Questo thè comincia con una collana di belle parole che Maura compone per aiutarci ad entrare nel tema: «Quando ho pensato al vastissimo tema che ci aspetta - l’antropologia, ovvero lo studio che riguarda l’umano - ho pensato che la cosa migliore fosse cercare di individuare delle parole che ci guidassero un po’ nella discussione e così me ne sono uscite diverse, tutte legate fra loro in qualche modo e nella mia testa anche un po’ consequenziali. Ecco, ve le scrivo qui: identità, diversità, relazione, limite, conflitto ed infine armonia. Sono parole concrete, che tutti abbiamo sperimentato. Oggi più che mai però vi chiedo di non dimenticare le nostre regole di discussione…».
a cura della Caritas Diocesana di Bologna
Nel caos calmo dell’uomo
Ricettario incompleto di umanità compiuta
IL THÈ DELLE BUONE NOTIZIE
Vicino a Maura, Maurizio commenta «Maura, tu insisti sempre sulla regola di non criticare, di non giudicare, non interrompere…».
«Hai ragione, Maurizio. Purtroppo però siamo sempre molto abituati a giudicare e spesso lo facciamo senza pensarci. In questo modo, inevitabilmente, ci mettiamo ad un livello superiore, usciamo dal cerchio. È profondamente sbagliato e dobbiamo starci molto, molto attenti. Tutti noi. Nemmeno ci accorgiamo che invece l’altro ha una sua storia personale, un suo vissuto individuale ed esperienze che gli hanno insegnato, nel bene e nel male, moltissime cose. Dunque dobbiamo sempre ricordare che non possiamo mai suppore di sapere davvero ciò che riguarda l’altro, né tanto meno possiamo permetterci di giudicarlo senza nemmeno conoscerlo…».
Il sud, il nord e viceversa
«Ma scusate però: di che cosa dobbiamo parlare esattamente oggi?», si inserisce Maria Rosaria, sempre concreta. Maura le sorride: «Ecco il punto: cosa è che ti fa sentire un vero essere umano, una donna in particolare, Maria Rosaria?». «Ah lo so! È l’esperienza degli anni!», risponde Maria Rosaria con l’entusiasmo di un alunno che si scopre ben preparato. «Sono maturata col tempo e le esperienze che ho fatto le ho ascoltate tutte. Prima andavo così» e la mano si muove dipingendo grandi curve nell’aria «ma adesso invece penso, pondero e poi agisco. Traggo il meglio dalle cose e non mi giudico più. Quando ero giovane mi dovevo sempre truccare, essere sempre in tiro… non mi accettavo e credevo che gli altri mi volessero così. Eh… ero piatta qui una volta, non avevo la pancia…», dice seguendo il filo dei ricordi, le mani appoggiate all’addome «ma ora è decisamente molto meglio, perché mi accetto come sono e mi sento bene. Quando si è giovani si è anche tanto incoscienti!».
«Io sono rimasta colpita dalla parola “diversità”», dice Rita, seria. «Ero bambina, venivo dalla Puglia. Poiché mia sorella più grande si era sposata qui a Bologna, i miei hanno deciso di trasferire tutta la famiglia per starle vicino. Ho scoperto presto tutta la diversità che inconsapevolmente mi portavo dietro: ho dovuto faticare tanto per farmi accettare. Ne soffrivo. Le mie radici regionali mi hanno fatto tribolare e, ancora oggi, chi fa le battutine sui meridionali riesce a ferirmi. Ci soffro ancora tanto. Dunque ho sperimentato sulla pelle che diversità significa problema, dolore…». «E pensare che nella storia del mondo la cultura è sempre progredita da sud a nord! Dovremmo ricordarcelo più spesso!», commenta amareggiato Maurizio scuotendo la testa.
«Già, ma non è facile!», interviene Leone. «Da quando avevo 14 anni, mia madre mi ha lasciato libero di fare qualsiasi esperienza volessi: ero libero e lei non interferiva mai con le mie scelte. Non così per le mie sorelle, che hanno dovuto aspettare la maggior età per sposarsi ed andare via di casa… ma questa differenza di trattamento ha poi creato dei conflitti fra noi fratelli ed è anche per questo che me ne sono andato al nord… dove anche io ho sperimentato una profonda diffidenza nei miei confronti, proprio perché venivo dal sud dove le abitudini sono tanto differenti».
Se l’immagine è più della realtà
A prendere la parola è poi Daniele: «Cosa mi fa sentire uomo? Il fatto che lo sono, che mi sento di appartenere al genere umano, anche se uomo o donna non mi importa… e poi però mi sento anche “mio”, diverso da tutti, ho una mia identità. Per questo confliggo spesso con gli altri: sono unico! Oh, ma lo sapevate che la prima divinità ad essere adorata è stata il Caos? Ed in effetti è proprio dal casino che può nascere qualcosa di nuovo, di più vero. In questo senso il caos ci aiuta anche a trovare una nuova armonia. Però non è bene che i conflitti diventino troppo seri: se non c’è modo di negoziare è meglio che ciascuno trovi i propri spazi. L’armonia è anche solitudine, per me. Alla fine, per stare bene con gli altri, bisogna sapere star bene con se stessi e per farlo occorre chiudere il rumore fuori e trovare se stessi».
«Il mio essere me stesso: ecco la mia maledizione», interviene di spinta Gabriele, agguerrito più che mai. «Ragiono solo con la mia testa e finisce che mi trovo scomodo ovunque. La mia identità è ragionare con la mia testa ma questo mi mette in conflitto con tutti! Vi faccio un esempio: domenica sono andato alla manifestazione no-mask in piazza, ma sono rimasto davvero deluso. Quando sono tornato a casa, ho visto delle foto dell’evento, fatte ad arte per far sembrare che ci fosse tanta gente e quindi per avallare la nostra tesi, ma eravamo pochi in realtà… e allora mi domando: ma questi trucchetti non li usavano gli altri? Dunque son tutti uguali! Così finisce che un libero pensatore non trova mai sostenitori…».
Nel giardino l’unità dei fiori
«Per arrivare alla mia identità, ci ho messo anni», dice Serena, lo sguardo avanti e gli occhi in movimento come se guardasse un treno transitare sui binari. «Finché ho vissuto in casa ho sempre cercato di essere come gli altri mi volevano. Credevo che così avrei creato meno problemi ai miei: già ne avevano tanti. Per molto tempo non ho capito chi ero e cosa volevo. Per anni ho fatto così schivando, nascondendomi, fingendo. Poi ho cominciato a sentire che stavo bene solo quando potevo esprimere le mie idee ed essere finalmente me stessa. A quaranta anni ho attraversato una crisi depressiva molto forte, proprio perché ho compreso allora che ero diversa da come mi ero presentata a tutti e da lì, piano piano, mi alleno ogni giorno a dire la mia senza urlare, né prevaricare. Non è uno sport facile però…».
Maura ci guida delicata verso il termine dell’incontro: «Ci avviamo alla conclusione e vi chiedo di condividere rapidamente cosa vi serve per sentirvi “ancora più umani”. Qualcosa che vorremmo per noi e per tutti e per il quale siamo disposti a lottare insieme…». Il cerchio esprime i suoi desideri: meno preoccupazioni e più consapevolezza di sé; maggiore calma e serenità nell’accettarsi per ciò che si è davvero, ma anche il desiderio di essere considerati dagli altri e di realizzarsi nelle proprie capacità uniche, per lasciare un segno in questo mondo…
Il giro si chiude e Maura ci regala la lettura di un breve testo, attribuito a Seneca: «La terra è un solo paese, siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino». E tutti sempre invitati all’unico gustoso thè della condivisione…, mi vien da aggiungere guardando la nostra gente, così colma di tanta meravigliosa umanità.