Solo sottraendo si fa la differenza

Si scopre cos’è l’uomo, togliendo tutto il resto

 di Valentino Romagnoli
frate cappuccini, biblista, formatore

 «Che cosa è l’uomo, perché te ne ricordi?» (Sal 8,5). Questo celebre versetto del Salterio esplicita una domanda che attraversa tutta la Scrittura.

La Bibbia, infatti, più che parlare di Dio parla proprio dell’uomo, un uomo visto in relazione al Creatore come afferma il Concilio: «mentre [Dio] rivela il suo mistero di amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS 22). Questa rivelazione è stata trasmessa dai vari autori biblici attraverso generi letterari differenti, e per una mentalità concreta come quella semitica la forma migliore è quella del racconto; più colorito e più simbolico esso è, meglio una verità viene trasmessa. Per parlare dell’uomo la Bibbia narra, racconta. Noi lo faremo prendendo tre scene.

 Scoprire l’uomo

I tre vangeli sinottici descrivono la vita pubblica di Gesù come un unico grande viaggio verso Gerusalemme durante il quale il Signore prepara i discepoli all’evento della croce, culmine della rivelazione. Al capitolo nono di Luca Gesù svela le carte ai suoi: «Bisogna che il Figlio dell'uomo soffra molte cose e sia respinto dagli anziani, dai capi dei sacerdoti, dagli scribi, sia ucciso, e risusciti il terzo giorno» (Lc 9,22). Subito dopo poi Gesù specifica che il discorso della croce, dello spogliarsi, riguarda tutti, anche chi ha intenzione di seguirlo seriamente: «Diceva poi a tutti: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua.  Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per amor mio, la salverà. Infatti, che serve all'uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde o rovina se stesso?”» (9,23-25).
Che cosa è l’uomo? In questo passaggio Gesù sembra rispondere che l’uomo è uno che può perdersi o rovinarsi. Come? Se pretende di salvare la propria vita, guadagnando il mondo intero. Se vuoi trovarti - dice il vangelo - devi perderti; se vuoi trovare il tuo vero io e la tua vera identità allora ci sono zavorre e armature di cui devi spogliarti. Comprendere chi è l’uomo è un’autentica “scoperta”, secondo il duplice significato della parola: tu scopri (=trovi) qualcosa solo se lo scopri (= togli ciò che lo copre).
Questa dinamica dialettica di “sottrazione” è presente sin “dal principio” della Scrittura, e anzi in qualche modo è sottesa a tutti i “racconti di fondazione” presenti nella cosiddetta “preistoria biblica”. Con questa locuzione si intendono i primi 11 capitoli della Genesi, dove troviamo le coordinate essenziali dell’identità dell’uomo visto in relazione a Dio, al creato e agli altri uomini, presentate attraverso una serie di immagini e di “miti”. Ora, questo ciclo di racconti si apre e si chiude con due immagini che rispecchiano perfettamente la nostra dinamica, costituendo una sorta di ideale “inclusione” tematica. Proviamo a vedere meglio.

 Dio sottrae, l’uomo accumula

La prima pagina della Bibbia è costituita dal duplice racconto della creazione; in Gen 2 noi leggiamo: «Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente» (2,7). Il verbo utilizzato (yāṣar) indica l’azione del plasmare, del modellare; le uniche altre volte che tale verbo è utilizzato nella Bibbia è in riferimento all’azione di un “vasaio”. Dio è presentato come un ceramista che prende la polvere dalla terra (’adamah) per farne l’uomo (’adam).
L’accostamento di questi due termini (corrispettivi maschile e femminile dello stesso sostantivo) apre il campo a interpretazioni illimitate… a noi ora interessa visualizzare l’immagine evocata: per modellare un vaso, una scodella, una coppa, il vasaio prende un blocco di argilla fresca, la fa girare sul tornio e lì la “modella”, togliendo l’argilla in eccesso per arrivare alla forma desiderata. Il Dio vasaio è un Dio che crea… “per sottrazione”, elimina l’eccesso che rende il vaso pesante, sgraziato e inadatto allo scopo.
Per converso l’ultima pagina di Gen 1-11 presenta una scena che per certi aspetti costituisce un’anti-creazione: la torre di Babele.
L’episodio è noto, ma forse può sfuggire il “movente” per cui gli uomini si mettono nell’impresa di costruire una torre che tocchi il cielo: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra» (11,4). Facciamoci un nome… nel linguaggio biblico il nome non è un semplice identificativo fonetico, ma nasconde e porta in sé l’essenza stessa dell’oggetto nominato; in altre parole il Nome “è”, almeno in parte, la cosa stessa; in qualche modo partecipa della sua essenza e della sua realtà più profonda. Letto in questo modo, “farsi un nome” vuol dire costruirsi un’identità, definire chi noi siamo, si tratta di una forma di auto-creazione. E come l’uomo cerca di costruire sé stesso?

«“Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta» (2,4). L’uomo fa mattoni, invece di scavare la pietra, e impasta bitume, invece della ben più resistente malta. Senza entrare in profondità nel simbolismo, risulta subito evidente lo scadimento qualitativo dell’opera che gli uomini si apprestano a fare.
«La cui cima tocchi il cielo». Se la logica creativa di Dio è per sottrazione, quella costruttiva dell’uomo di Babele al contrario è “per accumulo”: si ammassano mattoni uno sopra l’altro nella convinzione che più alta una torre è, più il mio nome sarà grande; più pietre accumulo, maggiore sarà il mio prestigio, la mia identità.
L’uomo costruisce pensando di crearsi, ma ciò che ottiene è soltanto il tentativo di scimmiottare la creazione divina, con i noti esiti tragici o farseschi: la confusione delle lingue, plastica immagine che la ricchezza accumulata e non distribuita, il possesso fine a sé stesso rompe le relazioni tra paesi, popoli e uomini (2,7).

 La logica della croce

Certamente una riflessione biblica sull’uomo non può esaurirsi a poche battute, tanto più in un’epoca come la nostra in cui la “questione antropologica” è diventata cruciale.
Resta però un centrale punto della riflessione biblica che l’uomo non è ciò che accumula, anzi, questo può essere di ostacolo per viversi pienamente; e viceversa ciò che sembra povertà, limite, può diventare la porta di accesso per riscoprire la propria dignità.
D’altronde, non è altro che la logica paradossale della croce, presente sin “dal principio”.
È l’insegnamento di san Francesco, che per scoprirsi figlio si è scoperto dei panni paterni; che per viversi uomo (’adam) si è fatto adagiare nudo sulla nuda terra (’adamah).
Ed è l’insegnamento di papa Francesco: con la sua insistenza sui temi economici ed ecologici (dalla Laudato si’ alla Fratelli tutti) egli non fa che indicare che la vera via per il ritorno all’uomo passa dal riconoscersi creature, indissolubilmente legate le une alle altre, e che in questo sta la vera ricchezza di ogni donna e di ogni uomo, riscoperta.

 

 

Per approfondire:

Pontificia Commissione Biblica
Che cosa è l’uomo? Un itinerario di antropologia biblica
Libreria Editrice Vaticana, Roma 2019.