La voce ti trafigge il cuore

Nuovo evangelizzatore è colui che tocca il cuore permettendo di cambiarlo

di Fabrizio Zaccarini
Maestro dei postulanti cappuccini a S. Margherita Ligure

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Disamina del bello

Foderati di carta millimetrata, i piedi di Leo Messi, e degli altri calciatori del Barcellona, realizzano le geometrie più belle ed imprevedibili. Credevo di dribblare così la noia dei miei ragazzi: volo sulle ali dello Spirito, e di un pullman, fino a Poznan, Polonia, insieme ad altri 30.000 giovani, per il “Pellegrinaggio di fiducia sulla terra” organizzato dai monaci di Taizé nel capodanno 2009-2010. Fui dribblato io: la risposta del piccolo gruppo giovanile parrocchiale fu dannatamente tiepida. «Sappiate riconoscere la cosa più bella», tentai di rilanciare e loro a gamba tesa mi hanno segato così: «La bellezza è soggettiva». Lì per lì non seppi far altro che rispondere con la tesi diametralmente opposta non ricavandoci, come si poteva facilmente prevedere, alcun guadagno, anzi.

Smaltita la delusione per il fiasco pastorale incassato, quello scambio di battute sulla bellezza non mi lascia in pace… passano i mesi, vengo trasferito di convento, ma il pensiero non molla. Alla ragazza che si fece portavoce del gruppo, dal nuovo convento, ho scritto una lettera (messaggio in bottiglia: ti supplico E., rispondimi!) cercando di tener conto del mio punto di vista (oggettività della bellezza) e del suo (soggettività della stessa), ma anche del desiderio dinamizzante che essa innesca in noi, provo a descrivere la bellezza come una «relazione di conformità trasformante tra chi guarda e chi è guardato». Ora, io non dovevo mica scrivere di bellezza o di gruppi parrocchiali! Chi mi ha portato fin qui? È stato un ragazzo che, spudorato, ha apostrofato così il cardinal Martini: «Non mi dica che il cristianesimo è verità. Questo mi dà fastidio, mi blocca. È diverso dire che il cristianesimo è bello...». Penso sia utile far partire di qui questi appunti sghembi per un parziale e provvisorio abbozzo di identikit del promotore della nuova evangelizzazione che nominerò d’ora in poi E. N., cioè Evangelizzatore/trice Nuovo/a.

Relazione di conformità trasformante

Dando credito al ragazzo spudorato e alla mia definizione di bellezza, mi si perdoni l’eccesso di autostima, potrei cominciare col dire che la prima caratteristica dell’E. N. sarà quella di saper stare in relazione. E la relazione comincia con l’ascolto. Il Padre ab ǽterno genera il Figlio, e come, se non ascoltandolo, questo Figlio che è persona-Parola con il volto da sempre rivolto al Padre? E ciascuno di noi non si sente vivificato e rigenerato sentendosi ascoltato? A me pare che oggi la crisi della postmodernità voglia con forza ricondurre noi uomini di fede e, perciò, di missione a ripartire dall’ascolto. Dove l’ascolto non è affatto un preliminare strategico per indebolire le difese dell’avversario e trafiggerlo poi con i dardi portatori di verità eterne che E. N. tiene pronti all’uso nella faretra. Si tratta qui di ascoltare proprio per imparare ciò che non si sa. Un ascolto che nasce nella preghiera (l’E. N. fa dell’ascolto orante della Parola un impegno quotidiano e inderogabile), abbraccia la collaborazione (l’E. N., laico, presbitero o consacrato che sia, sperimenta con gioia il lavoro di squadra che, nel dialogo e non senza conflitti, converte la sua proposta pastorale da azione di uno solo in azione comunitaria) e si dilata all’annuncio (l’E. N. sa che il destinatario è portatore di elementi evangelizzanti che devono essere riconosciuti; sa che solo sentendosi attivamente ascoltato il destinatario potrà ricevere attivamente l’annuncio).

La bellezza è una relazione di conformità trasformante. L’iconografo non può scrivere l’icona, senza passare attraverso il fuoco del digiuno e della rinuncia di sé; per scrivere con linee e colori sul legno il vangelo di Cristo e che è Cristo, dovrà lasciarsi impregnare di Spirito, come la tavola fa col colore. Altrettanto vale per l’E. N.: a nessuno potrà dare attestazione della bellezza di Cristo, se il riflesso di quella bellezza non trasparirà sul suo stesso volto. Si tratta di lasciarsi trasformare dallo Spirito di Lui in pienezza di conformità a Lui. Ciò non significa omologarsi su un unico, spersonalizzante stampo. Tutto il contrario: nei recessi più profondi di ogni persona, il Cristo abita come centro propulsore di autentica individuazione. Qualcuno sostiene che il bene sia ripetitivo e perciò noioso, mentre il male prevedrebbe un catalogo di soluzioni molto più ampio. È vero il contrario e conoscere qualche santo è sufficiente per sostenere la tesi opposta. Niente è più efficace per renderci assolutamente personali e irripetibili che morire a noi stessi e stabilirsi, finalmente, nel luogo personale dell’autenticità, in Cristo.

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Tutto e niente di nuovo

Una relazione di conformità trasformante tra chi guarda e chi è guardato. La prima cosa che l’innamorato fa: inebetito dalla bellezza guarda. E il primo innamorato è Dio che guarda l’uomo modellato dalle sue mani, vivificato dal suo respiro. Di ogni cosa ha detto che era cosa bella/buona, ma stavolta dice che la “cosa” è molto bella/buona. Quando il figlio minore si allontana da Lui, egli trepidando guarda l’orizzonte; per guardare dritto negli occhi il figlio maggiore e supplicarlo di entrare alla festa del fratello perduto e ritrovato, lo stesso Padre lascia la festa e tutti gli invitati. Guardati con questa intensa tenerezza siamo chiamati a guardare i fratelli, con dedizione e rispetto, diventando “guardiani” solidali dei fratelli più piccoli. L’E. N. ha il compito di mettere i destinatari del suo annuncio davanti al Cristo che chiede «Tu chi dici che io sia?». La professione di fede «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio» è dunque cosa del destinatario, come fu cosa di Pietro.

E se qualcuno obietta che in questo non c’è niente di davvero nuovo, rispondo che ha ragione due volte. Una perché il vangelo è sempre e irrimediabilmente “nuovo”, per statuto, nei confronti di qualsiasi epoca. Due perché la novità odierna non riguarda il vangelo, che, in sostanza, non è più nuovo oggi di ieri, ma il tempo in cui siamo. Questo nostro tempo è nuovo, tra gli altri, per due motivi: 1) la virtualizzazione degli strumenti comunicativi, 2) il radicale discredito gettato dalla postmodernità sugli strumenti umani conoscitivi dopo l’iperrazionalismo in cui la modernità si è gloriata e impegolata. L’E. N. da una parte cercherà i suoi contemporanei là dove essi sono, senza escludere nessun luogo, reale o virtuale che sia, per partito preso, ma d’altra parte dovrà anche fare attenzione a promuovere, cominciando col sorvegliare se stesso, un uso intelligente dei mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione. Sull’altro fronte, se «bellezza è verità e verità è bellezza» (Keats) tra l’una e l’altra si crea un circolo ermeneutico. Difficilmente però la via della verità sarà un buon punto di partenza oggi, mentre il pensiero contemporaneo, sulla ragione, fa calare la nube di un sospetto, persino eccessivamente, pesante. Abbiamo qualche chance in più, mi pare, seguendo il suggerimento che quel ragazzo spudorato offriva al cardinal Martini.