Non ti scordar di me

La democrazia è in crisi quando la politica si dimentica del popolo

 di Matteo Prodi
sacerdote bolognese, docente di Teologia morale sociale presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna e della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale

 Esiste ancora la democrazia? La domanda, che il titolo di questo contributo ci offre, [La domanda dalla quale parte questo contributo] è davvero interessantissima;

è ovvio che ancora molti Stati nel mondo hanno la democrazia come governo della cosa pubblica; ma è ancor più evidente che la situazione oggi è particolarmente delicata e problematica. Spingendo il ragionamento alle estreme conseguenze, ed anticipando la conclusione del nostro contributo, la vera crisi è quella dell’Homo democraticus, senza il quale nessuna istituzione può davvero consentire al popolo di essere il decisore ultimo delle traiettorie per costruire il bene comune. Vi è, inoltre, una domanda ancora più a monte: come ci consideriamo gli uni gli altri? Siamo degni di fiducia o solo per convenzione non ci facciamo la guerra reciprocamente? Il potere è servizio o dominio? È condivisione delle esistenze o è a servizio sempre delle élite?
Nella nostra storia ci sono modi per creare distanze e privilegi e sono l’inganno e la menzogna; questi sono anche alla base del potere e della sua conservazione, come ha mirabilmente dimostrato Niccolò Machiavelli. Molti esperimenti sociali conducono a spiegare come sopravvivano i più amichevoli. Ma alcune persone riescono ad emergere perché sfruttano a loro vantaggio la caratteristica di non rispecchiarsi, di non connettersi con gli altri. Il potere è una anestesia che ci isola dagli altri. Chi arriva a comandare è spesso senza vergogna, è come se si disumanizzasse, inventando sempre più giustificazioni per consolidare la sua posizione. Anche in democrazia si può usare questo meccanismo. Si è affermato che anche la Costituzione americana è stata scritta per tenere fuori il popolo dalla gestione del potere; essa è un documento intrinsecamente aristocratico, volto ad arginare le tendenze democratiche dell’epoca (Noam Chomsky). 

Alcuni segnali della crisi

Ma quali eventi ci possono aiutare a capire la crisi della democrazia? Il 5 luglio 2015 in Grecia si è svolto il Referendum sul piano di ristrutturazione del debito proposto dai creditori, per ottenere altri finanziamenti. I cittadini hanno votato contro la proposta al 61%. Ma, dopo pochi giorni, il leader Tsipras ha dovuto sottoporsi a misure ancora peggiori. Il popolo non è stato ascoltato. Il 16 aprile 2017 si è svolto in Turchia un Referendum per approvare alcune modifiche alla Costituzione. Il popolo ha approvato e aumentano notevolmente i poteri del Presidente della Repubblica e si restringono quelli del Parlamento. Erdogan, notevolmente rafforzato, potrà, in teoria, continuare a rimanere al potere fino al 2029. L’esecutivo sarà totalmente concentrato nelle mani del presidente e sparirà la figura del premier. Per gli avversari il nuovo sistema non avrà alcun contrappeso, aprendo la strada a un regime autocratico. Il popolo ha votato per avviarsi a una dittatura?
Il 1° ottobre 2017, in Catalogna, regione appartenente allo Stato spagnolo, si è svolto il Referendum per la sua autodeterminazione. A parte la difficoltà a capire se effettivamente la maggioranza della popolazione catalana approvi la separazione dalla Spagna (il referendum non avrebbe raggiunto il quorum; le successive elezioni nella regione non hanno dato la maggioranza assoluta dei voti ai partiti autonomisti), si pone un problema: è lecito votare apertamente contro la Costituzione?
Le primavere arabe hanno portato alcuni frutti anche per la democrazia: la costituzione tunisina è davvero molto apprezzabile. Purtroppo, molte delle promesse di quel movimento di popolo si sono dissolte. È consentito al popolo di seguire i suoi sogni? Infine, il 6 gennaio 2021, negli Usa si è toccato uno dei punti più problematici per la storia delle democrazie. Un parlamento preso d’assalto e un presidente uscente che potrebbe avere approvato l’azione (non voglio sbilanciarmi sulle varie ricostruzioni; non è neppure necessario). Il popolo è solo massa manovrabile?

 Liberismo e populismo

Per dare qualche risposta a tutto questo occorrerebbe studiare la storia (la Catalogna è davvero integrabile nella Spagna?), la psicodinamica delle nazioni (il popolo turco attende ancora il grande impero ottomano?), i rapporti tra lo Stato e ciò che sta sopra gli stati (in particolare l’Unione Europea), l’eventuale attitudine democratica di popoli e confessioni religiose. Ci pare urgente, in ogni caso, ascoltare le profonde riflessioni di papa Francesco sulla politica, contenute nell’enciclica Fratelli tutti, che sono il primo passo per capire come affrontare la crisi della democrazia.
L’attuale pontefice prende come punto di partenza delle sue riflessioni due fenomeni contrapposti: il populismo e il liberalismo. «Il problema sono populismi e liberalismi. In entrambi i casi si riscontra la difficoltà a pensare un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sé i più deboli e rispetti le diverse culture» (FT 155). Queste due derive annientano l’importanza e la bellezza della parola popolo in politica, cioè esattamente l’insieme di persone aperto, accogliente e capace di integrare. Si può, quindi, affermare che la democrazia, nella sua sostanza, perde i suoi connotati se in qualsiasi modo si dimentica del popolo, cioè l’orizzonte entro cui ogni persona valorizza e comprende se stessa nella mutua relazionalità con i suoi compagni di viaggio. Democrazia non è solo potere del popolo; è anche, o soprattutto, potere a vantaggio del popolo. E il popolo cresce anche in quanto è responsabilizzato. Potere del e a vantaggio di sono momenti e movimenti capaci di alimentarsi a vicenda. Per questo papa Francesco, nella Fratelli tutti, concentra la sua parte propositiva su parole come amore politico, cura, vicinanza, prossimità: tutto quanto serve per costruire il popolo.

 La democrazia come mezzo

Rimane da analizzare il livello pratico: cosa possiamo fare? Il vero nodo è considerare la democrazia non come un assoluto, ma come un mezzo che prepara all’assoluto. L’assoluto è costruire il bene comune, che ha nella responsabilità delle persone verso il popolo un pilastro fondamentale. Sono le persone che si allenano ad essere democratiche attraverso le istituzioni che si definiscono tali. Questo vuol dire allenarsi incessantemente al dibattito, al confronto, anche al conflitto, se necessario e soprattutto al dissenso personale e comunitario. La nostra Costituzione è nata dentro un’aula con infinite tensioni.
Occorre creare una democrazia sostanziale, che aiuti le persone a contribuire liberamente e insieme alla grande impresa di essere popolo. I partiti, che vivono all’interno e all’esterno la democrazia, sono necessari. La democrazia deve aiutare a cercare la verità che aiuta a crescere come popolo, nel dialogo, nell’accoglienza, nell’integrazione, nella condivisone. È evidente che il tassello necessario per la democrazia è il lavoro, perché solo questo può consentire a tutti di collaborare responsabilmente al bene comune. Ne consegue che la politica non deve sottoporsi all’economia. La democrazia poi esige passione, studio, formazione ma anche tenerezza, capacità di condividere esistenzialmente le ferite dei più poveri. Sono tutte doti che vorremmo trovare nei nostri leader.

Dell’Autore segnaliamo:
Regno di Dio e mondo nel De Civitate Dei. Una parola attuale per il cambiamento d’epoca,
Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2021