Figli di Adamo? No, di Amleto

Attenti a quelli che fingono un dialogo e attaccano con un monologo

 di Manuela Terribile
Socia fondatrice del Coordinamento Teologhe Italiane. Socia dell'Associazione Teologica Italiana

  Chi sono gli ecclesiastici? La prima e certa accezione è ‘uomini di Chiesa’. L’identificazione di una persona con una appartenenza.

Fra cristiani, titolo d’onore. Henri de Lubac, a metà del secolo scorso, offriva una descrizione ampia e appassionata di questo vir ecclesiasticus (Meditazione sulla Chiesa, Milano 1979, 161-192), una specie di ritratto di un ideale (come lui stesso sembra ammettere), dove il vir è sempre intrappolato malamente nel suo tempo, comunque insidioso; ed è ecclesiasticus, magari indegnamente, per l’appartenenza dovuta alla genetica dello Spirito. Quest’uomo è definito così dalla grande e vera protagonista delle pagine di de Lubac, la Chiesa, la Madre Chiesa («Senza di te, i nostri pensieri rimangono sparsi e fluttuanti: tu li raccogli in un fascio robusto»: op. cit., 191). È passato del tempo, denso di eventi, e quelle pagine rimangono importanti, ma in alcuni passaggi sembrano non poterci riguardare.

 Identikit dell’ecclesiastico

Oggi, soprattutto nella parlata comune, senza troppa precisione, intendiamo con ecclesiastico un tipo, o meglio una categoria di persone. Forse sono tipi che si trovano soprattutto (ma non esclusivamente) nelle curie (episcopali e non), funzionari, uomini e donne che servono l’autorità e, ovviamente, sanno dove l’autorità sta, cosa fa e come lo fa. Non sono malvagi, sono uomini e donne dell’istituzione, cosa in se stessa retta e necessaria. Non sempre questo accade realmente; può succedere che queste persone (questa tipologia) siano convinte di stare nella scena delle decisioni, anzi, di governarla. Ma non è così: forse una piccola vanità, o una grande fragilità. E si perde l’anima.
Si tratta di caratteri, di persone, di ruoli, di figure, anche di posture interiori. Magari semplicemente maschere usate a tempo opportuno. In alcuni luoghi (dello spazio o del tempo) si trova una certa campionatura di questa tipologia. Forse, per quanto riguarda la Chiesa, si potrebbe dire che si parla di clericali e/o del clericalismo, di cui più e più volte papa Francesco ha indicato il pericolo. Di fronte a costoro non si è mai alla pari, non si hanno mai argomenti interessanti, non si può mai indirizzare una conversazione. Essi sono sorveglianti e sorvegliati, disponibili a patto di asimmetria. Vagamente distanti e equidistanti. Ci si può sentire inferiori, o inadatti, nel giro di pochissimi minuti.

 Esperti di monologo

Sono abituati a parlare da soli? Esperti di monologo? Forse. Due esempi piccolissimi possono aiutare a guardare e vedere. Le omelie: talvolta capita di ascoltare parole, riflessioni, che potrebbero essere situati in un qualsiasi periodo degli ultimi cinquecento anni, almeno. Narrazioni di mondi fantastici dove sarebbero custodite le cose vere e autentiche. Forse dovremmo prendere quelle immagini come modellini per le nostre vite, per le nostre storie, per la storia e il tempo di noi che muti ascoltiamo? Difficile. Oppure i gruppi, quei gruppi in cui bisognerebbe decidere qualcosa che riguarda tutti. Tutti parlano (e sarebbe già una bella cosa) e poi la decisione avviene altrove, perché spetta all’ecclesiastico.
Uomini e donne che mandano avanti famiglie, lavori, figli e anziani, si seccano di non essere mai presi sul serio. Dove sarebbe fondata quell’autorità che magari deve decidere semplicemente come organizzare il catechismo della prima comunione? E lo fa senza neanche tenere presenti le esigenze messe sul tappeto. Ci si sfila silenziosamente da questi contesti, si va via senza sbattere la porta. Questi atteggiamenti (più diffusi di quanto si creda e annidati anche in pieghe ammodernate) hanno scavato e scavano distanze difficili da colmare; sono tradimenti, fughe, muri. Il gregge si smarrisce e i pastori “ecclesiastici” rimangono nell’ovile a parlare con disprezzo di pecore vagabonde.
Questa tipologia di persone ha spesso un linguaggio tutto suo, verbale e non verbale. Non è immediato capirli, neanche riconoscerli. Se cinquanta anni fa erano riconoscibili (la società parlava ancora l’antico idioma ecclesiastico e, comunque, conosceva la grammatica e la sintassi dell’autorità), ora si comprendono solo tra di loro. Tra di loro capiscono le posizioni e le posture, le pieghe minime di un viso, il gesto delle mani, le parole pronunciate e il ‘non detto’. C’è una specie di filigrana che accomuna questi ecclesiastici, da quelli più riconoscibili a quelli più mascherati. Essi non sono interessati a parlare con noi, perché noi non abbiamo valore. Non abbiamo valore per loro, per la loro scena. Abbiamo valore, per taluni di loro forse addirittura valore assoluto, ma escatologico, quello che la fede battesimale dona ad ognuno. Sono interessati a dirci quel che devono, indipendentemente dalla domanda che ci abita (che spesso per loro rimane oscura). Perché dovrebbero dialogare con noi?! Non sono abituati al dialogo. Sembra che non coltivino la buona consuetudine della conversazione e siano in genere formati per eseguire, non solo per obbedire. In fondo, il dramma è questo: cosa c’è da dire che non sia già stato detto e anche risolto?
Parlano e si ascoltano oramai soltanto tra di loro.

 I signori So-tutto-io

Spesso, di fronte a questa postura ecclesiastica mi torna in mente una scena della Vita di Galileo di Bertold Brecht. Galileo è alla corte dei Medici, a Firenze, e i sapienti di quella corte sono nettamente increduli riguardo alle sue scoperte. La conversazione con il Matematico e il Filosofo si attorciglia su se stessa: i due non guarderanno nel telescopio, vogliono soltanto argomentazioni, e rimangono fermi e saldi sull’autorità di Aristotele. La scena si conclude con Galileo che li rincorre e dice loro: Signori, davvero: bastava che guardaste nel telescopio! (Vita di Galileo, Torino 1963, 57). Possono quindi questi ecclesiastici dialogare? No. L’altro, chiunque esso sia, è un pericoloso interlocutore, un mendicante lamentoso, un dissidente. Un bambino piccolo. Ciò che impedisce il dialogo è che loro, gli ecclesiastici, già sanno. E forse fino al ‘600 era davvero così. Ma quello scenario non c’è più.
Il mondo e la storia, soprattutto i poveri, e ognuno di noi quando è povero, anche un povero ecclesiastico, hanno bisogno di dialogare e lo fanno. Per grazia ci sono uomini e donne di Chiesa, ordinati e non, consacrati e non, che non sanno, che non sanno ancora, che cercano con coloro che cercano e camminano, pellegrini come tutti, dialogando e servendo dal loro posto il santo e fedele popolo di Dio. La Chiesa continuerà a dialogare e a conversare.