Partire bio per ricostruire un mondo

Breve storia dell’ecosistema Girolomoni, pioniere e faro del biologico italiano

 di Maria Girolomoni
presidente della Fondazione Girolomoni

 «Oggi voglio rassicurarli che continuerò a lavorare affinché queste nuove forme di economia sostenibile siano veramente tali e che i loro fautori non dimentichino mai la dimensione spirituale anche nel lavoro, perché altrimenti diventerebbe insipido anche il sale» (Gino Girolomoni, Un Avvenire di Terra).

 
La storia della Gino Girolomoni Cooperativa Agricola inizia nel 1971, quando Gino Girolomoni, insieme alla moglie Tullia, giovane sindaco del comune di Isola del Piano, una piccola realtà in provincia di Pesaro-Urbino, cominciò a promuovere iniziative volte a valorizzare e sostenere l’antica civiltà contadina: corsi di agricoltura biologica e convegni attiravano intellettuali, giornalisti e tecnici da tutta Italia. 
Queste prime esperienze furono alla base della nascita, il 13 luglio 1977, della Cooperativa Agricola Alce Nero, investendo 2 miliardi di lire con un capitale sociale di 5 mila lire a testa.
Il simbolo del cavallino con l’indiano al galoppo venne disegnato da uno dei ragazzi fondatori, Daniele Garota e divenne presto, grazie anche alle capacità comunicative di Gino, simbolo di molte battaglie mosse per il biologico e la difesa dell’ambiente. Quel marchio per tristi vicissitudini verrà ceduto circa 25 anni dopo. Nel 2012 Gino viene a mancare e la Cooperativa Alce Nero cambia il proprio nome in Gino Girolomoni Cooperativa Agricola e come logo la piantina del monastero vista dall’alto, in arancione.

 L’ecosistema Girolomoni

Oggi la cooperativa conta 30 soci e 70 dipendenti, oltre ai 450 agricoltori coinvolti nella filiera attraverso la cooperativa Montebello. Il sito produttivo comprende 80 ettari coltivati e lo stabilimento, alimentato da energia rinnovabile, con mulino, pastificio e magazzini. L’estero è il mercato principale: Girolomoni esporta oggi in trenta paesi, fra cui i principali sono: Francia, Germania, USA, Spagna, Australia e Giappone.
Nell’arco di un km sulla collina di Montebello si erigono anche un antico monastero del 1380, completamente risollevato dalla famiglia Girolomoni, e una locanda. Il monastero, oltre ad essere logo, è luogo di accoglienza, sede della Fondazione Girolomoni e del museo sull’antica civiltà contadina.
Proprio per questa pluralità di attività, autonome e fortemente correlate l’una all’altra, ci siamo recentemente battezzati “ecosistema Girolomoni”. Che riassumendo comprende: la cooperativa Montebello per l’agricoltura, la Cooperativa Girolomoni per la molitura, la pastificazione e commercializzazione della pasta e altri prodotti, la  Fondazione Girolomoni per la cultura con la rivista Mediterraneo Dossier, l’agriturismo per l’accoglienza e il Consorzio Marche Biologiche per far promozione e sostenere la filiera.

 Un punto di partenza

Gino e Tullia erano mio padre e mia madre, l’eredità straordinaria che hanno lasciato a noi figli, ai soci e ai collaboratori è di straordinaria importanza, oggi tra i simboli delle realtà pioniere nel settore agroalimentare del biologico italiano, di cui andiamo fieri e che insieme custodiamo.
In questi 50 anni, grazie alla visione di mio padre, siamo diventati un esempio di ricostruzione di un territorio, che ha fatto di un lembo di terra abbandonata il luogo per coltivare e diffondere l’agricoltura biologica, per tornare a fare un vecchio mestiere in modo nuovo: il contadino! Per riuscirci abbiamo costruito un poco alla volta tutta la filiera legata alla pasta, raggiungendo anche dimensioni tali per cui possiamo permetterci di fare investimenti, un po’ di comunicazione, lasciando equilibrio tra il prezzo all’agricoltore, la nostra sostenibilità economica e il prezzo finale. Perché mangiare biologico è un diritto di tutti.
Quest’anno sono 50 anni da quando è ritornata la vita su questa collina, il nostro anno di riferimento è quello del ’71 e non il ’77, proprio perché per noi fare la pasta non è la meta, ma il mezzo e l’agricoltura biologica è il punto di partenza e non di arrivo per preservare fertilità e biodiversità, per ricostruire il mondo rurale con la sua gente, creando un’economia nuova legata ai territori rurali. Abbiamo tradotto tutto questo e molto altro in un concetto nuovo di filiera, in cui rivivono in qualche modo i valori della civiltà contadina come il rispetto per l’uomo e la natura, l’importanza della parola data. Valori che oggi si traducono nell’uso e nella ricerca di energia da fonti rinnovabili, nel pagare un giusto prezzo al lavoro degli agricoltori, nel garantire al consumatore un prodotto ottenuto da materie prime italiane tracciate ad un giusto prezzo, la preservazione del patrimonio naturale e del paesaggio rurale.

 Una “rete” ecologica

Celebriamo quest’anno speciale in più modi, trasformando il payoff in “Dignità alla terra!”, un po’ urlato perché è necessario accelerare il passo verso quella che Alex Langer chiamava, non a caso, “conversione ecologica”. Cominceremo a passare alla carta il pack della nostra pasta, con una grafica leggermente rivista per far capire bene chi siamo, dove e come lo facciamo. Questa è la grande sfida dei produttori agricoli oggi, raggiungere il consumatore e fargli capire con una efficace comunicazione come nasce quel prodotto. Noi crediamo che possa essere vinta soltanto facendo rete, coadiuvati da piani politici di sostegno. Questo è quanto sta accadendo qui nella nostra regione, le Marche, che vuole divenire il Distretto del Bio più grande d’Italia e d’Europa, per promuovere un territorio e le produzioni di qualità.