laicizzato, se e come può essere un interlocutore qualificato, credibile, portatore di guida, di esempio, nel dibattito sulle grandi problematiche, che impegnano tutti gli aspetti della vita dell’umanità, sociali, economiche, politiche, etiche, culturali. Ho voglia di dialogare con una Chiesa che si libera dal clericalismo. Il momento giusto mi pare questo, da quando è Papa Francesco Bergoglio, il Papa che sento portatore di parola e di esempio come il santo Francesco e il Gesù dei vangeli.

 Cara Laura, accetto il tuo invito perché da qualche anno sto cercando di trovare una mia posizione religiosa. Sia mio padre che mia madre erano convintamente atei, pur avendo avuto loro stessi un’educazione inserita nella pratica comune del credente. Non essendo stata condotta alle pratiche religiose, nessuna si è sedimentata in me per cui ho vissuto gran parte della mia vita ritenendo che questo aspetto dell’esistenza umana non mi riguardasse, rifiutando anche una religiosità di comodo. Però la domanda più pressante è sull’esistenza di Dio. «Dio esiste?», la domanda è brutale se posta ad altri e la sua successiva «tu credi?» diventa addirittura impudica, ma diventa fonte di numerose riflessioni se posta a se stessi. Il fatto è che tutti crediamo in qualcosa; su qualcosa o qualcuno facciamo pur affidamento. Se mi immagino un dialogo, tra un cristiano e un ateo, lo desidererei così: riflettere sulla nostra condizione di esseri umani gettati nel mondo e che di questo mondo devono trovare ragione e senso, compresa la loro esistenza in vita. Riconosco la drammaticità del vivere laicamente: per l’ateo, tutto si gioca qui, nella nostra preclusione alla confortante e consolatoria idea di un aldilà, di una vita eterna, come fosse un “sistema assicurativo”. Sarebbe questa speranza la motivazione ultima sulla quale cedere alla fede? Cosa mi risulterebbe più arduo, l’affidarmi incondizionatamente o il potermi aspettare la vita eterna dopo la morte?  E allora, si può vivere senza fede?

 Cara Michela, è profondo, quasi viscerale, il tuo esame interiore. Ti do atto che tu sei in cammino per la ricerca di una tua rigenerazione attraverso la fede, molto più di me, che vorrei arrivare alla fede attraverso le parole e l’esempio di altri, sgravando così la mia coscienza dalla responsabilità di ammettere che si può vivere anche senza fede. Sento che il grosso nodo da sciogliere è come porsi davanti al mistero della resurrezione di Cristo, che implica il credere nella vita ultraterrena, nella salvazione, nella purificazione o nella dannazione secondo i nostri comportamenti sulla terra. Non metto in dubbio l’esistenza storica di Gesù di Nazareth e sono coinvolta dalla sua predicazione tramandata dai vangeli. Non riesco però a credere nella resurrezione, e mi rendo conto che questo equivale a non credere in Gesù come figlio di Dio, e in fondo a non credere all’esistenza di un Dio che per amore dell’umanità sacrifica il proprio figlio. Temo che sia l’angoscia degli uomini gettati nel mondo, spaventati dai drammi del vivere e soprattutto dal mistero della morte, ad aver nutrito la speranza in una salvezza ultraterrena. Per ora mi illudo che il senso della mia vita stia nel vivere “cristianamente”. Non escludo che un po’ più in là negli anni, di fronte alla aggressione di una disgrazia, di una malattia o alla percezione di morte imminente, non mi lasci sopraffare anch’io dall’angoscia e insorga in me il bisogno di affidarmi a Dio, di credere in Lui, di pregarlo. Ora però, ammetto, mi sembrerebbe una scelta di viltà, che sconfesserebbe la coerenza a cui ho cercato di adeguare la mia vita.

 Cara Laura, noi moderni siamo convinti che il dialogo sia un momento imprescindibile per la pacifica convivenza, a tutti i livelli: generazionale, di coppia, tra culture e religioni. Il dialogo implica l’ascolto, includendo le diversità e le ragioni dell’altro. La posta in gioco in un dialogo Chiesa-mondo è alta: la Chiesa non può né rinunciare, né mettere in crisi il proprio magistero pena la sua progressiva dissoluzione e il mondo, da parte sua, deve far fronte a problemi di ordine sociale, materiale di portata vastissima e molteplice. Pensiamo al controllo delle nascite, all’aborto, al matrimonio tra gay, al divorzio, all’eutanasia, giusto per citare le più scottanti. La scienza offre possibilità che solo cinquant’anni fa erano inimmaginabili e nella Scienza il mondo trova molte risposte. Nello stesso tempo non vedrai scienza e religione contrastarsi, ma magari ibridarsi, rendendo le risposte più possibiliste, sfumate, includenti.
Chi pensa e agisce esplicitamente “in nome di dio” sono i musulmani, ma sappiamo a che prezzo di vite umane e rapporti sociali. Noi abbiamo quasi paura di evocarlo. Naturalmente non è solo una questione di pronunciamento, ma piuttosto di riferimento per la condotta che dovrebbe tenere chi crede. Anche la domanda “in che modo possiamo comportarci?” è come se attendesse una risposta che forse qualche secolo fa sarebbe stata: fa’ quello che Dio ti comanda… ma oggi? 

 Cara Michela, io e te, due voci del mondo a confronto sul dialogo con la Chiesa. Un dialogo costruttivo non necessariamente implica l’accordo, ma il rispetto fra chi con sincerità si mette in relazione di ascolto e parola.