Ricordando fra
Marcellino Botticelli

Frate semplice e originale, con doti artistiche e notevole capacità comunicativa

Sant’Agata Feltria (Rn), 14 aprile 1942

† Bologna, 14 agosto 2021

 

 È nato e ha trascorso la prima infanzia nell’alto Montefeltro.

Il suo mondo familiare era un minuscolo gruppo di case poco sopra la cittadina di Sant’Agata Feltria in località Monte Benedetto. Nel gennaio 1947 una grave lutto colpì la sua famiglia: morì la madre. Il padre non si risparmiava nella fatica, e lavorava nel suo campo giorno e notte. Benché ancora bambino, Gino dava una mano alla magra economia familiare conducendo al pascolo la sua unica pecora.

 La “vocazione”

Sul finire dell’autunno del 1952, alla casa di papà Armando bussò un frate, padre Giancarlo Guidi, pure lui originario del luogo, che fece la sua proposta. Papà Armando, benché perplesso, accettò.
Fra Marcellino ricordava ancora il giorno della partenza: padre Giancarlo giunse in bicicletta con una cassa da frutta sul portapacchi dietro il sellino. Vi collocò Gino, peraltro molto piccolo, e si avviò per la discesa che portava al paese. I freni della bicicletta erano fuori uso, ma il frate, previdente, aveva assicurato una grossa fascina legata dietro la ruota posteriore, che li seguiva con una nuvola di polvere. A Sant’Agata salirono sulla corriera di linea, che li scaricò a Cesena. Di qui, in treno, proseguirono per Imola, al convento dei cappuccini, presso il quale vi era il seminario. Il seminario non era ancora del tutto terminato nella sua costruzione e i fratini seminaristi erano stati sistemati provvisoriamente nella casa estiva di Bellavalle (Sambuca Pistoiese). Per lui era già stato deciso che sarebbe rimasto solo fratello: terminata la scuola dell’obbligo, lasciò gli studi e si dedicò unicamente al lavoro.
Nel 1959 fu ammesso al noviziato e prese anche un nuovo nome, come era in uso a quei tempi. E quale miglior nome per lui, ancora bambino nonostante l’età, se non quello di Marcellino, con evidente ispirazione al protagonista del film allora negli occhi di tutti, frati compresi, Marcellino pane e vino? Cominciò il noviziato sotto la guida del padre maestro Guglielmo Gattiani, ma soprattutto di un frate laico anziano, pieno di tanta sapienza evangelica e francescana, fra Davide da Castel di Casio. Questo gli avrebbe insegnato a cucinare e a svolgere tanti altri piccoli servizi preziosi per la vita di una comunità di frati. Frate Masseo, già esperto nel lavoro della cerca, avrebbe insegnato a fra Marcellino come comportarsi e come presentarsi alla gente. Per la questua in città o gli immediati dintorni i due inforcavano biciclette raccattate chissà dove. Il fondo stradale della ripida discesa, che dal convento raggiungeva le prime case dell’abitato cittadino, era sconnesso e presentava profondi solchi scavati dall’acqua piovana. I freni fuori uso delle biciclette mettevano i due frati in pericolo di capitomboli ogni volta che scendevano. Qualora la velocità si facesse troppo elevata, a metà strada imboccavano la stradina che saliva alla Rocca Malatestiana per riuscire a fermarsi.

 Cuoco a Bologna e a Comacchio

Nel 1963 fu trasferito nell’Infermeria provinciale di Bologna come cuoco e per dare una mano all’amico infermiere fra Crispino Mescolini. Qui cominciò ad apprendere da autodidatta i primi rudimenti per poter suonare l’organo. Non era un organista raffinato, ma sufficiente per accompagnare in maniera decorosa i canti liturgici e renderli più dignitosi; se poi vi aggiungeva anche la sua voce baritonale chiara e potente, la liturgia ne risultava ulteriormente arricchita.
Con l’arrivo in infermeria di un uomo che fungeva da domestico nel convento di Lugo e che si fece carico della cucina, Marcellino fu trasferito sempre come cuoco nel periferico convento di Comacchio (FE). Dato che il superiore del convento era piuttosto parsimonioso, fra Marcellino doveva industriarsi a cercare qua e là qualcosa oltre lo stretto necessario. Si recava dai pescatori di ritorno dalla pesca notturna, che gli donavano sempre una buona quantità di pesce fresco. Una volta chiese di salire in barca con loro per una battuta di pesca, credendo di cavarsela in poche ore. Rimase invece fuori al mare aperto per ben tre giorni, durante i quali non solo aiutava i pescatori nel lavoro, ma soprattutto cucinava. Marcellino in cuor suo sapeva che il padre guardiano non avrebbe presa per niente bene quell’assenza e lo avrebbe potuto accusare di essere un frate fuggitivo: una cosa molto grave secondo le regole fratesche, anche se i pescatori attraverso la radio avevano avvertito i carabinieri di comunicare la cosa ai frati. Quando Marcellino fece ritorno in convento, la comprensibile bufera del padre guardiano era già sbollita: «Ben tornato, pescatore!», si limitò a dirgli. Una comprensione alquanto interessata, in considerazione dell’abbondante quantità di pesce che il fuggitivo aveva portato con sé.
Dopo alcuni anni passati a Lugo di Romagna, nel 1969 la svolta: fu destinato a Bologna e lì rimarrà fino alla fine dei suoi giorni. Come lavoro gli fu assegnato, oltre a quello di dare una mano nell’infermeria provinciale e in portineria, quello di tinteggiatore dei conventi, avendo già dato altrove prova di notevole maestria nel saper indovinare i colori dove doveva riprendere pareti già tinteggiate.

 Pennello e uova sode

Fu a Bologna che Marcellino sviluppò pienamente le sue capacità artistiche. Un giorno gli fu donato un manuale di pittura con le nozioni basilari per la formazione di un pittore, e la lettura di quel volume gli consentì di apprendere le tecniche necessarie non solo per dipingere, ma anche per restaurare statue e quadri rovinati.
Quando si recava a tinteggiare altri conventi, l’orario di lavoro non conosceva soste, spesso neppure per mangiare. Si accontentava anche solo di farsi bollire una decina di uova, che avrebbe mangiato tra una pennellata e l’altra. A Bologna mise su anche uno studiolo, dove custodiva di tutto, in cui non solo dipingeva, ma restaurava soprattutto statue di ogni dimensione, di cui ricostruiva con maestria anche le parti mancanti, ridonando loro il primitivo splendore. Ha ripreso nella nostra chiesa di Faenza tutte le pitture della volta che si stavano polverizzando e le decorazioni delle pareti. Fu un lavoro lungo, ma che ebbe persino il plauso di uno specialista della soprintendenza delle belle arti.
Quando l’infermeria provinciale di Bologna subì il lungo lavoro di una totale ristrutturazione (1988-1991), Marcellino si sobbarcò al gravoso impegno dell’imbiancatura di tutti gli ambienti. Trovò pure il tempo di dedicarsi a dipingere due copie del crocifisso di San Damiano. La prima, alta poco meno di due metri, per il convento di Cesena (prima del 1990), la seconda, alta 235 cm (nel 1993) collocata nell’Aula Magna del convento di Bologna. Due opere veramente impegnative che hanno richiesto da lui notti insonni e tanta pazienza. Forse sono la testimonianza più forte della sua capacità di artista.

 Sacrista della chiesa di San Giuseppe

Nel 1999 fu nominato sacrista della nostra chiesa-santuario di san Giuseppe. Così apprese a dividere il suo tempo ad accogliere la gente, ascoltandola e dando i suoi consigli. Consigli non solo spirituali, ma anche come curarsi dei propri mali. Tutto questo perché aveva scovato chissà dove dei libri che insegnavano tecniche che pretendevano di guarire tutti i possibili mali. Tanti accorrevano a lui e, a suo dire, ne partivano guariti o quantomeno migliorati. Fu sempre in questo periodo che scoprì, tra una lettura e l’altra, L’Evangelo come mi è stato rivelato, un’opera in dieci volumi che ripercorre tutta la vita di Gesù, scritta da Maria Valtorta. Quest’opera riporta episodi e fatti di vita quotidiana che non compaiono nei vangeli canonici o presentati solo in forma ridotta. L’autrice si limita a descrivere minuziosamente le visioni di carattere mistico che sosteneva di avere con Gesù e con la Beata Vergine Maria. Marcellino ne divenne un invincibile sostenitore. Tuttavia Marcellino, con questi nuovi interessi, non dimenticò di tralasciare il suo talento di pittore, che continuò a coltivare sempre con passione.
Negli ultimi anni la sua salute cominciò a mostrare delle crepe, e circa un anno fa ebbe a soffrire di gravi disturbi gastrici. Marcellino non se ne dava pensiero più di tanto, convinto che i suoi mali prima o poi dovessero guarire spontaneamente. Ne uscì solo quando il superiore lo fece ricoverare all’Ospedale Maggiore di Bologna, dove si rimise in discreta salute. Ma ciò che non appariva era solo quiescente. Giovedì 12 agosto il suo male subdolo lo colpì di nuovo. Pure questa volta Marcellino pensava di uscirne in qualche giorno, ma non è stato così. Sabato 14 agosto le sue condizioni peggiorarono e il suo ricovero in ospedale non fu sufficiente, anche perché le circostanze gli furono avverse. Non superò la crisi e così al tramonto della Vigilia dell’Assunta, Marcellino è volato in cielo a raggiungere Maria.
Fra Marcellino è stato un frate originale, dotato di doni naturali, che aveva fatto della semplicità la sua chiave per vivere con noi e incontrare la gente.

Nazzareno Zanni 

La liturgia esequiale è stata celebrata nella nostra chiesa di San Giuseppe in Bologna martedì 17 agosto, presieduta dal vicario provinciale fra Matteo Ghisini, con la partecipazione di tanti confratelli e fedeli. Una seconda celebrazione si è svolta nella nostra chiesa di Sant’Agata Feltria (Rn), presieduta da padre Ivano Puccetti, a cui hanno partecipato gli amici e i parenti, in particolare i fratelli Antonio, Anna e Lazzaro. La salma è stata poi inumata nel locale cimitero locale.