Politica al femminile

Intervista a tre donne della politica italiana

 a cura di Saverio Orselli
della Redazione di MC

 

Abbiamo proposto a tre donne impegnate politicamente da posizioni diverse, di raccontarci la loro visione della politica, confrontandosi con tre semplici domande, uguali per tutte. Hanno accolto il nostro invito la senatrice Anna Maria Bernini, presidente del Gruppo Forza Italia Berlusconi Presidente - UDC, la senatrice Paola Boldrini del Partito Democratico, vicepresidente della Commissione Sanità del Senato e membro della Commissione Infanzia e Adolescenza, e Silvia Zamboni, capogruppo di Europa Verde e vicepresidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna.

 Cosa significa per lei fare politica?

Bernini: Significa non perdere mai il contatto con la realtà, saper parlare al cuore della gente e restare sempre fermi nella convinzione che i valori vengono prima del potere e lo rendono legittimo. Valori come il merito, il rispetto reciproco, il lavoro vanno riscoperti e riaffermati dopo l’ubriacatura populista dell’uno-vale-uno, soprattutto in un drammatico snodo della storia come questo, con l’Italia da ricostruire dopo la pandemia. Entriamo in una fase cruciale, in cui le idee dovranno essere coniugate con competenza e meriti per mettere a frutto le migliori energie finora inespresse, rendere possibile la mobilità sociale e offrire ai giovani una prospettiva che non sia il reddito di cittadinanza. Ora come mai la politica deve essere davvero intesa come servizio.
Boldrini: Per me fare politica significa mettere ogni giorno in atto, coi miei comportamenti, azioni che rispecchiano la mia scala valoriale, che pone al centro la società, i diritti, l’individuo. Nel tempo questo sentimento è diventato impegno, dapprima sul territorio, poi in Parlamento. Tutti facciamo politica con le nostre scelte, con le nostre abitudini, con l’arbitrio delle nostre libertà, dei nostri diritti, dei nostri doveri. In sintesi, nel nostro essere cittadini. Esercitare la politica, cosa ben diversa dall’esercitare il potere, significa per me lavorare un’infinità di ore al giorno tra Commissioni e Aula per attuare percorsi e progetti in cui credo, portare all’attenzione del Governo le istanze che mi vengono sollecitate e che reputo significative. Chi fa politica seriamente coltiva il sogno di una società in cui ciascuno di noi abbia il proprio spazio di realizzazione e le stesse possibilità di affrancamento.
Zamboni: Si è discusso molto e si continua a discutere se fare politica sia un servizio alla collettività o una professione. Rispetto a ricoprire ruoli nelle istituzioni, lo ritengo un servizio da svolgere con la serietà e l’impegno richiesti nello svolgimento di una professione. Penso anche che fare affidamento su una propria attività lavorativa, svolta prima o a cui tornare a fine attività ricoperta nelle istituzioni, sia una garanzia di autonomia e quindi un paracadute che consente di fare sempre la scelta ritenuta giusta e opportuna, e non quella forzata per non “perdere il lavoro nelle istituzioni”. Aver svolto un lavoro aiuta anche a capire meglio come funziona la società, ai cui problemi si cerca di dare risposte nelle istituzioni. Questo paracadute, e al contempo questa lente di ingrandimento sulla società, io li ho avuti e li ho usati: sono infatti giornalista, prevalentemente impegnata su tematiche ambientali.
Ma si può fare politica anche in un partito, in un comitato cittadino, in un’associazione, tutte attività di volontariato civico che, qualora siano disinteressate e finalizzate solo a quello che si ritiene il “bene comune” e non di parte, sono indispensabili a chi sta nelle istituzioni per orientare il proprio lavoro.

 Esiste una politica al femminile e c’è spazio per una politica al femminile?

Boldrini: Lo spazio c’è sicuramente, deve però ancora oggi essere spesso concesso dagli uomini. Il fatto che ci si interroghi è conferma di una questione sempre aperta. Il problema vero è che, man mano che si fanno passi avanti, se ne fanno indietro. L’emergenza sanitaria ed economica da Covid-19 ha rivelato quanto, nel mondo del lavoro, le più penalizzate siano state le donne. Una politica “al femminile” è quella che si batte per evitarlo, per arginare un fenomeno la cui conseguenza potrebbe essere la progressiva perdita di diritti faticosamente conquistati, a partire dall’indipendenza economica, senza cui spesso si vivono condizioni di coercizione. Ma dovrebbe essere politica e basta. Noi donne abbiamo molte più difficoltà di un uomo a conciliare tempi di vita e lavoro, per questo abbiamo maggior sensibilità e pragmatismo. L’auspicio è che arrivi un tempo in cui quota e genere siano superati e si passi dalla conciliazione alla condivisione.
Zamboni: Per le donne lo spazio in politica, sia nelle istituzioni sia nei partiti, non è più accogliente di quanto lo sia nei vari settori della società. Per superare questo ennesimo gap di genere, almeno a livello di partito, i Verdi/Europa Verde, che rappresento nell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, hanno scelto da tantissimi anni di avere, ad ogni livello (cittadino, regionale e nazionale), due coportavoce: una donna e un uomo.
C’è un modo diverso di fare politica tra donne e uomini? La mia risposta, sulla base della mia esperienza, è “sì” rispetto agli obiettivi per i quali le donne si impegnano, ancorati ai vissuti sociali e familiari. Ma anche tra le donne ce ne sono che nulla hanno da invidiare alla gestione “maschile” del potere.
Bernini: È un tema che non mi ha mai appassionato: mi interessa solo che il mio Paese sia guidato da una classe dirigente all’altezza. Quando la smetteremo di ridurre tutto a una questione di quote, riusciremo finalmente ad apprezzare e valorizzare appieno il merito delle persone. E qui non c’entra la destra o la sinistra: è un mutamento culturale che va alimentato con gli esempi, e con orgoglio dico che nel centrodestra ce ne sono molti. Nella politica moderna le donne devono competere con gli uomini su un piano di parità, e mettersi in gioco in quanto persone brave e preparate, non per una questione di genere. Le cosiddette quote rosa sono servite per garantire un’adeguata presenza femminile nei consigli d’amministrazione, ma in politica essere donna non può essere di per sé un merito: l’importante è che la selezione venga fatta in base alle competenze, e Forza Italia è l’esempio di come non ci sia bisogno di quote rosa per valorizzare le figure femminili. Voglio essere chiara: essere donna non deve penalizzarci, ma di per sé non è neanche un merito, guai a dimenticarlo.

 Infine, visto che le idee non bastano, può raccontarci l’esperienza più emozionante che le è capitata nella sua attività politica?

Zamboni: Portare a casa una risoluzione approvata dall’Assemblea legislativa è sempre un’emozione per me: significa aver aperto un percorso di attuazione di una misura che ritengo utile per un miglioramento generale, non di parte. La soddisfazione più recente che ho provato? L’approvazione il 4 maggio della risoluzione, di cui sono prima firmataria, per il superamento dell’impiego delle gabbie negli allevamenti intensivi, spesso luoghi di incidibile sofferenza per gli animali e di impiego di antibiotici che poi rischiamo di trovarci nella carne che consumiamo.
Bernini: Ogni volta che si prende la parola nell’aula della Camera o del Senato è sempre un tuffo al cuore, perché c’è la consapevolezza della solennità del luogo in cui, nel bene e nel male, è passata la storia d’Italia. Penso poi alla scorsa legislatura, quando si sono eletti due presidenti della Repubblica. Ma le emozioni più forti le ho sempre vissute nel contatto con la gente, e ricordo in particolare la visita alle zone terremotate dell’Umbria e delle Marche, in cui ho visto da vicino la distruzione, ma anche la tenacia, la volontà e la dignità di una popolazione che non si è mai arresa.
Boldrini: Il giorno che non dimenticherò mai è stato nel 2018, quando la Medicina di genere, del cui disegno di legge sono stata prima firmataria, è stata inserita nel Sistema Sanitario Nazionale. È stata la mia battaglia da subito, da quando sono entrata alla Camera, nel 2015. Attorno all’argomento c’erano pregiudizi, tentativi di semplificazione, c’era chi erroneamente la definiva la medicina delle donne o teoria gender. Non mi sono fatta influenzare, convinta come’ero che i corpi dell’uomo e della donna sono diversi e differentemente vanno trattati in termini di prevenzione, diagnosi e cura e quindi con maggiore appropriatezza clinica. Oggi non solo l’attenzione alle differenze di genere è prevista nel PNRR, nella “missione 6 sanità”, ma è un tema trattato nella formazione in molti Atenei nelle facoltà di Medicina. Ancora, c’è un Osservatorio Nazionale sulla Medicina di Genere voluto dall’Istituto Superiore di Sanità. Questa è la mia più grande soddisfazione.