Il silenzio che dialoga

Dal chiostro un’occasione importante per entrare in comunione con tutti

di Nella Letizia
clarissa del convento di Rimini

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Può l’evangelizzazione declinarsi non solo con l’annuncio in prima linea, ma anche con modalità più defilate, per così dire, da retroguardia? Si può essere evangelizzatori nella vita contemplativa claustrale?

La mia quasi ventennale esperienza come Sorella Povera di santa Chiara mi fa dire un sì pieno e convinto. E non potrebbe essere diversamente, dal momento che, come afferma Benedetto XVI, «alla radice di ogni evangelizzazione vi è il desiderio di condividere l’inestimabile dono che Dio ha voluto farci, partecipandoci la sua stessa vita», dono che è per tutti i cristiani, nessuno escluso.

Ma come può dipanarsi concretamente l’istanza evangelizzatrice in una vita che scorre tra le quattro mura di un monastero? Tenendo conto che il mondo claustrale è ampio e variegato, le vie possono essere molte e avere sfumature diverse, ma, guardando la mia realtà, ne individuo principalmente tre.

Il silenzio orante

È importante mettere l’aggettivo specificativo “orante”, per non confondere il silenzio con il mutismo, o con l’isolamento. Il silenzio che sgorga dalla e nella preghiera non ha nulla a che fare, infatti, con la passività, anzi. Ce lo testimonia in modo mirabile santa Chiara, di cui papa Alessandro IV dice nella Bolla di canonizzazione che «si custodiva dentro e si diffondeva fuori... taceva, ma la sua fama gridava» (BolsC 4,13-14: FF 3284). Il suo esempio ci conferma che il silenzio orante non solo può veicolare la testimonianza evangelica, ma che sa anche donarle pregnanza di contenuto, generando il felice ossimoro del “silenzio che grida”.

Che il silenzio sia un elemento essenziale della vita cristiana e un cardine del cammino di evangelizzazione, lo ha ricordato più volte Benedetto XVI. Nella visita alla certosa di Serra San Bruno il 5 novembre scorso, il papa ha dapprima notato che «il progresso tecnico... ha reso la vita dell’uomo più confortevole, ma anche più concitata, a volte convulsa. Le città sono quasi sempre rumorose: raramente in esse c’è silenzio, perché un rumore di fondo rimane sempre», e che ciò, unito al fenomeno della virtualità, ha generato in alcune persone «l’incapacità di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine». Ha quindi indicato nei monasteri le “oasi di silenzio”, «in cui, con la preghiera e la meditazione, si scava incessantemente il pozzo profondo dal quale attingere l’“acqua viva” per la nostra sete più profonda».

E nel messaggio per la 46a giornata mondiale delle comunicazioni sociali, dedicata al tema “Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione”, papa Benedetto è tornato sul tema, affermando che «educarsi alla comunicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare, e questo è particolarmente importante per gli agenti dell’evangelizzazione».

La mia fraternità a Rimini dà il suo contributo in tal senso, abitando e custodendo un’oasi contemplativa nel centro di questa città, conosciuta per lo più come “divertimentificio” d’Italia, per metterla a disposizione di quanti ne hanno bisogno, in particolare dei fratelli impegnati sulle frontiere dell’evangelizzazione, affinché il loro parlare “di” Dio trovi nutrimento nel previo parlare “a” Dio, nel tempo prolungato della preghiera liturgica, della meditazione e dell’adorazione, che intesse la trama delle nostre giornate.

La testimonianza della gioia

Il neo cardinale Dolan, Arcivescovo di New York, nel suo intervento durante la giornata di preghiera e riflessione convocata dal papa alla vigilia dell’ultimo Concistoro ha detto che «la nuova evangelizzazione si compie con il sorriso... è un atto d’amore». Dovrebbe essere scontato che l’annuncio sottenda la gioia del sentirsi amati da Dio e dell’amare a nostra volta i fratelli, ma, se si tasta il polso delle nostre comunità/parrocchie/gruppi/associazioni, può capitare - e capita non di rado - di sentire latitare la gioia dell’essere cristiani. Parafrasando una famosa frase di Bernanos, si potrebbe dire che spesso più che un popolo cristiano, siamo un popolo triste...

Penso in modo particolare ai giovani, che molte volte non trovano consolazione e speranza nell’esperienza ecclesiale, anzi talora si manifestano delusi dalle relazioni frettolose e non significative che noi consacrati, sacerdoti e catechisti riusciamo a costruire con loro.

Da francescana mi sento particolarmente interpellata a testimoniare la gioia dell’appartenere a Cristo, che mi offre una misura alta della vita, una vita buona e bella, in cui sperimentare la vera e perfetta letizia, che si genera e si rinnova nella preghiera, come ci insegnano Francesco e Chiara.

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Il servizio dell’accoglienza e dell’ascolto

Abito in un piccolo monastero, dove lo spazio della clausura ha dei confini fisici molto limitati, ma non è uno spazio chiuso, e lo sanno bene i tanti fratelli e sorelle che vengono a condividere con noi brani di vita segnati dal dolore e dalla prova, ma anche dalla speranza e dalla gioia, sapendo di trovare sempre una mano tesa e un cuore aperto all’ascolto.

È un servizio che coltiviamo come un dono prezioso, consapevoli che ogni persona che bussa alla porta è Cristo stesso che chiede di essere accolto, come ci ricorda la Regola di san Benedetto. E da una decina d’anni ai parlatori tradizionali se n’è aggiunto uno “virtuale”, per estendere l’opportunità di “bussare alla nostra porta” anche agli utilizzatori di internet. Ciò è stato reso possibile sia attraverso la realizzazione e gestione del sito del monastero, che attraverso la collaborazione alla “grata elettronica”.

La grata elettronica è un servizio del sito www.giovani.org, creato dal Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile in occasione della GMG di Roma, che dal 2001 è stato affidato alla mia fraternità e a me in particolare, per dare ai ragazzi l’opportunità di dialogare telematicamente con una persona che vive la vita contemplativa. In questo tempo sono arrivate circa 6.000 e-mail, prevalentemente da parte di giovani cristiani impegnati, lontani, tiepidi, e talora anche atei - che sono per lo più alla ricerca di una sorella spirituale a cui chiedere il sostegno della preghiera, e con cui confrontarsi e confidarsi su quanto sta loro più a cuore, come la ricerca di senso, il rapporto con Dio, la scelta vocazionale, l’amore e tanto altro ancora.

Vivere un carisma antico di 800 anni e dialogare con i fratelli servendosi delle nuove tecnologie: anche questo è un modo per incarnare il carisma di Chiara oggi ed essere evangelizzatori dal chiostro.